Da qualche giorno, sui giornali di tutto il mondo, circola una notizia che è quasi una non-notizia per chi ha seguito la questione in passato. Il CEO di Amazon, Andy Jassy, in un suo memo aziendale di settembre 2024, pubblicato in rete, ha affermato che, a partire da gennaio 2025, si tornerà a lavorare in ufficio.
In realtà, per i dipendenti di Amazon, non è stato esattamente un fulmine a ciel sereno, poiché già all’inizio del 2023, erano stati informati dallo stesso Andy, così come il CEO si firma nei memo, che questa sarebbe stata la linea aziendale per il futuro.
La novità, probabilmente, non avrà alcuna influenza sui clienti di Amazon, che continueranno ad avere il “miglior servizio clienti”, come recita il claim del famosissimo e-commerce.
Tuttavia, la decisione lascia alcuni analisti perplessi, poiché sembra mettere in discussione il paradigma secondo cui lo smart working avrebbe rappresentato il futuro del lavoro, o comunque una parte di esso. Ma quali sono, dunque, le motivazioni che hanno portato Amazon a questa decisione?
I vantaggi del lavorare insieme secondo Andy Jassy
Il principale motivo che ha spinto Andy Jassy a questa decisione è la necessità di lavorare insieme. In sintesi, il primo dirigente di Amazon afferma che lavorare nello stesso luogo rende più facile imparare dai colleghi, modellare, mettere in pratica e rafforzare la cultura aziendale. Diventa anche più facile collaborare, fare brainstorming e creare nuove idee: tutte queste attività diventano più fluide, poiché i team di lavoro tendono a essere meglio connessi tra loro.
Nel suo memo del 2023, afferma anche: «Sono ottimista sul fatto che questo cambiamento darà una spinta alle migliaia di aziende situate attorno alle nostre sedi centrali urbane…». E’ probabile che la transizione sarà graduale; consideriamo che Amazon ha migliaia di dipendenti da far rientrare, ma la strada è segnata. E queste sono le motivazioni del CEO di Amazon.
I pro e i contro dello smart working e l’impatto ambientale
Consideriamo, quindi, che già altre aziende nazionali e internazionali avevano iniziato a interrompere lo smart working, considerato in molti casi come un evento straordinario dovuto a un periodo di pandemia, un evento eccezionale, di fatto. Facciamo alcune considerazioni
I contro dello smart working
Gli esperti hanno rilevato che lo smart working può presentare aspetti negativi da tenere seriamente in considerazione
Uno dei principali svantaggi è la mancanza di interazione sociale, che può portare a sentimenti di isolamento e in alcuni casi a una diminuzione della motivazione e della produttività.
L’inserimento di nuovi dipendenti in un contesto di lavoro remoto, dove manca un’interazione costante, può risultare complesso, rendendo difficile la trasmissione della cultura aziendale e delle pratiche operative.
L’uso intensivo della tecnologia a casa può causare in alcuni soggetti stress (tecnostress) e problemi legati alla salute mentale, come ansia e depressione, dovuti all’isolamento prolungato.
La continua connessione con l’azienda ha creato in alcuni individui la percezione di una sorveglianza costante; l’ufficio che chiama a qualsiasi orario è, in alcuni casi, diventato più che un’abitudine, un metodo di lavoro. Questa sensazione, spesso reale, di non terminare mai la giornata è costantemente presente nella vita di molte persone.
I pro dello smart working
Da quanto esposto finora, la discussione sembrerebbe conclusa. Tutti in ufficio, dunque. Eppure, lo smart working non è da scartare completamente, poiché presenta anche aspetti positivi. Vediamo brevemente quelli più significativi.
Lo smart working offre ai lavoratori maggiore flessibilità riguardo agli orari e ai luoghi di lavoro, consentendo una migliore gestione del tempo tra vita professionale e personale.
Gli studi mostrano che i lavoratori in smart working riportano livelli di benessere più elevati rispetto ai colleghi che lavorano in ufficio, con un miglioramento dell’engagement e della soddisfazione professionale. Non vale per tutti, come abbiamo detto.
In molti casi, i lavoratori in smart working hanno avuto aumenti di produttività.
Anche l’impatto immobiliare è stato significativo. I lavoratori in smart working hanno sentito la necessità di un maggiore spazio abitativo. Questo ha favorito lo spostamento dai centri alle zone periferiche dove i prezzi sono minori, a vantaggio del ripopolamento di alcune zone periferiche o borghi oramai abbandonati.
workation e nomadismo digitale sono un’altra delle conseguenze, che alcuni potrebbero considerare positive, quasi un sogno. Consiste nel vivere e lavorare in luoghi di vacanza e in alcuni casi cambiare posti in cui vivere e lavorare
Il South Working è un’altro fenomeno. Si tratta di lavoratori che lavorano per aziende del nord che si sono trasferiti nel sud ed operano in remoto. I lavoratori scelgono di trasferirsi al Sud per vari motivi, tra cui il desiderio di migliorare la qualità della vita, ridurre il costo della vita e avvicinarsi alla famiglia. Questo spostamento avrebbe il potenziale per “rivitalizzare” le aree meridionali contribuendo a combattere lo spopolamento e a stimolare l’economia locale.
Ad esempio, lavorare da casa per due giorni alla settimana potrebbe ridurre l’emissione di 480 kg di CO2 all’anno per persona
Smart working e ambiente
Tra tutti questi punti, su uno in particolare vorremmo soffermarci: l’impatto ambientale.
Secondo uno studio dell’International Energy Agency (IEA), il lavoro da casa può portare a un risparmio energetico complessivo fino a 24 milioni di tonnellate di CO2 a livello globale, considerando sia la riduzione degli spostamenti sia l’aumento del consumo domestico di energia.
Ad esempio, uno studio dell’ENEA ha rilevato che lo smart working può diminuire gli spostamenti quotidiani di circa un’ora e mezza per persona, arrivando a un totale di 46 milioni di chilometri risparmiati, con un risparmio, di conseguenza, di più di 2,8 milioni di tonnellate di CO2.
La questione ambientale rimane dunque fondamentale. Si ripresenta ancora l’annosa questione se il concetto di crescita e sviluppo possa essere compatibile con le necessità ecologiche.
Una situazione intermedia, come lavorare solo alcuni giorni in ufficio e altri da casa, potrebbe essere una soluzione facilmente praticabile e potrebbe avere benefici sull’ambiente. Ad esempio, lavorare da casa per due giorni alla settimana potrebbe, come abbiamo già detto, prevenire l’emissione di 480 kg di CO2 all’anno per persona
La soluzione intermedia?
Eppure, le stesse big tech, nonostante la tendenza al rientro in ufficio, continuano a sviluppare attivamente sistemi elettronici e servizi per il lavoro remoto. Sembra, quindi, che il futuro del lavoro non sia scritto in modo definitivo, e che un equilibrio tra presenza fisica e flessibilità possa essere la chiave per conciliare le esigenze delle aziende e dei lavoratori. Quale direzione prenderà, quindi, il mondo del lavoro? Sarà il modello ibrido a plasmare le nostre vite professionali, o assisteremo a nuovi cambiamenti, magari, inaspettati? La questione rimane aperta.