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L’Assemblea sull’ambiente delle Nazioni unite del marzo 2022 lo aveva detto chiaramente. Se non si concluderà in tempi brevi (entro il 2024, secondo l’ONU) un accordo globale legalmente vincolante sull’inquinamento da plastica, il pianeta quasi certamente soffocherà o collasserà (scegliete voi la metafora migliore) sotto il peso della ormai più che insostenibile produzione mondiale di plastica.
Il Comitato intergovernativo (INC) nominato per stilare questo fondamentale e improrogabile accordo si è riunito in Uruguay nel dicembre scorso, con oltre 2.300 delegati provenienti da 160 Paesi. Ottime e condivise da tutti le premesse; ma il problema è stato trovare una definizione comune e accettabile a tutti di “ciclo di vita” (una questione, come si può capire, non da poco sul piano economico).
Sono passati sette mesi, e l’emergenza continua a battere alle porte con un ritmo incessante. Secondo i dati del Global plastic outlook pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), la produzione globale di plastica è raddoppiata dal 2000 al 2019. E quel che è più grave, potrebbe triplicare entro il 2060.
Il punto più critico, secondo gli esperti del Comitato integovernativo, sembra essere l’incapacità del sistema mondiale di mettere in atto un processo efficace di riciclaggio. A livello globale, solo il 9% della plastica prodotta viene correttamente riciclata. La maggior parte finisce nelle discariche o negli inceneritori e una parte significativa è dispersa nell’ambiente.
139 milioni di tonnellate: questo è l’impressionante dato numerico che uno studio dell’OCSE tristemente famoso ormai ha quantificato sui rifiuti di plastica dispersi negli oceani e nei fiumi. Nove uccelli su dieci, secondo uno studio del 2015, hanno plastica nel proprio stomaco.
C’è poi il problema delle microplastiche, ovvero le particelle di plastica di grandezza inferiore ai 5 millimetri, di cui greentomeet.com si è occupato più volte. Sono principalmente contenute nei prodotti per la cura personale e nei vestiti, oppure prodotte dalla disintegrazione di rifiuti in plastica. Le microplastiche, oltre a costituire il 12% dei rifiuti dispersi nell’ambiente, ce le ritroviamo “nel piatto”, cioè in diversi prodotti alimentari, con conseguenze per la salute umana tutte da stabilire e da accertare.
In giugno si è svolta la seconda fase dei negoziati
Dal 29 maggio al 2 giugno, presso la sede dell’Unesco di Parigi, le 160 e più nazioni che compongono il Comitato intergovernativo di negoziazione (INC) si sono ritrovate per il secondo round.
Stavolta, a spingere le delegazioni verso un rapido accordo, c’era anche la pubblicazione di uno studio voluto dal Programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (Unep): “Turning off the Tap: How the world can end plastic pollution and create a circular economy”.
Siamo ancora in tempo per cambiare direzione: questa è la buona notizia che emerge dallo studio Unep. Ma dobbiamo assolutamente ridurre dell’80% l’inquinamento da plastica entro il 2040.
“Il nostro studio delinea una tabella di marcia per ridurre drasticamente questi rischi attraverso l’adozione di un approccio circolare che tenga la plastica fuori dagli ecosistemi, fuori dai nostri corpi e dall’economia” ha dichiarato Inger Andersen, direttore esecutivo dell’Unep, indicando tre punti fondamentali.
Il primo, imprescindibile e tutt’altro che impossibile, è eliminare la plastica definita “problematica o non necessaria”. Articoli e materiali di imballaggio in plastica è l’esempio più chiaro e vicino alla vita di tutti noi. Si tratta di plastica che dopo il consumo non rientra nei sistemi di riciclaggio e compostaggio a causa del formato, della composizione o della dimensione.
Riutilizzo, riciclo e sostituzione. Queste le tre parole chiave che lo studio ripete come un mantra. Il che significa in termini pratici: bottiglie ricaricabili, distributori sfusi, sistemi di deposito e restituzione, sistemi di ritiro degli imballaggi e così via.
Con il solo riciclo la riduzione dell’inquinamento da plastica è quantificata in un 20% entro il 2040. Ma l’attività di riciclaggio deve essere finalmente stabile e continuativa. Con una rigorosa applicazione delle linee guida di progettazione per migliorare la riciclabilità e rimodulando gli incentivi, la quota di plastica economicamente riciclabile passerebbe dal 21% al 50%.
Ridurre la plastica è un affare
Lo studio Unep calcola che il passaggio a un’economia pienamente circolare porterebbe un risparmio di qualcosa come 1,27 mila miliardi di dollari.
Ma questa è solo una parte del vantaggio economico complessivo. Altri 3,25 mila miliardi di dollari verrebbero risparmiati prevenendo le ingenti spese per la salute dei cittadini, per la crisi climatica, per l’inquinamento atmosferico e dell’ecosistema marino.
C’è poi l’aspetto occupazionale. Entro il 2040, secondo Unep, potrebbero essere creati sino a 700mila posti di lavoro, per di più in massima parte nei Paesi a basso reddito.