I pinguini sudafricani – l’unica specie presente in tutto il continente – sono a serio rischio estinzione. Il loro numero è diminuito di oltre il 99% negli ultimi 120 anni. Al ritmo attuale di declino (7,9% all’anno), si stima che la specie – l’unico pinguino africano – si estinguerà in natura entro il 2035.
Pinguini in pericolo
Il fenomeno può equipararsi ad un vero disastro ecologico. I pinguini sono infatti una specie oltre che fondamentale, anche indicatrice (ovvero particolarmente sensibile ai cambiamenti apportati da fattori inquinanti all’ecosistema in cui vive) per l’ambiente naturale del Sudafrica.
Ma il disastro – è facile capirlo – sarebbe anche sul piano turistico e attrattivo del Paese. Uno studio del 2018 sulla colonia di Boulders Beach a Città del Capo ha dimostrato che essa contribuisce all’economia locale per 311 milioni di rand (13 milioni di sterline) all’anno.
Ma qual è la causa principale di questa pericolosa deriva verso l’estinzione? E chi sono i responsabili che potrebbero fermare il disastro e non lo fanno?
Le associazioni ambientaliste e ornitologiche non hanno dubbi. Due ONG – BirdLife South Africa e Southern African Foundation for the Conservation of Coastal Birds – hanno infatti portato in tribunale il ministro sudafricano per le foreste, la pesca e l’ambiente, Barbara Creecy, sostenendo che non ha attuato “chiusure biologicamente significative” alla pesca intorno a sei colonie di pinguini che ospitano il 76% della popolazione globale di pinguini africani.
Si tratta, dunque, di fermare la pesca intorno alle colonie.
Il fabbisogno alimentare della specie è sicuramente notevole. Secondo i biologi, i pinguini possono ingrassare fino a un terzo del loro peso corporeo in un solo giorno di foraggiamento.
“Ma non c’è più pesce là fuori”, sostiene una delle scienziate che si sta battendo per la causa.
Ancora un volta, sotto accusa, è la pesca praticata con metodi invasivi e non sostenibili.
Alistair McInnes, che dirige il Programma di conservazione degli uccelli marini di BirdLife Sudafrica ed è l’estensore della denuncia presentata al tribunale, spiega che il grande problema riguarda le cosiddette “reti da circuizione” utilizzate per catturare piccole specie in mare aperto come sardine e acciughe.
Le reti da circuizione – spiegano gli esperti di ambiente marino – sono come “giganteschi sacchi a coulisse che colpiscono interi banchi”. I pinguini africani si nutrono prevalentemente di queste specie, e la disponibilità per loro di sardine e acciughe in Sudafrica è precipitata ai minimi storici.
I pinguini non sono gli unici a soffrire questa situazione. Anche i cormorani del Capo, che si nutrono prevalentemente di piccoli pesci pelagici (il termine tecnico per definire specie come il tonno, il pesce spada, la sardina, le acciughe ecc) sono a rischio estinzione per la penuria alimentare.
La ministra Creecy aveva in realtà nominato un gruppo di esperti per affrontare il problema, da cui aveva ricevuto già nel luglio 2023 un rapporto che raccomandava come urgenti le chiusure mirate della pesca intorno alle colonie di pinguini, che avrebbero giovato alla conservazione dei pinguini.
Le raccomandazioni del rapporto sarebbero state formalmente accolte dalla ministra: in realtà, Creecy ha sostanzialmente mantenuto le chiusure esistenti, solo rendendole un po’ più limitate.
Nella colonia di Stony Point, ad esempio, l’area chiusa alla pesca con reti da circuizione è tre volte più piccola di quella che sarebbe se fossero state seguite le raccomandazioni del gruppo di esperti. Il risultato è che, a detta dei biologi, i pinguini hanno le stesse difficoltà di prima a trovare cibo. La situazione è simile anche in altre tre colonie, dove il 50% o meno dell’area di foraggiamento principale dei pinguini è protetta dalle norme vigenti.
Dall’altra parte, come accade a ogni latitudine, ci sono le ragioni e le proteste delle categorie economiche e produttive implicate nella questione. L’organismo che rappresenta i pescatori sudafricani si oppone fortemente all’azione giudiziaria, sostenendo che “contrariamente a quanto affermato dalle ONG ambientaliste nei media, secondo le quali il motore principale è l’industria della pesca con reti da circuizione, l’impatto della pesca [sul numero di pinguini] è minimo”.
Sarebbero le ONG ambientaliste, secondo le associazioni della pesca, a contrastare “il processo per stabilire quali sono i principali fattori che causano il declino del numero di pinguini”.
In realtà, il fatto che la pesca non sia l’unica causa del declino della popolazione è accettato anche dai biologi. “I pinguini africani sono probabilmente l’uccello marino più studiato in Africa”, afferma McInnes. “Sono state condotte moltissime ricerche sulle varie minacce alla loro sopravvivenza”.
Le concause sono la crisi climatica, con il caldo estremo e le forti piogge che possono rivelarsi disastrose durante la stagione della nidificazione; i predatori terrestri che si sono introdotti in questi anni nelle colonie; e non ultimo l’inquinamento acustico dovuto al “bunkeraggio” cioè a quel processo di rifornimento di carburante da nave a nave che, per esempio nella colonia di St Croix, si svolge regolarmente.
La disponibilità di prede per nutrirsi resta tuttavia un fattore determinante per la sopravvivenza dei pinguini così come di tutte le specie predatorie. Gli esperti portano ad esempio il fatto che l’unica colonia di pinguini in Sudafrica con una popolazione relativamente stabile – Boulders, vicino a Città del Capo – si trovi in un’area in cui la pesca con reti da circuizione è vietata da decenni.
Qualcosa vorrà dire: come accade sempre, in questi casi.