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Rifugiati climatici – Le migrazioni climatiche rappresentano un fenomeno di crescente importanza nel contesto dei cambiamenti climatici globali. Queste migrazioni, che avvengono quando i cambiamenti nel clima globale influenzano le condizioni di vita in modo tale da spingere le persone a spostarsi, stanno diventando una realtà sempre più rilevante. Lo spostamento di popolazioni non è un fenomeno nuovo, ma il suo ritmo e la sua scala sono accelerati a causa del riscaldamento globale e dei suoi effetti correlati, come l’innalzamento del livello del mare, eventi meteorologici estremi, siccità prolungate e cambiamenti nei modelli di precipitazione.
Le migrazioni climatiche tempo e destinazione:
In base al tempo possono assumere diverse forme, includendo sia spostamenti a breve termine in risposta a eventi climatici estremi come uragani o inondazioni, sia migrazioni a lungo termine dovute a cambiamenti ambientali più graduali, come la desertificazione o l’erosione costiera. Questi movimenti di popolazione presentano sfide uniche, non solo per chi è costretto a migrare, ma anche per le comunità di accoglienza e per i governi che devono gestire l’arrivo di nuove popolazioni.
In base alla destinazione possono essere sia interne che internazionali. Quelle interne avvengono quando le persone si spostano all’interno dei confini del proprio paese, spesso da aree rurali a zone urbane, a causa di cambiamenti ambientali come siccità, inondazioni o erosione del suolo. Questi spostamenti possono portare a sovraffollamento, problemi di alloggio e tensioni sociali nelle aree urbane di destinazione.
Le migrazioni internazionali, invece, si verificano quando le persone attraversano i confini nazionali per sfuggire agli impatti del cambiamento climatico. Questi movimenti possono creare sfide diplomatiche e di integrazione, poiché i migranti cercano sicurezza e opportunità in nuovi paesi. Entrambi i tipi di migrazione richiedono politiche attente per gestire l’adattamento e la resilienza delle popolazioni colpite.
Gli studi su questo fenomeno.
Nel 2022, secondo il rapporto del Centro di Monitoraggio degli Sfollamenti Interni (IDMC), sono stati registrati quasi 61 milioni di nuovi spostamenti interni, un aumento del 60% rispetto all’anno precedente. Questa cifra rappresenta il numero più elevato mai segnalato e comprende sia nuovi spostamenti sia spostamenti ripetuti.
Tra questi, i disastri, inclusi le inondazioni in Pakistan e il tifone Noru nelle Filippine, hanno portato a 32,6 milioni di spostamenti interni, il numero più alto mai registrato. Si prevede che questo numero aumenterà man mano che la frequenza, la durata e l’intensità dei pericoli naturali peggiorano nel contesto dei cambiamenti climatici.
Il rapporto sottolinea anche che l’insicurezza alimentare è sia una causa che una conseguenza degli spostamenti interni e può rappresentare un ostacolo per trovare soluzioni a questo problema.
Crisi senza precedenti multidimensionali stanno diventando la norma e l’impatto sulla mobilità umana è sempre più evidente. Crisi legate agli impatti climatici in corso, agli effetti prolungati della pandemia, all’instabilità economica, all’aumento dei prezzi degli alimenti e alle ripercussioni globali della guerra in Europa hanno portato a livelli record di insicurezza alimentare in grandi parti del mondo nel 2022.
Questo rapporto dell’IDMC è un chiaro avvertimento che è necessario intraprendere azioni concrete ora per trovare soluzioni sostenibili agli spostamenti interni.
Il fenomeno non riguarda solo l’Asia, Africa sub-sahariana, Medio Oriente e Nord Africa ma anche Europa e Asia centrale e Americhe.
In generale ogni parte del mondo sarà coinvolta nei fenomeni derivanti dai cambiamenti climatici. Un rapporto datato 2019 del IPCC (Intergovernmental Panel On Climate Change, evidenzia che più di un miliardo di persone a livello globale potrebbero essere esposte a rischi climatici specifici delle zone costiere entro il 2050, potenzialmente spingendo decine o centinaia di milioni di persone a lasciare le loro case nei prossimi decenni. I processi a lento sviluppo, come le siccità o l’innalzamento del livello del mare, influenzano sempre più la mobilità delle persone in tutto il mondo.
A questo proposito, il rapporto Groundswell della Banca Mondiale prevede che i cambiamenti climatici potrebbero portare fino a 216 milioni di persone in sei regioni del mondo a spostarsi all’interno dei propri paesi entro il 2050 se non verranno intraprese azioni urgenti per ridurre le emissioni globali di gas serra.
L’impatto delle migrazioni climatiche è un fenomeno multidimensionale. Riguarda questioni di sicurezza umana, diritti umani, sviluppo sostenibile e persino la pace e la sicurezza internazionali. Le persone che migrano a causa del cambiamento climatico spesso si trovano in una situazione di vulnerabilità, dovendo affrontare non solo la perdita della loro casa e dei loro mezzi di sussistenza, ma anche sfide nel trovare nuove opportunità nelle aree in cui si spostano.
Andando di questo passo è’ sempre più concreta l’ipotesi che si debba fare i conti con una nuova figura nell’ emergenza emigrazioni il “rifugiato climatico”. Questo termine è limitato, al momento, alla sua forza evocativa ma non possiede ancora un riconoscimento giuridico internazionale formale.
Ciò significa che, nonostante l’evidente impatto dei cambiamenti climatici sulla migrazione umana, i “rifugiati climatici” non sono riconosciuti dalla legislazione internazionale come rifugiati tradizionali, ciò ne limita l’accesso a protezione e assistenza specifiche. Il concetto moderno di rifugiato nasce dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dal suo Protocollo del 1967. Questa mancanza di riconoscimento formale solleva, almeno per il momento.questioni importanti sulle responsabilità globali e sulla protezione dei diritti umani in contesti di emergenza climatica.
fonti:
https://environmentalmigration.iom.int/resources/idmc-global-report-internal-displacement-2022