Scomparsa nel 2019, Mary Oliver è stata definita dal New York Times “di gran lunga, la poetessa di questo Paese che ha venduto di più”.
Non è dato sapere quanto questa definizione sia potuta piacere alla poetessa nata a Maple Heights, Ohio, nel 1935, vista la sua sensibilità non propriamente allineata alla mentalità e ai criteri di valore del capitalismo americano.
Da non molti mesi, finalmente, possiamo leggere i versi della grande eco-poetessa americana anche in italiano. American Primitive, la raccolta pubblicata nel 1983 che è valsa alla sua autrice il premio Pulitzer, è uscita con il titolo Primitivo Americano da Einaudi lo scorso anno, a cura di Paola Loreto.
La produzione di Oliver è stata definita “un appassionato e innovativo lavoro poetico di osservatrice e interprete della natura” (F. Nasi). “I versi di Oliver raccontano del passaggio ininterrotto delle stagioni, del ciclo della vita, del quale umani e non umani, piante e rocce fanno parte”. Quelli che descrive, peraltro, sono luoghi che le lettrici e i lettori di greentomeet.com conoscono bene, essendo gli stessi che Henry David Thoreau ha “cantato” nella sua visione poetico-esistenziale della wilderness come vera e ultima essenza dell’umano.
Originaria dei sobborghi di Cleveland in Ohio, Oliver infatti ha vissuto per quarant’anni a Cape Cod, con la sua compagna, la fotografa Molly Malone Cook. La sua biografia parla di una quotidianità semplice, fatta di abitudini come la passeggiata nella natura, con un inseparabile quaderno-diario in cui annotava minuziosamente tutta la ricchezza di flora e di fauna con cui veniva a contatto nelle terre miracolosamente preservate del Massachusetts.
Il paragone fra Oliver e il grande mentore della poesia della natura americana (e non solo) Thoreau non è affatto arbitrario. La capacità assoluta di osservazione, l’essenzialità della descrizione di ogni fenomeno naturale, la “precisione tassonomica che solo chi sa vedere e ascoltare davvero possiede” (Nasi) sono caratteristiche distintive che il padre della letteratura “green” ha trasmesso in eredità ad ogni voce successiva desiderosa di confrontarsi con la dimensione ecologica e olistica dell’esperienza umana nel mondo fisico (si pensi solo a Gary Snyder).
E tuttavia (o forse proprio per questo) la poesia di Oliver non si esaurisce in un “sensismo” di impressioni vissute e tratte dal contatto con la natura, alla ricerca probabile di un’esperienza panica e totalizzante, di un samadhi bastante a sé stesso.
C’è una conseguenza dell’amore per la natura, nella poesia di Oliver, che è propriamente esistenziale, se non esistenzialista. Addirittura metafisica:
“Ogni anno
tutto quello
che ho imparato
nella vita mi riporta a questo: gli incendi di luce
e il fiume nero della perdita
è la salvezza,
il cui significato
nessuno di noi saprà mai.”
Scrive ancora Franco Nasi al proposito: “La poesia di Mary Oliver offre una prospettiva diversa da quella della tradizionale poesia della natura, è frutto di un cambiamento di paradigma che la colloca in quel movimento di revisione del rapporto fra io e mondo proprio di molto pensiero ecologista contemporaneo, più o meno radicale, da Naess o Lovelock a Latour: a una visione antropocentrica del mondo si sostituisce una visione ecocentrica e relazionale fra umano e non umano”.
E’ così che Mary Oliver può essere considerata una delle voci più potenti della cosiddetta eco-poesia contemporanea, in qualche modo un maestro (o una maestra). Rovesciando il paradigma essere umano-natura, si potrebbe dire, il prodotto non cambia. La riflessione, il focus è ancora e sempre sul senso della condizione umana – inevitabilmente – sul suo significato, così com’è proprio della poesia. Ma il partire dal mondo esterno anziché da quello interno e interiore del soggetto, dal non-io invece che dall’io, può condurre – se ben declinato, come fa Oliver – a risultati nuovi ed inaspettati, di pura e cristallina modernità.
E gettare una nuova luce, da un punto di prospettiva spostato rispetto a quello tradizionale, sul mistero dell’incarnazione umana nel qui e ora del mondo: l’arcano della vita terrena e terrestre, e dei suoi misteriosamente interconnessi fenomeni.
Il viaggio:
«Un giorno, finalmente, hai capito
quel che dovevi fare e hai cominciato,
anche se le voci intorno a te
continuavano a gridare
i loro cattivi consigli;
anche se la casa intera
si era messa a tremare
e ti sentivi alle calcagna
l’antico contrasto.
“Sistema la mia vita!”,
gridava ogni voce.
Ma non ti fermasti.
Sapevi quel che andava fatto,
anche se il vento frugava
con le sue dita rigide
giù fino alle fondamenta,
anche se la loro malinconia
era terribile.
Era già piuttosto tardi,
era una notte tempestosa,
la strada era piena di sassi e rami spezzati.
Ma poco a poco,
mentre ti lasciavi alle spalle le loro voci,
le stelle si sono messe a brillare
attraverso gli strati di nubi
e poi c’era una nuova voce
che pian piano hai riconosciuto come la tua,
che ti teneva compagnia
mentre t’inoltravi sempre più,
di buon passo, nel mondo,
determinata a fare
l’unica cosa che potevi fare;
determinata a salvare
l’unica vita che potevi salvare.»
Il cigno
L’avete visto anche voi, alla deriva, tutta la notte, sul fiume nero?
L’avete visto al mattino, salire nell’aria argentea?
Un braccio di fiori bianchi,
Una perfetta agitazione di seta e lino mentre si appoggiava
alla schiavitù delle sue ali
un banco di neve, un banco di gigli,
che morde l’aria con il suo becco nero?
L’avete sentito, flautante e fischiante
Una musica stridente e cupa, come la pioggia che batte sugli alberi, come una cascata
che scende a coltello dalle nere cengie?
E l’avete visto, infine, appena sotto le nuvole?
Una croce bianca che attraversa il cielo, i suoi piedi come foglie nere,
le sue ali come la luce del fiume che si allunga?
E l’avete sentito, nel vostro cuore, come si riferiva al tutto?
E anche voi avete finalmente capito a cosa serve la bellezza?
E avete cambiato la vostra vita?”
fonti e approfondimenti: