Facciamo subito una precisazione: purché non sia un parcheggio.
E nemmeno una riedizione delle care vecchie colonie estive di antica memoria, che saranno anche un bel ricordo ma del cui modello educativo sinceramente non si rimpiange la mancanza.
Il progetto varato dal ministero dell’Istruzione per le “scuole aperte d’estate” può invece essere un’opportunità – se ben pensato e organizzato – per dare spazio finalmente a tutte quelle attività educative che nell’orario scolastico ufficiale settembre-giugno non trovano un posto minimamente adeguato. E fra queste – essendo d’estate – anche l’educazione ambientale.
La notizia, che sta generando un vero vortice di click e contatti sul web, è che il ministero dell’Istruzione ha stanziato 400 milioni (80 in più rispetto al precedente biennio) per finanziare attività di inclusione, socialità e potenziamento delle competenze nelle scuole durante le vacanze estive.
Il provvedimento riguarderà l’estate 2024 e l’estate 2025 ed è destinato alle scuole primarie e secondarie statali e paritarie non commerciali, che ogni anno chiudono per 3 mesi, la pausa estiva più lunga in Europa.
Secondo quanto riporta il comunicato del ministero guidato da Giuseppe Valditara, le risorse permetteranno di sostenere progetti di formazione sportiva, musicale, teatrale, a tema ambientale, ma anche di potenziamento disciplinare e semplici attività ricreative. I docenti potranno aderire su base volontaria e verranno remunerati in base alle risorse disponibili per i moduli didattici attivati. Il ministero ha anche esortato le scuole ad “arricchire l’offerta”, tramite collaborazioni con enti locali, università, organizzazioni del volontariato e del terzo settore o famiglie.
Se sommate ad ulteriori fondi – come i 750 milioni destinati dal Pnrr al contrasto della dispersione scolastica e al superamento dei divari territoriali e i 600 milioni sempre dal Pnrr per azioni di potenziamento delle competenze in scienze, tecnologia, ingegneria e matematica – le risorse totali potranno riguardare una platea compresa tra gli 800 mila e 1,3 milioni di studenti e studentesse. Si stima che potrebbero offrire fino a 1,714 milioni di ore di attività supplementari.
Educazione ambientale, una “cenerentola” da potenziare
Il decreto del ministero incoraggia esplicitamente le scuole a organizzare attività all’aperto, che educhino alla sostenibilità e alla cura dell’ambiente.
Ma qual è la realtà attuale dell’educazione ambientale nelle scuole italiane?
Come spesso accade nel nostro Paese, alle dichiarazioni di principio (che non costano nulla) si fatica a far seguire azioni concrete e incisive in materia.
Sul piano teorico e dei principi, infatti, Italia è stato il primo paese in Europa a introdurre l’educazione ambientale come materia di studio nei programmi formativi di ogni grado scolastico.
E tuttavia l’educazione all’ambiente non è concepita e insegnata come una materia al pari delle altre con un insegnante specifico, ma piuttosto come uno “sfondo” culturale interdisciplinare, sul quale inserire valori come la sostenibilità, la tutela dell’ambiente, la biodiversità.
Questo comporta il fatto che la reale preparazione sui temi da parte degli insegnanti sia difficile se non impossibile da certificare e controllare.
“Fondamentale è la formazione degli insegnanti: oggi non è pensabile che sia gli studenti che i loro professori non sappiano ad esempio, quali siano i 17 obiettivi previsti dall’Onu, oppure cosa significhi transizione ecologica”, ha spiegato poco tempo fa Enrico Giovannini, già ministro delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibile con il governo Draghi e oggi direttore scientifico dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), che in questi anni ha collaborato con il ministero dell’Istruzione per cercare di colmare il gap sull’educazione ambientale nelle scuole.
L’Asvis è, in effetti, il partner più attivo sul piano nazionale fra quanti hanno a cuore (o dovrebbero) un’offerta scolastica e formativa efficace in campo di educazione all’ambiente e alla sostenibilità.
“Lavoriamo per inserire questi temi nei libri di testo per le scuole elementari e le scuole medie, oppure per fare entrare in vigore l’obbligo formativo dei docenti” spiega ancora Giovannini.
L’educazione ambientale, però, si fa anche sul piano pratico, delle scelte concrete. Sta nascendo, non senza difficoltà, la Rete delle Scuole Green, ovvero di quegli istituti che stanno lavorando per abbattere le emissioni di CO2 nel loro ambiente scolastico.
Come riuscire, dunque, a fare una seria attività di educazione all’ambiente dentro le 33 ore annue di Educazione civica stabilite nel 2019 dal ministero (le settimane di scuola sono 35, quindi fate un po’ voi il calcolo…), senza che si confondano in un calderone di materie più o meno civiche (cittadinanza digitale? Bullismo?) e senza una preparazione specifica dei docenti?
Si spera che un aiuto venga dai protocolli d’intesa che il ministero sta attivando con le organizzazioni nazionali e internazionali, enti, associazioni di settore sui temi dell’educazione ambientale, alla sostenibilità, al patrimonio culturale, alla cittadinanza globale. Già siglati sono i protocolli con Legambiente, il WWF, l’Arma dei carabinieri, il Fai.
Da qui dovrebbero arrivare quelle competenze necessarie per una seria attività didattica e formativa su una “materia” che ormai è materia principale della nostra vita.