Fra i cittadini dei Paesi del G20, la coscienza ambientale è (almeno a parole) alta. Più del 70% di loro vorrebbe che i danni di ogni tipo all’ambiente, da qualsiasi fonte provengano, fossero considerati e puniti come reati penali.
E’ il risultato del survey (sondaggio) commissionato quest’anno dalla Earth4All e dalla Global Commons Alliance a Ipsos UK, tutto incentrato sull’atteggiamento globale nei confronti della crisi ambientale e dei danni molteplici che comporta.
I risultati sono stati da poco resi pubblici, suddivisi in due rapporti: il Global Commons Survey, che riguarda la gestione del pianeta, e l’Earth for All Survey, che si concentra sul cambiamento dei sistemi economici.
Il dato che balza subito all’occhio è l’intransigenza (almeno a parole) da parte degli abitanti dei Paesi del G20 intervistati dal sondaggio verso i reati ambientali. In tutti i Paesi intervistati (a eccezione della Russia, che è rimasta fuori dal sondaggio) ben il 72% delle persone concorda sul fatto che le azioni in grado di causare gravi danni alla natura così come al clima dovrebbero essere perseguite come reati penali. In sostanza, bisognerebbe mandare in carcere, almeno nei casi più gravi, chi le commette.
La ricerca tiene conto delle ultime novità in campo legislativo che hanno interessato molti Paesi: come nel caso del Belgio, dove all’inizio di quest’anno l’ecocidio è stato riconosciuto come reato federale. Legislazioni simili sono state approvate anche in Cile e in Francia e proposte in Brasile, Italia, Messico, Paesi Bassi, Perù e Scozia.
Se è vero che il 59% degli intervistati si dichiara molto o estremamente preoccupato per lo stato della natura oggi, (dato in aumento rispetto al Global Commons Survey del 2021), il 69% ritiene che il pianeta si stia avvicinando a un punto di non ritorno riguardo al clima e alla natura. La responsabilità, per unanime parere, è prima di tutto delle attività umane.
Interessante, e anche illuminante per certi versi, è la suddivisione degli intervistati che il sondaggio compie in base al loro atteggiamento.
In sostanza, emergono cinque “segmenti di pubblico sulla gestione del pianeta”, ovvero cinque categorie in cui raggruppare le opinioni. Vediamole.
Amanti del pianeta (Planetary Stewards): Sono quelli, spinti da un forte senso di urgenza e responsabilità nei confronti dell’ambiente, che sostengono un cambiamento sistemico per affrontare le sfide ambientali. Il 97% di loro afferma la necessità di un’azione immediata per affrontare il cambiamento climatico. Tutti loro credono nella stretta connessione tra salute umana e planetaria e tendono a mostrare un forte sostegno alle misure legali per proteggere l’ambiente.
Ottimisti preoccupati (Concerned Optimists): Sono quelli che mostrano preoccupazione per l’ambiente, ma anche ottimismo per il futuro. A favore di un’azione ambientale immediata, sono fiduciosi che affrontare il cambiamento climatico possa portare benefici diffusi alla popolazione del loro Paese. In questo, come detto, dichiarano un certo ottimismo per il futuro.
Progressisti fermi (Steady Progressives): Pragmatici e moderati, i progressisti fermi dichiarano di cercare soluzioni equilibrate ai problemi ambientali. Se riconoscono la necessità di un’azione urgente, sottolineano la necessità di riforme graduali all’interno dei sistemi esistenti.
Scettici del clima (Climate Sceptics): Respingono al mittente le preoccupazioni relative al clima e all’ambiente. Conseguentemente, si dichiarano contrari alle politiche che affrontano il cambiamento climatico. Per loro la priorità è la libertà individuale: ogni intervento governativo deve essere il più limitato possibile. In linea generale, non ritengono che sia necessaria un’azione ambientale immediata né che la Terra sia vicina a un punto di svolta ambientale a causa delle attività umane.
I non impegnati (Unengaged): Dichiarano di non avere interesse nei confronti delle questioni ambientali e politiche, né tantomeno voglia di impegnarsi per questo tipo di cause. Indifferenti alle problematiche ambientali, non sono propensi, rispetto alla media delle popolazioni del G20, a sostenere cambiamenti significativi nei sistemi politici ed economici.
Vediamo le proporzioni fra i gruppi.
I Planetary Stewards, i Concerned Optimists e i Steady Progressives rappresentano la maggioranza (61%) degli intervistati. Un dato significativo: significa che sono più numerose le persone che si preoccupano e vogliono agire per proteggere il pianeta rispetto a quelle che non lo fanno.
All’interno dei Paesi del G20 intervistati, i Planetary Stewards costituiscono i gruppi più numerosi in Turchia (28%), Francia (27% – il gruppo più numeroso insieme agli Steady Progressives), Brasile (26%) e Messico (26% – il gruppo più numeroso insieme agli Steady Progressives).
Attenzione: i gruppi più numerosi di disimpegnati risultano essere in Germania, Italia, Giappone e Arabia Saudita.
In Italia, ad esempio, il 45% degli intervistati NON è d’accordo sul fatto che i costi dei danni provocati dall’inquinamento ambientale siano molto più alti di quelli per gli investimenti nella transizione verde. Mentre il 67% NON approva l’idea di considerare e punire come reati penali le azioni contro l’ambiente commesse da soggetti privati o pubblici.
Infine, secondo i risultati del sondaggio, solo il 13% delle persone in tutti i Paesi del G20 rientra nel gruppo degli scettici del clima.
Veniamo alle differenze di genere nell’attenzione all’ambiente.
Secondo l’indagine, le donne mostrano livelli più alti di preoccupazione per lo stato della natura, soprattutto per le generazioni future, rispetto agli uomini. Il 62% di esse è estremamente o molto preoccupato per lo stato della natura oggi, rispetto al 56% degli uomini.
Il 74% delle donne dichiara le convinzione nella necessità di mettere in atto subito azioni importanti per affrontare i problemi ambientali entro il prossimo decennio, rispetto al 68% degli uomini.
Le donne sono anche molto meno propense a credere che la tecnologia possa da sola risolvere i problemi ambientali, senza che gli individui debbano fare grandi cambiamenti nello stile di vita (35% rispetto al 44% degli uomini).
Le differenze fra le singole Nazioni.
Questo è forse il dato più sorprendente. A dispetto di una certa “narrazione”, che vorrebbe le popolazioni dei Paesi emergenti meno coinvolte nella sensibilità ambientale, l’indagine mostra come i cittadini di India con l’87%, Cina con il 79%, Indonesia con il 79%, Kenya con il 73% e Turchia con il 69% si sentano più esposti ai cambiamenti climatici rispetto a quelli di Europa e Stati Uniti.
I promotori del sondaggio, commentando i dati, hanno sottolineato che “l’idea della gestione del pianeta è più forte nelle economie emergenti come Brasile, Argentina, Sudafrica e Kenya”.
Il Paesi del G20 fanno da soli circa l’85% del PIL mondiale, producono circa il 78% delle emissioni di gas serra, detengono una quota del commercio globale del 75% e contano circa due terzi della popolazione mondiale.
Per approfondire i dati del sondaggio che riguardano l’Italia, clicca qui: