Ma quanto cibo sprechiamo. E sempre di più

Mentre milioni di persone in tutto il pianeta soffrono la fame, un miliardo di pasti viene gettato nella spazzatura ogni giorno. Lo dice un rapporto dell’ONU

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[roman023] © 123RF.com

Quanto cibo sprechiamo?. La cifra è di quelle spaventose: quelle che dovrebbero farci riflettere a fondo, e farci decidere una buona volta a cambiare davvero – in questo caso le nostre abitudini alimentari.
Più di un miliardo di pasti vengono buttati via ogni giorno, sia nei paesi poveri che in quelli ricchi. Tutto questo nonostante più di 730 milioni di persone vivano nella fame in tutto il mondo.

È il risultato drammatico del rapporto Food Waste Index delle Nazioni Unite, pubblicato quest’anno. Più o meno un quinto del cibo prodotto dalle cucine del nostro pianeta viene sprecato, vuoi per mancanza di pianificazione, vuoi per mancanza di accesso alla refrigerazione o alla conservazione. In soldoni, si tratta di circa 1 miliardo di dollari all’anno buttati nei rifiuti (organici, in questo caso, se almeno facciamo una buona raccolta differenziata).

Siamo noi, cioè le famiglie i principali responsabili della maggior parte dello spreco alimentare mondiale. Il rapporto ha calcolato che circa il 60% del miliardo di tonnellate di cibo gettato via ogni anno è quello che si trova nei nostri bin domestici. Ma anche i sistemi alimentari commerciali contribuiscono in modo sostanziale: i servizi di ristorazione hanno rappresentato il 28% dei rifiuti e la vendita al dettaglio circa il 12% nel 2022.

C’è poi un ulteriore 13% di cibo che si perde nella catena di approvvigionamento alimentare, tra il raccolto e il mercato: la causa è quasi sempre il deterioramento della materia commestibile.

Se poi qualcuno pensasse che questi enormi e insensati sprechi non contribuiscono alla crisi del clima e della biodiversità… naturalmente si sbaglia di grosso. Rappresentano invece, secondo il rapporto ONU, quasi il 10% delle emissioni globali di gas a effetto serra.

“Lo spreco alimentare è una tragedia globale”, ha affermato Inger Andersen, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che ha redatto il rapporto in collaborazione con il Programma d’azione per i rifiuti e le risorse (Wrap) del Regno Unito. “Tutto questo mentre un terzo delle persone si trova ad affrontare l’insicurezza alimentare, non sapendo da dove proverranno i loro pasti futuri”.

Nonostante la triste realtà sia nota da anni, pochi Paesi hanno in atto piani per ridurre gli sprechi alimentari e la maggior parte non li include nelle loro proposte di riduzione delle emissioni di carbonio.

Sembra poi che nei Paesi caldi si butti via più cibo, forse a causa del minor tempo di deperimento degli alimenti a temperature più elevate, della mancanza di accesso alla refrigerazione e del maggior consumo di alimenti freschi che hanno più parti non commestibili.

Altro dato sorprendente: le famiglie più povere tendono a buttare via il cibo a un tasso non molto inferiore rispetto a quelle con un reddito più elevato, essendo responsabili di circa 7 kg di rifiuti all’anno per persona in meno di quelle più ricche. Anche qui la mancanza di accesso a refrigerazione e conservazione adeguate e la dipendenza da alimenti di qualità inferiore fanno la loro parte.

Se nel mondo, ogni anno, vengono sprecati circa 79 kg di cibo a persona, è anche vero che alcuni Paesi – come il Regno Unito, l’Australia, l’Indonesia, il Messico e il Sudafrica – hanno cominciato a ridurre gli sprechi alimentari in modo sostanziale, perlomeno dal 2007. Il Giappone ha ridotto gli sprechi alimentari di quasi un terzo e il Regno Unito di circa il 18%.

E dunque la soluzione? Secondo molti esperti è nel promuovere la collaborazione “fra i rivenditori e i produttori alimentari da una parte e le food bank, i banchi alimentari, dall’altra”.

“Il food banking è un modello importante e unico per ridurre la perdita e lo spreco di cibo” spiegano gli esperti “perché i banchi alimentari non solo lavorano con le aziende agricole, i produttori, i rivenditori e i servizi alimentari per salvare il cibo sano, ma si assicurano anche che il cibo finisca sulle tavole delle persone che affrontano l’insicurezza alimentare”.
La strada è quella. Ma bisogna mettercisi con impegno, e soprattutto con adeguate politiche governative che diano la spinta a questo settore. Cosa di cui non si vede nemmeno l’ombra, per ora. Almeno da noi.

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Da G.T.M.
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