“Penserete che la spiaggia sulla quale riposate al sole sia insuperabile, finché non raggiungerete quella successiva. Gli amanti delle immersioni saranno entusiasti per le acque incontaminate, le barriere coralline e gli straordinari relitti. Gli occhi dei vulcanologi si esalteranno al solo pensiero dei numerosi picchi fumanti, mentre i naturalisti brameranno le foreste incontaminate, le scogliere e gli uccelli più diversi”.
Così la guida Lonely Planet descrive Vanuatu, l’arcipelago al largo della costa est australiana in cui “le isole luccicano di un verde che quasi ferisce gli occhi e si trovano in mezzo a un oceano così blu da far pensare che la scena sia artificiale”.
Ma negli ultimi decenni, questo paradiso era sempre più insidiato da un nemico apparentemente imbattibile, e che tutti ben conosciamo. La plastica, che dai mari si riversa sulle zone costiere di tutto il pianeta, distruggendone il delicato equilibrio naturale.
E’ quello che succede nel piccolo villaggio di Erakor, che vanta una laguna di incredibile bellezza (dove fra l’altro i turisti possono soggiornare in raffinati resort “a pelo d’acqua”).
Gli abitanti di una certa età ricordavano bene i tuffi e le immersioni compiute da bambini nelle sue acque turchesi, inseguendo ogni sorta di pesci e ammirando le varietà della flora marina.
Un ricordo, appunto: visto che negli ultimi anni la laguna di Erakor si è trasformata in una grande discarica di rifiuti di plastica.
“La plastica formava una piccola isola all’interno della laguna, tanto era spessa”, ha raccontato uno degli abitanti. “Abbiamo usato le reti da pesca per tirare fuori un po’ di spazzatura, ma non sapevamo come sbarazzarci di tutto. Eravamo sopraffatti”.
Anche a Vanuatu, dunque, ci si è accorti presto che la lotta per liberare le coste dalla plastica, se compiuta solo dalla buona volontà degli abitanti, è – qui è proprio il caso di dirlo – come voler svuotare il mare con un cucchiaino.
Sono tonnellate e tonnellate di imballaggi in plastica, essenzialmente per gli usi dell’industria alimentare, che ogni giorno raggiungono l’Australia così come gli altri continenti del mondo.
Nel caso delle isole del Pacifico, su cui si riversa una gran parte di questi rifiuti, sono ben pochi i governi (Vanuatu è una repubblica indipendente) che dispongono di strutture adeguate per il riciclaggio o la gestione dei rifiuti nelle loro strette strisce di terra: ragion per cui la spazzatura se non viene bruciata, rimane a galla in fiumi o lagune come quella di Erakor.
E allora, perché raccontare la triste storia di questo che si avviava ad essere un ex-paradiso sommerso dalla plastica?
Perché il governo di Vanuatu ha messo in campo, già da qualche anno, una politica drastica per risolvere il problema. Qualcosa che potrebbe, anzi dovrebbe funzionare come esempio per molti altri Paesi del mondo.
Già nel 2018 il governo è stato uno dei primi al mondo a vietare la vendita e la distribuzione di alcune materie plastiche monouso: fra di esse, il divieto di utilizzare cannucce di plastica.
Nei sei anni successivi, le sottili buste di plastica per la spesa sono praticamente sparite: la maggior parte degli abitanti porta con sé borse riutilizzabili al mercato locale o al negozio di alimentari.
Nei numerosi festival ed eventi all’aperto che si svolgono nell’arcipelago, poi, il cibo viene servito, invece che in confezioni di polistirolo, avvolto in foglie di banano.
Il risultato è una diminuzione molto consistente della plastica, anche visibile. “Da quando è stato introdotto il divieto, si può vedere che la laguna è diventata più pulita”, dicono gli abitanti.
Ma la piccola grande rivoluzione di Vanuatu – e questa è la storia ancora più interessante – prima che dal governo è venuta dall’attivismo dei singoli. In questo caso, grazie addirittura a un post su Facebook di una francese trapiantata nelle isole dell’Oceania, di nome Christelle Thieffry.
La Thieffry, giunta a Vanuatu più di 20 anni fa, è rimasta subito impressionata dai rifiuti di plastica che addirittura turbinavano nei cieli di Vanuatu quando si alzava il vento. Così lei e suo marito hanno deciso di fare qualcosa.
Hanno aperto una pagina Facebook chiamata “no plastic bag, please”: Contemporaneamente hanno avviato una petizione chiedendo alle persone di firmarla per vietare i sacchetti di plastica monouso. In poche settimane (si era nel 2017) avevano raccolto più di 2.000 firme, costringendo il Primo Ministro di Vanuatu ad affrontare la situazione.
Fu l’allora ministro degli Esteri a sviluppare e attuare la politica del no plastic: prima di tutto, comminando multe di almeno 20.000 vatu (130 sterline, una somma significativa a Vanuatu) per chi fosse stato scoperto a trasgredire il divieto.
Nel 2020, altri sette articoli diffusissimi nella vita quotidiana sono stati aggiunti all’elenco delle plastiche vietate: dalle posate, ai piatti monouso e ai fiori artificiali. Mentre le bottiglie di plastica sono ancora consentite, visto che il loro divieto e la loro sostituzione con altri tipi di recipienti comporterebbe ancora difficoltà significative.
Interessante è anche il fatto che, negli anni, si sia sviluppata un’industria per fornire alternative sostenibili agli articoli vietati. Sull’isola di Pentecoste, le comunità hanno iniziato a sostituire i vasi di plastica con quelli biodegradabili realizzati con le foglie del pandano nativo. Il pandano è una pianta perenne simile a una palma che dà un frutto, a sua volta simile ad un ananas, molto apprezzato in Oceania.
Un’impresa sociale chiamata Mama’s Leaf ha iniziato a produrre assorbenti igienici in tessuto già prima del divieto, e ora ha ampliato la sua gamma a pannolini e borse riutilizzabili.
Basterà tutto questo per fermare l’invasione della plastica, nelle coste oceaniche come nel resto del mondo?
La battaglia a Vanuatu non è ancora vinta. I rifiuti di plastica continuano a devastare l’ambiente naturale e nella laguna di Erakor non è più consentito nuotare a causa dell’inquinamento.
“Il fatto è che la maggior parte dei rifiuti di plastica proviene da confezioni di pasta, riso o biscotti”, spiega un attivista locale. Bisogna porsi l’obiettivo che un giorno il divieto della plastica includa tutti gli imballaggi dei prodotti importati.
Non sarà certo facile. Ma intanto il governo di Vanuatu ha in programma di estendere il divieto di utilizzo della plastica a nuove categorie di merci, e ha dichiarato che quest’anno introdurrà anche un sistema di deposito delle bottiglie di plastica per aiutare a smaltirle, e se possibile, presto ad eliminarle del tutto.
Insomma, la strada è questa.