Alla domanda su chi siano stati i primi ambientalisti italiani non è semplice dare una risposta netta e univoca.Se però parliamo di movimenti e associazioni a difesa della natura e dell’ambiente, allora il quadro storico si fa più preciso, ed è possibile rispondere con una certa sicurezza.
La palma del primo movimento ambientalista nel nostro Paese va infatti indiscutibilmente al Movimento Italiano per la Protezione della Natura, sorto nell’ immediato dopoguerra ad opera di alcuni veri e propri “pionieri” dell’ecologismo italiano: prima fra tutti, la figura non sufficientemente valorizzata nella storia italiana contemporanea – e anzi troppo poco conosciuta – di Renzo Videsott.
Vediamo, allora, di conoscerlo un po’ meglio.
Veterinario. Alpinista. E cacciatore (fino alla conversione)
Renzo Videsott nasce a Trento nel 1904. NeI 1928 si laurea in Veterinaria all’Università di Torino. Dopo dieci anni, consegue la libera docenza in Patologia speciale e Clinica medica veterinaria e la cattedra di Farmacologia veterinaria, che terrà per 12 anni. Nel 1943 viene nominato Direttore dell’Istituto di Patologia e Clinica Medica Veterinaria.
Ma la sua brillante carriera universitaria non durerà fino alla fine della vita professionale. Nel ’51, Videsott rinuncia ad ogni attività accademica: il suo “mestiere” a tempo pieno è diventato un altro. Quello di dirigere la creatura da lui voluta con tutte le sue forze e non senza grandi difficoltà: il Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Ambiente e montagna, oltre all’amore per gli animali, sono le grandi passioni della sua vita. La montagna, poi, è ben più di una passione. Dal 1922 Renzo è socio della S.A.T. (Società Alpinisti Tridentini), poi sarà presidente della S.U.S.A.T. (Sezione Universitaria della S.A.T.). Perché il giovane Videsott è un grande alpinista, uno dei migliori rocciatori della sua generazione.Dall’età di diciott’anni, Renzo arrampica da solo o in compagnia di nomi come Domenico Rudatis, Pino Prati, Raffaello Prati, Giorgio Graffer ed altri. È fra i primi in Italia a superare le difficoltà del VI grado; molte le sue ascensioni che entreranno nella storia dell’alpinismo italiano, come quella dello spigolo nord-ovest della Busazza nel gruppo del Civetta, 1.100 metri di arrampicata.
Anni dopo, Videsott ammetterà lo stretto legame tra la sua attività di scalatore e la formazione della sua coscienza ambientale: “Solo perché mi ero impegnato a fondo sulle vie nuove nelle Dolomiti, mi sono impegnato a fondo poi per la specie stambecco e per l’istituzione del parco”.
Negli anni della gioventù, Renzo è anche un appassionato cacciatore. Scriverà più tardi di sé stesso: “Dai 6 ai 23 anni uccide selvaggina di alta montagna; dai 23 ai 30 anni si specializza a sterminare camosci; però, dopo il 1947 non ho più ucciso un solo animale in alta montagna”.
La “conversione” di Renzo
La “conversione” di Videsott cacciatore alla protezione assoluta della fauna di montagna e di tutte le specie del pianeta, è lui stesso a raccontarla, con parole e immagini toccanti.
“Pochi, quanto me, hanno stroncato la magica abilità dei superstiti camosci oppure l’innocenza dei caprioli brucanti nel più cupo bosco”, confesserà lui stesso una volta smessi i panni del cacciatore.
Nei suoi diari, Videsott racconta che la sua caduta sulla via di Damasco avvenne sull’altipiano di Fanes, in Trentino: un camoscio da lui ferito a morte lo fissava intensamente, prima di finire la sua esistenza appoggiato a un larice. “Lo sguardo di quell’animale ferito mortalmente rivelò nell’uomo l’assassino, spense per lui e per sempre ogni avidità, orgoglio, impegno emulativo, la vanità di sopprimere l’animale di qualunque classe o dimensione fosse” (Prati, 1972).

Nel 1942-1943 Renzo è infatti direttore della riserva di caccia dell’industriale De Angeli di Milano, situata a Marebbe in Alto Adige: lì era riuscito a portare 3 maschi e una femmina di stambecco dal Gran Paradiso.
Con l’occupazione dell’esercito tedesco, Videsott viene cacciato dalla riserva. Si trasferisce allora sul Gran Paradiso, dove inizia clandestinamente la sua azione per il salvataggio dello stambecco.
Il massiccio valdostano-piemontese è però nel ’43 anche zona partigiana. Così Videsott ha la straordinaria (e rischiosissima) opportunità di associare due militanze: quella per l’ambiente e quella per la libertà.
Da quel 1943 sino al 1947 Renzo organizza il servizio di sorveglianza per la protezione della fauna e dello stambecco, insieme ad un gruppo di guardie, ovviamente nella totale clandestinità e con grave pericolo personale.
Nel 1945, alla Liberazione Videsott viene nominato dal C.L.N. Commissario straordinario del Parco Nazionale Gran Paradiso. Cominciano già qui le resistenze verso la sua attività: arrivano in primis dal Comando alleato, che non vuole riconoscere la sua nomina.
Fra tante difficoltà, Videsott può però contare su un gruppo di amici, molti dei quali animati dai suoi stessi ideali. In Valle d’Aosta ci sono Carlo Passerin d’Entrèves, Severino Caveri, Federico Chabod (con cui Videsott avrà per anni un intenso scambio epistolare), Paul-Alphonse Farinet, Ernesto Page, Renato Nouchy, Celestino Dayné ed altri.
Il suo rapporto con il Presidente della Regione autonoma Caveri sarà importante per far approvare (non senza difficoltà e un iter faticoso) la storica legge del 1947, che istituisce l’Ente autonomo Parco Nazionale Gran Paradiso. Si tratta di una rifondazione totale degli indirizzi e degli scopi del Parco, che dalla sua nascita nel 1922 aveva visto disattese sotto il fascismo tutte le sue premesse, portando fra l’altro ad una quasi sparizione degli stambecchi.
Videsott ne viene nominato Vice-Presidente e Direttore tecnico; nel 1951 sarà nominato Direttore Sovrintendente del parco, carica che manterrà fino al 1969.
Un italiano fra i padri dell’ambientalismo (internazionale)
Se volessimo riassumere in poche righe la vastissima attività protezionistica di Renzo Videsott, scopriremmo subito che i punti essenziali di questo “curriculum” ambientalista corrispondono tutti a battaglie da lui intraprese, spesso contro interessi di varia natura e nell’incomprensione di molti.
La salvezza della specie stambecco sulle Alpi Graie nell’ultima località delle Alpi ove ancora viveva allo stato naturale. La ricostituzione dell’Ente autonomo Parco Nazionale del Gran Paradiso. Le tante iniziative intraprese per i parchi nazionali italiani, con relazioni, esposti, articoli e interventi a favore dei parchi. La partecipazione alla fondazione dell’Union Internationale pour la Protection de la Nature. L’attività per la protezione degli uccelli.
E molto altro ancora, lungo i decenni di una vita intensissima.
Ce n’è abbastanza per essere d’accordo con coloro che pongono il nome di Renzo Videsott tra i grandi pionieri della protezione della natura non solo in Italia ma nel mondo intero: da Aldo Leopold a Julian Huxley, a Rachel Carson, a Jean Dorst, ad Aurelio Peccei.
Che cos’è un Parco nazionale
Dobbiamo quasi certamente a Renzo Videsott la definizione chiara della natura e dell’identità di quello che oggi siamo abituati a chiamare “Parco nazionale”, e che invece per molti decenni è stato un concetto tutt’altro che scontato (e ancor meno condiviso).
“Ho improntato fin dal 1943 la mia attività al rispetto del concetto di Parco Nazionale” ha spiegato Videsott “cioè di questa istituzione sorta per la conservazione e difesa della natura e delle sue risorse, concetto che non dovrebbe ammettere compromessi di nessun genere”.
Senza compromessi: vuole dire affrontando a viso aperto le inevitabili lotte che l’affermazione di una realtà come quella impone a chi vi dedica la sua vita. “Il parco è un luogo dove si lotta, si soffre e si vince per una concreta protezione della natura”, è una sua frase divenuta celebre.
Nel dicembre 1945, Videsott scrive a proposito della “filosofia” di un Parco: “Noi moderni desideriamo delle piccole oasi nel mondo, in cui l’uomo non sia correttore delle forze naturali (…). Conseguirà, così, in noi, un rinnovato amore alla natura ed è proprio questo ritorno amoroso alla madre natura una via di rigenerazione degli uomini. Solo così il vero e lo spirito prevarranno sull’attuale falso idolo, che è il materialismo umano, che tramite la macchina, i numeri, le categorie stagne, porta all’assurdo e alla morte”.
Un parco ben organizzato e diretto con chiarezza di intenti, secondo Videsott, non deprime, ma anzi valorizza l’economia della zona montana. Integra i bilanci comunali, contribuisce alla lotta contro lo spopolamento montano, da’ il suo contributo al sistema pascolo-foresta-montagna, promuove le aspirazioni alpinistiche, ed è alleato delle forze dell’ordine per il controllo di un territorio impervio.
Nel 1955 Renzo Videsott organizza a Cogne il I° congresso internazionale degli amministratori e direttori di parchi nazionali, con la partecipazione di esperti, oltre che italiani, francesi, svizzeri e austriaci. La sua relazione introduttiva è ancora oggi un caposaldo di teoria e pratica dei parchi nazionali.
Da una parte vi indicava gli ostacoli e gli aspetti negativi: il fatto che i parchi non siano proprietari dei propri terreni; l’impossibilità di totali affittanze; la pressione delle popolazioni locali sull’istituzione dei parchi.
Per superare questi problemi, Videsott proponeva, per la prima volta in Italia, un’idea che sarà fondamentale nella gestione futura dei parchi: la zonizzazione, ovvero “l’adattamento di varie zone, entro il parco nazionale, in rapporto agli studi naturalistici, ai visitatori e ai montanari locali“. Suggeriva zone scientifiche, zone di disciplinato turismo, zone di pre-parco distinte in pre-parco turistico, pre-parco venatorio, pre-parco biologico.
Un cammino ad ostacoli
Di lotte e sofferenze, Videsott ne ha affrontate tante per dare vita alla sua creatura. Nel 1951, poco dopo la faticosa gestazione del Parco, Renzo viene clamorosamente esautorato dal Consiglio del parco dall’incarico di difendere la Valsavaranche dalla costruzione dell’elettrodotto ad opera del Consorzio del Buthier, nonostante un pronunciamento internazionale, ottenuto grazie ai suoi sforzi, dell’assemblea dell’Unione Internazionale Protezione Natura a Bruxelles.
Nel 1969 la sua gestione subirà un violento attacco da parte di alcuni consiglieri del territorio, che lo costringerà a dare le dimissioni anticipate. Da lì cominceranno lunghi anni di damnatio memoriae della sua figura e della sua opera decisiva per il Parco, che troverà un risarcimento solo negli ultimi decenni. Un destino comune, questo, a molti attivisti per l’ambiente, soprattutto nel nostro Paese.
Il Movimento italiano per la Protezione della Natura
E arriviamo all’argomento con cui abbiamo aperto questo contributo: la nascita del primo movimento ambientalista in Italia.
Associazioni proto-ambientaliste sorsero in maniera spontanea in Italia già alla fine del XIX secolo. Si trattava però di gruppi formati da scienziati con finalità strettamente naturalistiche, o di personalità che desideravano valorizzare il turismo di un territorio, per lo più montano. Mancava loro una chiara impostazione ambientalista: il fascismo, poi, con la centralizzazione delle funzioni locali nell’apparato statale, di fatto spense o svuotò di senso ogni iniziativa (come accadde per il Parco del Gran Paradiso, vedi sopra).
Si può dire che la necessità di un’associazione protezionistica e ambientalista in Italia fosse, invece, ben presente nella mente di Videsott sin dagli anni della sua gioventù, e che dovesse essere modellatasu quelle che già esistevano in quasi tutti gli altri paesi d’Europa e del mondo.
E’ nel 1947 che l’intenzione si fa concreta, quando Videsott prende parte alla Conferenza internazionale per la protezione della natura di Brunnen (Svizzera), in rappresentanza del Consiglio regionale della Valle d’Aosta, della Società degli Amici del Paesaggio e del Comitato internazionale per la protezione degli uccelli, Sezione italiana.
L’anno dopo, il 1948, avrebbe visto la nascita di un’organizzazione internazionale per la protezione della natura, nella storica conferenza di Fontainebleau. Renzo Videsott si dedicò così, con tutte le sue forze come sempre, a creare un’associazione italiana che potesse sedere a buon diritto insieme alle altre nell’importante assise.
Il 29 maggio 1948 Videsott poté finalmente inviare l’invito ufficiale per la fondazione del Movimento. Un evento storico che avrebbe avuto due fasi: una riunione preliminare a Oreno il 24 giugno, nel parco della Villa Gallarati Scotti e l’assemblea costitutiva al Castello di Sarre in Val d’Aosta il giorno successivo, 25 giugno.
Anche qui non mancarono le polemiche e i veri e propri scontri: come quello fra Renzo e Guido Bertarelli (rappresentante del Touring Club Italiano), che aveva una concezione ben diversa dei parchi.
L’assemblea costitutiva al Castello di Sarre, comunque, fu un momento di grande unità e fervore ideale. Vi parteciparono valdostani come Jules Brocherel, Albert Deffeyes, Mario Stévenin; piemontesi come Fausto Penati, Celestino Durando; trentini come Renzo Videsott, il fratello Paolo (altra figura di straordinario valore umano ed etico) Benedetto Bonapace, Raffaello Prati, Fausto Stefenelli, Bruno Betta, Nino Betta. In tutto, 12 persone. Erano quasi tutti insegnanti: di scienze, di lettere e filosofia, materie economiche, educazione musicale e docenti universitari, in medicina e veterinaria. Gli altri erano scrittori e funzionari di enti pubblici e privati.
La vita del Movimento Italiano per la Protezione della Natura è durata fino al 1953, con sezioni a Torino, Milano, Trento e Vicenza. Quando la Sezione di Torino decise di cambiare il nome in Pro Natura (che in seguito ha contribuito alla costituzione di Federnatura), il Movimento è praticamente scomparso dalla scena nazionale, con la sola sopravvivenza della Sezione di Trento fino al 1971.
Di lì a poco, nel 1955, un gruppo di intellettuali tra cui Umberto Zanotti Bianco, Elena Croce, Desideria Pasolini dall’Onda e Antonio Cederna fonderà a Roma l’associazione Italia Nostra. Il cammino, ormai, dell’ambientalismo italiano era tracciato.
Per chi voglia approfondire:
Primo di cordata. Renzo Videsott dal sesto grado alla protezione della natura. Luigi Piccioni, 2010, prefazioni di Armando Aste e Fulco Pratesi.