Tempi dei romani – La paleoclimatologia è una disciplina relativamente recente che, dall’ambito ristretto dei climatologi, geologi, oceanografi, glaciologi, è giunta, per così dire, agli “onori delle cronache” negli ultimissimi anni, in contemporanea con l’impennata di interesse da parte dell’opinione pubblica verso i fenomeni del clima.
Cambiamento climatico, riscaldamento globale, fenomeni estremi: alla ricerca di una spiegazione di questi veri e propri sconvolgimenti del nostro rapporto con l’ambiente (e di previsioni affidabili su quel che ci aspetta), gli studi sul paleoclima hanno cominciato ad interessare sempre più il mondo dei media. Con il risultato di diffondere sintesi di complesse ricerche in modo spesso generico e “sensazionalistico”, giungendo a conclusioni approssimative, forzate, addirittura fuorvianti.
Un classico esempio di questo fenomeno mediatico è il “dibattito” sul clima al tempo della Roma antica.
E’ di quattro anni fa l’uscita di un libro (peraltro scritto da uno studioso di lettere classiche e non da uno scienziato del clima) che fece familiarizzare molti con la definizione fino ad allora sconosciuta ai più di “optimum climatico romano”.
Il “periodo caldo romano” o “optimum climatico romano” è in effetti un periodo che si colloca circa dal 200 a.C. al 400 d.C. (più o meno sei secoli, dunque) in cui il clima dell’Europa, dell’area mediterranea e dell’Atlantico settentrionale è stato significativamente più caldo (1,5-2 °C) e umido dei secoli precedenti e successivi.
La scoperta, com’è facile intuire, è opera dei paleoclimatologi: i quali hanno appunto riscontrato, grazie a una serie di misurazioni scientifiche, che tra il III secolo a.C. e il V d.C. la temperatura nelle zone in cui si estendeva (progressivamente) il dominio di Roma era più calda di circa 1,5-2 gradi Celsius rispetto ai valori medi dei tempi precedenti e di quelli che seguirono. Inoltre, nel suddetto periodo si verificò un’intensificazione delle piogge, soprattutto in estate.
Ovvio ipotizzare che fra queste condizioni climatiche “favorevoli” (ma lo furono poi così tanto, visto che faceva più caldo di oggi, e non c’erano i condizionatori?) e l’espansione del dominio romano su buona parte del mondo allora conosciuto ci sia stato un nesso causale, anche se non esclusivo (cioè non fu l’unica causa). In che modo, è facile intuirlo.
Il clima più caldo avrebbe agevolato alcune spedizioni militari romane, in particolare le conquiste a nord delle Alpi, in Gallia, Britannia e Germania.
Le piogge estive più intense avrebbero garantito acqua e prosperità alle città romane: si sa che nel I e nel II secolo d.C., ad esempio, le piene del Tevere cadevano in marzo ed agosto.
La temperatura più alta e l’aumentata disponibilità di acqua avrebbero favorito lo sviluppo dell’agricoltura: abbiamo imparato a scuola che il Nord Africa, oggi in buona parte desertico, fosse all’epoca terra fertile e produttiva.
Al contrario, il lento ma costante raffreddamento del clima a partire dal 150 d.C. avrebbe influito sul declino della civiltà romana, rendendo più difficile la vita in molti modi (per esempio il freddo avrebbe favorito la diffusione di alcuni virus).
Il Mediterraneo era più caldo?
A questo ambito di ricerche è da attribuire anche lo studio le cui conclusioni erano uscite circa tre anni fa e che in queste settimane sono state riprese dai media: studio che riguarda la temperatura del mar Mediterraneo in epoca antica.
La ricerca, condotta dall’Istituto per la protezione idrogeologica (Cnr-Irpi) in collaborazione con l’Istituto di scienze marine (Cnr-Ismar) e l’Università di Barcellona e pubblicata sullo Scientific Reports del gruppo Nature, ha scoperto che ai tempi dell’Impero romano il Mediterraneo conobbe un eccezionale riscaldamento: le temperature superficiali superarono di due gradi i valori medi registrati alla fine del XX secolo, i più alti degli ultimi duemila anni.
I ricercatori si sono concentrati In particolare nel settore occidentale del Canale di Sicilia. Qui, mediante un sistema di carotaggio a gravità, è stato possibile quantificare l’entità del riscaldamento nella regione mediterranea durante il periodo romano (1-500 d.C.). Integrando questi numeri con quelli provenienti da altre aree del Mediterraneo (mare di Alboràn, bacino di Minorca e mar Egeo) è emersa una fase di eccezionale riscaldamento che va dal I al V secolo dopo Cristo.
E dunque?
Questo è bastato per far ripartire da parte di qualcuno (giornali, opinionisti di vario tipo ed estrazione e via dicendo) il refrain che ormai ben conosciamo: quella del riscaldamento globale è la “bufala” degli ultimi decenni… Anche il Mediterraneo, vedi?, era più caldo duemila anni fa…
Insomma, d’estate fa caldo, come hanno detto eminenti personalità nostrane per aprirci gli occhi sulla presunta grande “fake news” del clima che cambia e della Terra che si riscalda a ritmi insostenibili.
Ma sono i climatologi per primi a smentire questa interpretazione dei dati.
L’aumento delle temperature terrestri (in Europa) verificatosi nell’antichità non ha nulla a che vedere con il riscaldamento globale di oggi.
Si tratta di due fenomeni climaticamente del tutto imparagonabili. Per almeno due ragioni.
La differenza con il riscaldamento globale di oggi
La prima è di tipo temporale. Il riscaldamento antico avvenne nell’arco di almeno sei secoli: fu dunque lungo e progressivo, a differenza del repentino e brusco riscaldamento che sta avvenendo ora.
E’ soprattutto a causa di questa velocità che, negli ultimi decenni, assistiamo a un aumento dei fenomeni estremi (piogge, tempeste, frane): fenomeni dei quali non c’è riscontro per il periodo antico, né nei dati scientifici né presso le altre fonti, ad esempio quelle gli storici antichi.
In altre parole, questa velocità del cambiamento non consente all’ambiente di trovare un nuovo equilibrio: da qui il moltiplicarsi di fenomeni più intensi e dannosi per le attività umane. E non è una differenza da poco.
La seconda differenza è di tipo locale. Del riscaldamento antico sappiamo che si verificò in un’area ben definita: quella, come detto, dell’Europa dall’Atlantico settentrionale al Mediterraneo.
Il “nostro” riscaldamento è invece un fenomeno globale, che interessa il pianeta nella sua interezza.
Ma poi, è proprio vero che il riscaldamento antico ebbe solamente cause naturali? E che l’azione dell’uomo, anche se non conosceva ancora la tecnologia dei motori a combustione, non abbia contribuito in qualche modo? Ne parleremo nel prossimo articolo.