Sapete che cos’è una città cognitiva?
Semplicemente, il futuro della vita urbana. Almeno così la pensano molti tra i maggiori e più “visionari” architetti e urbanisti a livello mondiale.
“Una città in cui l’ambiente urbano è divenuto più efficiente, vivibile e sostenibile grazie alla potenza della tecnologia e dei dati”.
E’ questo il sogno di alcune “grandi menti” della pianificazione e della futurologia, che sta trovando sempre più appoggio nel mondo degli investitori internazionali.
In qualche caso, si parla già di progetti concreti, sulla soglia della fase esecutiva.
Come per la clamorosa utopia futuristica di The Line, la città ultramoderna che dovrebbe sorgere nientemeno che tra i deserti e le montagne dell’Arabia Saudita.
Parliamo, come si sa, di un Paese dai forti contrasti, e spesso sotto i riflettori mondiali riguardo a temi non propriamente secondari come il rispetto dei diritti umani, le libertà personali e così via.
In questo caso, però, le intenzioni sono – o almeno sembrano – assolutamente nobili e condivisibili sul piano etico, sociale e della sostenibilità.
Ma che cos’è The Line?
Si tratta di un ambiziosissimo progetto di sviluppo urbano nato per iniziativa di NEOM, che mira a creare appunto una città sostenibile e tecnologicamente avanzata. Estendendosi per 170 chilometri di lunghezza, The Line è progettata per essere una città lineare che dà priorità alle esigenze umane e alla sostenibilità ambientale rispetto ai metodi tradizionali di pianificazione urbana.
Le caratteristiche- chiave di the line
Si parla prima di tutto di una città verticale: la struttura totale sarà composta da due edifici speculari con uno spazio esterno intermedio, articolati in 135 moduli, ciascuno lungo 800 metri e alto 500 metri e progettati per ospitare 9 milioni di residenti in un’area compatta di soli 34 chilometri quadrati (almeno secondo le stime iniziali, che però pare siano state ridimensionate). Lo scopo è di ridurre al minimo l’uso del suolo massimizzando lo spazio abitativo.
La città funzionerà interamente con energia 100% rinnovabile. Niente auto né strade. Preserverà il 95% delle terre circostanti come riserve naturali, promuovendo la biodiversità e migliorando la qualità della vita dei suoi residenti.
I residenti avranno accesso a tutti i servizi essenziali entro cinque minuti a piedi, e un sistema ferroviario ad alta velocità permetterà di attraversare The Line da un capo all’altro in soli 20 minuti, riducendo significativamente i tempi di viaggio e la congestione.
Tutto questo sarà possibile solo grazie all’uso delle tecnologie più avanzate, come l’intelligenza artificiale e i sistemi di trasporto autonomi. Alla base di tutto starà l’analisi dei dati, per ottimizzare le operazioni quotidiane e migliorare l’esperienza di vita dei suoi abitanti.
Sulla carta, il progetto creerà circa 460.000 posti di lavoro e contribuirà per circa 48 miliardi di dollari al PIL dell’Arabia Saudita, rendendolo un elemento fondamentale della strategia Vision 2030 del paese, che dichiara di voler privilegiare la diversificazione economica e lo sviluppo sostenibile.
Il costo stimato della costruzione è di 100-200 miliardi di dollari (400-700 miliardi di SAR), con alcune stime che arrivano a 1.000 miliardi di dollari.
Ed è tuttavia proprio su questo punto che, a quanto pare, i lavori preparatori si sarebbero parzialmente, per usare un gioco di parole, “insabbiati”.
Nell’aprile scorso, infatti, Bloomberg News ha rilasciato uno “scoop”: nonostante la massima impenetrabilità sullo stato di avanzamento dei lavori, il progetto sarebbe stato decisamente ridimensionato a causa delle restrizioni sui finanziamenti da parte del fondo sovrano saudita Public Investment Fund (PIF) che doveva fornire la metà della somma.
Bloomberg sostiene che l’obiettivo attuale sarebbe di arrivare entro il 2030 al completamento di una sezione della città di 2,4 chilometri (1,5 miglia) che avrebbe contenuto meno di 300.000 residenti, con una riduzione di oltre il 98%.
Un sogno davvero ridimensionato.
Non è, questo, l’unico motivo di controversia che riguarda il progetto. Fa discutere anche l’estrema riservatezza che la direzione del progetto ha richiesto a tutti i professionisti coinvolti. Il quotidiano tedesco “Süddeutsche Zeitung” riferisce che due architetti, Norman Foster e Francine Houben di Mecanoo, hanno interrotto la loro partecipazione al progetto a causa di preoccupazioni relative ai diritti umani e all’ambiente.
Lo stesso giornale ha riportato che diversi architetti di alto livello facevano ancora parte del board di professionisti, come David Adjaye, Ben van Berkel (UN Studios), Massimiliano Fuksas, lo studio londinese della defunta Zaha Hadid, Rem Koolhaas, il Laboratory for Visionary Architecture (LAVA) e Delugan Meissl e Wolf D. Prix di Coop Himmelb(l)au. Insomma, il gotha dell’architettura mondiale.
Come andrà a finire? Il sogno di un “capolavoro architettonico a specchio che svetta a 500 metri sul livello del mare, ma con una larghezza ridotta a 200 metri” diventerà un modello mondiale per una città davvero smart e pienamente sostenibile? Staremo a vedere.