La riflessione sul paesaggio nell’arte dell’Ottocento e del primo Novecento

Dopo la sua nascita e affermazione nel corso del Seicento e del Settecento, il genere del paesaggio continuò ad affascinare molti artisti anche nel corso dei secoli successivi, assumendo declinazioni sempre più varie. Vediamone alcuni casi.

7 minuti di lettura
[standrets] © 123RF.com

Quando il pittore bolognese Annibale Carracci (1560- 1609) dipinse, nei primi anni del Seicento, delle lunette con scene sacre, per il cardinale Pietro Aldobrandini, compì una piccola rivoluzione. I personaggi, infatti, appaiono immersi in una rigogliosissima campagna romana, considerata uno dei primi paesaggi realizzati nella nostra Penisola. Nasceva così un genere dalla vastissima fortuna, che incontrò sin da subito il favore dei collezionisti.

Nel corso del XVII e del XVIII secolo, il paesaggio si diffuse sempre di più e assunse varie declinazioni. Vi furono, ad esempio, artisti che ne ebbero una visione classica, quasi virgiliana, realizzando idilli pastorali o paesaggi arcadici, e pittori che approcciarono il genere in maniera più “scientifica”, realistica, inventando la veduta.

Il paesaggio romantico

Durante l’Ottocento, il paesaggio vide ulteriori interpretazioni, e tra di esse, una dal carattere più intimista è espressa dalla corrente che si estese dal tardo XVIII al XIX secolo, comunemente definita romanticismo, caratterizzata da un’attenzione particolare alla sfera emotiva dell’individuo. In questo contesto, il genere assunse un ruolo di grande rilievo, diventando uno strumento attraverso il quale gli artisti romantici esprimevano le proprie emozioni e riflessioni sulla natura.

I dipinti, dunque, non si limitano più a rappresentare in modo realistico i luoghi, bensì diventano una manifestazione di sentimenti interiori, un mezzo per comunicare i propri stati d’animo e le proprie sensazioni più intime.

Una parola chiave per comprendere l’approccio che gli artisti dell’epoca avevano nei confronti del creato è “sublime”, concetto centrale del periodo romantico, che si riferisce a un’emozione forte, mista di terrore e meraviglia, provata di fronte alla grandiosità della natura. I paesaggi romantici, pertanto, spesso raffigurano imponenti montagne, fiumi impetuosi, foreste oscure e tempeste, che suscitano un senso di infinito e di mistero.

Il Viandante sul mare di nebbia che il pittore Caspar David Friedrich (1774-1840) dipinse nel 1818, oggi alla Kunsthalle di Amburgo, esprime appieno questo concetto: il protagonista è un uomo in contemplazione della natura, solo davanti alla grandiosità di essa, che ci comunica un senso di malinconia e di struggente bellezza.

In antitesi a questo filone introspettivo, la corrente realista, diffusasi intorno alla metà del XIX secolo, si concentrò sulla descrizione oggettiva e accurata dei luoghi, spesso ritraendo gli aspetti sociali e le condizioni di vita delle persone che vi abitavano. Ne è un esempio Pastorella con il suo gregge di Jean-François Millet (1814-1875), dipinto nel 1864 e oggi nel Musée d’Orsay di Parigi.

Il paesaggio impressionista

Con l’avvento del movimento impressionista, sviluppatosi principalmente in Francia nel corso degli anni 1870 e 1880, la rappresentazione del paesaggio subì un’ulteriore trasformazione. Gli impressionisti cercarono, infatti, di catturare l’effetto della luce e dei colori in modo spontaneo e immediato, attraverso rapide pennellate e contrasti luminosi, dipingendo per la prima volta non in atelier ma all’aria aperta (en plein air).

Claude Monet (1840-1926), Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) e Camille Pissarro (1830-1903) sono alcuni dei più celebri esponenti di questa corrente, capaci di rappresentare la bellezza e la dinamicità della natura, attraverso l’osservazione diretta delle sue variazioni luministiche e cromatiche.

Essi hanno avuto un enorme impatto sul modo in cui il paesaggio è stato in seguito rappresentato, rivoluzionando le convenzioni artistiche dell’epoca e ribellandosi alla tradizione dell’arte accademica. La tecnica impressionista, vedendo la natura come un soggetto dinamico, in movimento, ha, infatti, contribuito a dare ai paesaggi un’idea di vitalità e spontaneità.

Un esempio in tal senso è costituito dai numerosi dipinti, oggi sparsi nei musei di tutto il mondo, che Monet realizzò nel suo giardino giapponese a Giverny, in Francia, cogliendo i giochi di luce negli stagni delle ninfee e nelle aiuole fiorite. 

Il paesaggio visto con gli occhi delle avanguardie storiche

Il Novecento fu, senza dubbio, un secolo concitato, che ruppe con il passato e proiettò il mondo nell’età contemporanea; anche diverse correnti artistiche, definite dalla critica “avanguardie storiche”, superarono la tradizione ottocentesca per proiettarsi verso il domani.

Il cubismo, ad esempio, fu un movimento di rottura, promosso da Pablo Picasso (1881-1973) e Georges Braque (1882-1963), che rivoluzionò la rappresentazione del paesaggio, introducendo una visione geometrica e frammentata della realtà. Le opere cubiste esprimono una prospettiva multipla e simultanea, mostrando diversi punti di vista contemporaneamente. Questo stile innovativo propone una raffigurazione dinamica e complessa del paesaggio, rompendo con l’idea tradizionale della staticità della natura.

Nell’arte cubista, le forme vengono scomposte in una combinazione di geometrie complesse, quali cubi, prismi e coni. Gli elementi naturali, come le montagne, i fiumi e gli alberi, vengono rappresentati attraverso linee che si sovrappongono e si intersecano, permettendo agli artisti di cogliere l’essenza del paesaggio e di trasmetterne una visione astratta. Un esempio iconico di paesaggio cubista è Case all’Estaque di Georges Braque, realizzato nel 1908 e conservato al Kunstmuseum di Berna.

Se il cubismo cercò di cogliere la realtà nella sua sostanza, proponendone una visione a 360 gradi, il surrealismo, movimento nato negli anni venti del Novecento, che si interessò all’irrazionalità, all’inconscio e ai sogni, creò paesaggi del tutto immaginari e fantasiosi, frutto di pulsioni e suggestioni provenienti dal nostro io più segreto. Salvador Dalì (1904-1989) fu uno dei maggiori esponenti di questa tendenza: in La persistenza della memoria (oggi al Museum of Modern Art di New York), il paesaggio si fonde con elementi surreali e onirici come i celebri orologi molli.

Il genere ha, dunque, attraversato diverse fasi nel corso dei secoli, evolvendosi insieme all’arte stessa, e dando vita a nuove forme di rappresentazione che continuano ad affascinare e ispirare anche gli artisti contemporanei, la cui ricerca, dal carattere più sperimentale, esplora e reinterpreta il genere in modi mai visti prima, con opere dalla valenza anche sociale. Il paesaggio è, infatti, spesso divenuto mezzo per sensibilizzare sulla sostenibilità, sulle conseguenze dell’azione umana sul pianeta, e sulla necessità di ritrovare un’armonia con la natura, costituendo così, anche oggi, motivo di riflessione e di introspezione.

TAGGATO:
Claudia Russo ha studiato storia dell’arte a Siena, Parigi e Bologna. Appassionata di viaggi rigorosamente culturali e di serate conviviali un po’ meno impegnate, curiosa, determinata e amante del bello, trova sempre il tempo per una buona tazza di tè e per interrogarsi, con sguardo critico, sugli avvenimenti del nostro tempo
Lascia una recensione
error: Non puoi fare download !!