I musei di Renzo Piano rispettano l’ambiente e le collezioni

Spesso i musei delle cosiddette “archistar” sono belli, d’impatto, ma poco sostenibili e funzionali. Renzo Piano è un’eccezione in tal senso poiché i suoi musei rispettano sia l’ambiente sia le esigenze dei visitatori.

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Renzo Piano, nato a Genova nel 1937, è uno degli architetti più noti, influenti e apprezzati del nostro tempo. Formatosi tra Firenze, Milano e Parigi, è divenuto una “archistar” nota in tutto il mondo grazie al Centre George Pompidou, iconico museo parigino progettato insieme a Richard Rogers e inaugurato nel 1977.

Il Centre George Pompidou, visto il suo carattere ipertecnologico e moderno, è considerato un capolavoro dell’architettura hi-tech. Il forte interesse per i materiali e le tecnologie più all’avanguardia, del resto, non abbandonerà mai né la poetica di Richard Rogers né quella di Renzo Piano, che, tuttavia, a differenza del primo, saprà declinarlo in chiave ecosostenibile.

I musei che Renzo Piano ha realizzato nell’arco della sua carriera sono, in effetti, un esempio virtuoso di come la lotta al cambiamento climatico e il risparmio energetico possano coinvolgere anche luoghi d’arte e cultura. Sono, inoltre, spazi espositivi sempre attenti alle esigenze del visitatore, al contesto ambientale in cui si trovano, e alla collezione che custodiscono. 

Affidare la realizzazione di un museo a delle “archistar” può, in effetti, rivelarsi un’arma a doppio taglio. Da un lato, gli edifici che essi creano sono innegabilmente di impatto e di richiamo per cittadini e turisti, dall’altro lato, però, appaiono talvolta troppo autoreferenziali, fini a se stessi e irrispettosi delle collezioni museali che devono contenere, tradendo dunque l’essenza stessa del museo, luogo dove si dà un senso agli oggetti del passato e li si connette con il presente.

I consumi e i costi di manutenzione di questi luoghi sono, inoltre, il più delle volte esorbitanti. Scegliere le “archistar” per realizzare musei è, pertanto, un rischio, poiché spesso esse progettano senza badare al contesto, alle collezioni e all’impatto sull’ambiente.

Pochi riescono a fare un passo indietro, a progettare partendo non da un’idea architettonica fine a se stessa, ma da ciò che il museo deve contenere e dalle esigenze del pubblico. Tra di essi, un posto di riguardo è occupato proprio da Renzo Piano, che ha saputo coniugare il suo peculiare linguaggio architettonico con il rispetto per le collezioni, con un occhio di riguardo anche alla sostenibilità ambientale.

Il suo primo museo dopo il Pompidou mostra già questa tendenza: si tratta della Menil Collection, a Houston, negli Stati Uniti, dove le opere sono disposte in uno spazio misurato, che allude all’architettura industriale, con grande attenzione alla luce naturale che filtra da dei grossi alettoni posti sul soffitto, e inonda lo spazio, permettendo una visione ottimale dei dipinti e un notevole risparmio di energia elettrica.

Il design intelligente e attento all’ambiente di Piano si ritrova anche nella Fondation Beyeler, in Svizzera, il cui edificio si inserisce con grande naturalezza nella campagna circostante, grazie alle sue grandi vetrate e a un bacino d’acqua che crea una sensazione di pace e tranquillità.

Piano qui sperimenta quello che poi lui stesso definirà il “tappeto volante”, e cioè una copertura hi-tech di pannelli con cellule fotoelettriche, capaci di aprirsi e chiudersi a seconda delle condizioni atmosferiche, e di far entrare, dunque, nel museo la giusta quantità di luce per ammirare le opere, senza sprechi energetici. Ancora una volta il focus è sulla fruizione della collezione nelle condizioni migliori possibili e sulla sostenibilità ambientale.

La medesima cautela nell’inserirsi in un contesto preesistente senza stravolgerlo viene applicata da Piano anche nel MUSE (Museo delle Scienze) di Trento e nell’Astrup Fearnley Museum of Modern Art di Oslo. In entrambi gli edifici, infatti, il “tappeto volante” assume, piegandosi, un profilo che dialoga con l’orografia dei luoghi circostanti, nel primo caso, richiamando le vette delle Alpi, nel secondo esempio, integrandosi con naturalezza nel fiordo.

L’utilizzo che Piano fa di materiali eco-compatibili e di tecnologie innovative per ridurre l’impatto ambientale ha ottenuto importanti riconoscimenti. Il suo California Academy of Sciences a San Francisco, ad esempio, è stato il primo museo al mondo a ottenere la certificazione LEED Platinum per l’edilizia sostenibile. La sua struttura è dotata di un tetto verde, che aiuta a regolare la temperatura interna, di pannelli solari e di un raccoglitore d’acqua piovana per l’irrigazione.

I suoi musei sono, inoltre, sempre progettati per massimizzare l’illuminazione naturale e ridurre la dipendenza dalla luce elettrica, utilizzando, oltretutto, sistemi di riscaldamento e raffreddamento a basso consumo energetico, e integrando impianti fotovoltaici e geotermici per sfruttare le energie pulite. Piano, infine, non idea solo edifici “green” dal punto di vista tecnologico, ma anche luoghi che contribuiscono allo sviluppo sostenibile delle città in cui si trovano, stimolando l’economia locale e favorendo la conservazione e la valorizzazione del patrimonio artistico.

In definitiva, Renzo Piano è un architetto che ha saputo coniugare il design “green” con la bellezza e la funzionalità dei suoi musei. La sua attenzione per l’ambiente, l’efficienza energetica e l’integrazione sociale dimostra come l’architettura possa essere uno strumento per la sostenibilità e per la creazione di spazi che abbiano un impatto positivo sulla società. Il grande valore del nostro concittadino è stato, del resto, riconosciuto anche dal presidente Giorgio Napolitano che lo ha nominato, nel 2013, senatore a vita della Repubblica Italiana.

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Claudia Russo ha studiato storia dell’arte a Siena, Parigi e Bologna. Appassionata di viaggi rigorosamente culturali e di serate conviviali un po’ meno impegnate, curiosa, determinata e amante del bello, trova sempre il tempo per una buona tazza di tè e per interrogarsi, con sguardo critico, sugli avvenimenti del nostro tempo
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