Mobilità attiva
Mobilità attiva; utilizzo dei mezzi pubblici per diminuire l’uso dell’automobile privata con l’obiettivo di avere città molto più sostenibili e inclusive, fino ad arrivare ad una città che vada “oltre” l’utilizzo del mezzo di trasporto-automobile.
E’ su questi temi, decisivi quanto impegnativi, che si concentra il rapporto annuale (l’ottavo della serie) di Urban@it – Centro nazionale di studi per le politiche urbane, un’associazione fondata nel 2014 e composta da 16 Università italiane insieme alla Società Italiana degli urbanisti (Siu).
Il rapporto si intitola “Mobilità & città: verso una post-car city”. Il focus è dunque su un’idea di città “oltre l’automobile”, con tutte le implicazioni che questo processo comporta: sul piano della innovazione tecnologica e digitale necessarie per realizzarla, ad esempio, così come su quello degli strumenti normativi indispensabili per accompagnare questa ambiziosa transizione.
Post-car city
Ma che cos’è, o cosa dovrebbe essere, una post-car city? “Un modello di mobilità urbana meno dipendente dall’uso dell’auto privata e capace di valorizzare le innovazioni tecnologiche per promuovere il trasporto collettivo, la mobilità attiva e rendere le città più accessibili e sostenibili”, risponde il Rapporto, curato da Pierluigi Coppola e Paola Pucci, del Politecnico di Milano, e da Giuseppe Pirlo dell’Università degli studi di Bari Aldo Moro.
Un cambiamento a 360 gradi, che avrebbe almeno tre ricadute positive di grande rilevanza: riduzione dell’inquinamento, miglioramento della sicurezza stradale e maggiore inclusività.
Si tratta evidentemente di un “cambio di passo” (è il caso di dirlo) anche culturale. Disegnare una città “post-car” implica una profonda modifica delle abitudini di spostamento e di mobilità dei cittadini, come riconosce il Rapporto: e dunque un cambiamento, per certi versi anche radicale, del proprio stile di vita consolidato da decenni, nonché del sistema economico basato sull’utilizzo dell’automobile privata.
Non ci si deve perciò stupire delle resistenze, che sono invece da mettere in conto e prendere sul serio. Una risposta che gli urbanisti, non da oggi, suggeriscono per poterle superare è l’attuazione di aree sperimentali. Così per esempio ha fatto la città di Milano, istituendo le “piazze aperte”, ovvero spazi già destinati alla sosta delle automobili che vengono trasformati in luoghi di gioco e socializzazione.
La città dei 15 minuti
Un altro concetto chiave è quello di “città dei 15 minuti”. Reso per così dire celebre dalla campagna elettorale della sindaca di Parigi Anne Hidalgo, è quel modello di città in cui la maggior parte delle attività quotidiane dei residenti possa essere soddisfatta spostandosi a piedi o in bicicletta direttamente dalle proprie abitazioni e dai propri “quartieri di 5 minuti”.
Il Rapporto si sofferma appunto sulla necessità di interventi di pianificazione urbana e infrastrutturale per garantire l’accesso ai servizi senza l’utilizzo dell’automobile, nonché sulla opportunità di favorire gli scambi intermodali, per offrire ai cittadini una connessione anche con i centri fuori dalle città.
Interessante, a questo proposito, la riflessione proposta dal presidente di Urban@it Nicola Martinelli, che evidenzia come la cosiddetta “città di prossimità” sia, per la società urbana italiana, una realtà in molti casi già esistente. “
Ci sono tanti quartieri delle nostre città che hanno un’identità fortissima, relazioni molto importanti” sottolinea Martinelli. Inoltre, “la pandemia ha favorito nuovamente il commercio di prossimità, che era stato fortemente condizionato dalla grande distribuzione”.
Si tratta, dunque, di andare nella direzione della città policentrica – come indica il Rapporto – per scendere poi verso i quartieri e lavorare sullo spazio pubblico, sui nodi che intercettano il trasporto.
Centrale, in questa prospettiva, è il ruolo degli spazi di servizio in senso urbanistico: per esempio, i campus universitari.
Il focus è anche sui progressi tecnologici, che sono molteplici e velocissimi. La guida autonoma, per esempio, è indicata come potenzialmente di grande aiuto in questo processo. Senza dimenticare la progressiva digitalizzazione dei servizi nel campo dei trasporti pubblici.
Proprio su questo aspetto, però, il Rapporto lancia un alert: la difficoltà di copertura della connessione in molte parti ancora del nostro territorio, la mancanza di competenze digitali di cui soffre una buona parte della popolazione italiana possono escludere intere fasce già vulnerabili, implementando le disuguaglianze.
Pums
Sugli strumenti di governo per realizzare la transizione alla città post-car, il Rapporto si sofferma sui Piani urbani della mobilità sostenibile (Pums), introdotti dalla Commissione europea con il Pacchetto mobilità urbana 2013. E’ quella la sede cruciale per realizzare i nuovi modelli di città, si sottolinea. Il tutto però deve essere pensato e agito con una forte attenzione alle esigenze territoriali, e rafforzando il principio della collaborazione inter-istituzionale.
Si tratta infatti, come riconoscono gli autori del Rapporto, di “un quadro di grande complessità, entro cui solo la capacità di agire di concerto fra istituzioni, partner locali, università e ricerca potrà portare al successo dell’operazione e nella quale sarà determinante la possibilità di agire attraverso forme di progetto e di interazione fra partner che siano innovative, inclusive ed al contempo efficaci.