Le leggi sulla tutela del paesaggio: strumento per un futuro migliore

Dalla tutela del paesaggio letto in chiave estetico-culturale si è passati a preservare anche il territorio inteso in maniera morfologico-ambientale, nell’ottica di estendere il più possibile le aree sottoposte a vincolo, e di consegnare alle future generazioni un’Italia più sostenibile.

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Quante volte ci è capitato di emozionarci davanti a un panorama? Di essere pervasi dalla sua bellezza, di sentirci sereni e in pace? Eppure, da un punto di vista oggettivo, il paesaggio non è altro che un luogo con specifiche caratteristiche morfologiche e geografiche; dunque, perché ha sempre suscitato nell’uomo sensazioni talvolta persino forti e contrastate?

Se lasciamo da parte l’oggettività, emerge chiaramente che il paesaggio ha spesso avuto anche una connotazione soggettiva, sin dal Medioevo, quando fece il suo ingresso in maniera sempre più preponderante nella pittura e nella letteratura. Artisti e poeti utilizzavano la natura per riflettere stati d’animo e per trasmettere messaggi, ambientando, talvolta, le loro storie in contesti realmente esistenti. La pineta di Ravenna, ad esempio, è lo sfondo nel quale si consuma uno degli episodi d’amore più struggenti del Decameron di Giovanni Boccaccio, la novella di Nastagio degli Onesti.

Questo attaccamento soggettivo, “affettivo”, al paesaggio fece sì che, nell’Italia post-unitaria, ci si ponesse il problema di una tutela giuridica di esso, al fine di preservarne non solo le caratteristiche fisiche ma anche la dimensione storico-culturale. Un ruolo cruciale in tal senso lo ebbe proprio la succitata pineta.

La prima legge post-unitaria sulla salvaguardia del paesaggio

In epoca giolittiana, l’Italia mutò il suo volto attraverso una crescente industrializzazione e una prima timida modernizzazione in vari campi, tra cui quello sanitario. L’elevata mortalità infantile e il proliferare di malattie, come la malaria, spinsero la classe politica a promuovere massicci interventi di bonifica e, tra le aree interessate, fu individuata anche la bassa Romagna. Balenò, a un tratto, l’idea di aumentarne il territorio agricolo, sottraendo terreno alla pineta di Ravenna, ma nel progetto non si considerò un elemento fondamentale: la reazione contraria di intellettuali e cittadini.

Il fine non giustifica sempre i mezzi e, di fronte al rischio al quale era sottoposto quel luogo carico di storia, una schiera di  oppositori non esitò a far sentire la propria voce. Tra tutti, un ruolo di primo piano lo ebbe Corrado Ricci, archeologo e storico dell’arte ravennate, che nei suoi scritti denunciò la gravità della proposta e la necessità di specifiche leggi di tutela del paesaggio, fino ad allora inesistenti.

Alla luce dell’appello di Ricci, l’allora Ministro dell’agricoltura, dell’industria e del commercio del Regno d’Italia, Luigi Rava, nativo anch’egli di Ravenna, presentò un progetto di legge per la tutela della pineta e, nel 1905, riuscì a farlo approvare: la legge 411 del 16 luglio 1905 è il primo provvedimento post-unitario dedicato alla salvaguardia del paesaggio storico-culturale, in un’Italia ancora giovane, ma ben conscia del ruolo che il patrimonio poteva svolgere nell’unire popoli fino a non molto tempo prima diversi e distanti.

Da questa legge emanata specificatamente per la pineta, si passò presto a una legislazione di più ampio respiro e, nel 1907, si istituirono, inoltre, le Soprintendenze così come le intendiamo noi oggi: organi territoriali, coordinati a livello nazionale, attualmente dal Ministero della Cultura, all’epoca dal Consiglio superiore antichità e belle arti, che hanno il compito di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale dell’area di competenza.

La tutela del paesaggio storico-culturale

La salvaguardia dei nostri beni paesaggistici si faceva così via via più stringente, anche in virtù dei successivi provvedimenti giuridici: nel 1909 fu, ad esempio, emanata la legge Rosadi (20 giugno 1909, n. 364), la prima legge organica in materia di protezione del patrimonio culturale, successivamente ampliata dalla legge Credaro (23 giugno 1912, n. 688), che estendeva la tutela alle ville, ai parchi e ai giardini di interesse storico o artistico, facendo rientrare a pieno titolo anche le bellezze naturali nei beni da preservare. Sull’onda di questi provvedimenti nacquero nella Penisola i primi parchi nazionali, come il parco nazionale d’Abruzzo o il parco nazionale del Gran Paradiso.

Un ulteriore ampliamento delle aree soggette a salvaguardia avvenne prima con la legge Croce (11 giugno 1922, n. 778), promossa dal filosofo e politico Benedetto Croce, e poi con la legge Bottai (29 giugno 1939, n. 1497), emanata, in epoca fascista, dall’allora Ministro dell’educazione nazionale Giuseppe Bottai. Entrambi i provvedimenti allargavano il campo alle bellezze panoramiche, e a tutte le cose immobili “la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale o della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria”. [https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1922/06/24/148/sg/pdf]

Tuttavia, l’idea che emerge da queste leggi è quella di una concezione estetizzante del paesaggio storico-culturale, da tutelare in quanto bellezza naturale, “volto amato della patria”, per utilizzare una celebre definizione del poeta britannico John Ruskin. Il paesaggio diffuso, o il paesaggio inteso in senso morfologico-ambientale restarono, infatti, privi di tutela fino alla metà degli anni ottanta.

La tutela del paesaggio morfologico-ambientale

È con la cosiddetta legge Galasso (27 giugno 1985, n. 431), proposta dal sottosegretario per i Beni culturali ed ambientali Giuseppe Galasso, che cambiò ancora una volta il quadro della situazione. Una revisione della normativa si era, del resto, resa necessaria non solo in vista dell’introduzione del sistema regionale, previsto già dalla Costituzione nel 1948, ma anche perché furono anni in cui il mondo intero si rese conto della necessità impellente di tutelare il paesaggio.

Il secondo boom economico e il ritorno al libero mercato, che investirono il pianeta negli anni ottanta, misero in grave pericolo l’ambiente: è l’epoca di Ronald Reagan e di Margaret Tatcher, della deregulation, del nucleare e del disastro di Chernobyl. Estendere la tutela del paesaggio il più possibile significava preservarlo dall’industrializzazione, dal boom edilizio e dal dissesto idrogeologico. Sorse, pertanto, un crescente interesse per la tematica e nacquero anche i primi partiti verdi.

La legge Galasso del 1985 si colloca perfettamente in questo clima, tanto da vietare l’edificazione, applicando un vincolo paesaggistico, sui territori costieri, lungo i corsi d’acqua e le relative sponde, vicino alle montagne e ai ghiacciai, nei territori coperti da foreste e da boschi, nelle zone umide, presso i vulcani e nelle aree di interesse archeologico. Per la prima volta, dunque, non si guarda più solo alla bellezza dei luoghi, ma anche al loro valore morfologico-ambientale, seppur in chiave comunque identitaria e culturale.

Queste due anime del paesaggio, inteso sia come bellezza naturale sia come area dalle precise caratteristiche geomorfologiche, continuano a convivere nell’ordinamento italiano, poiché il Codice dei beni culturali e del paesaggio, attuale testo giuridico di riferimento in tema di patrimonio culturale, promulgato nel 2004, sottopone a vincolo sia le cose immobili elencate dalla legge Croce e poi dalla legge Bottai, sia le aree individuate dalla legge Galasso.

Nonostante gli sforzi compiuti nel tempo per preservare il più possibile la nostra Penisola, molte aree sono ancora soggette ad abusi edilizi, consumo di suolo, inquinamento e degrado. La tutela giuridica del paesaggio rappresenta, pertanto, una sfida continua, che richiede un impegno costante da parte delle istituzioni e dei cittadini. Solo attraverso una gestione sostenibile e responsabile del territorio si potranno, infatti, conservare e valorizzare per le prossime generazioni le straordinarie bellezze paesaggistiche che caratterizzano il nostro Paese.

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Da G.T.M.
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