Questo il mio desiderio:
un pezzo di terra non tanto grande, dove ci fossero un orto e vicino a casa
una fonte d’acqua perenne con qualche albero che la sovrasti.
Piú e meglio fecero gli dei. Bene.
Nient’altro ti chiedo, figlio di Maia, se non che questi doni tu me li assicuri per sempre.
E’ il grande poeta Orazio – il più celebre dei lirici latini, vissuto nel I secolo a. C. e grande
amico dell’imperatore Augusto – il miglior cantore in versi di quel territorio fortunato, ricco
di suggestioni e di magie nascoste, che sorge alle porte di Roma ed è da sempre chiamato
Sabina.
Avuta da Mecenate una villa in dono tra le contrade più verdi e tranquille che potesse
desiderare – così lontane dal caos della capitale dell’Impero – il poeta ebbe a descrivere più
volte nelle sue opere l’ambiente agreste, al limitare delle balze degli Appennini centrali,
della regione sabina.
Proprio tra quelle contrade doveva trovarsi il luogo ameno preferito dal placido Orazio:
quella fonte di Bandusia che cantò nei celebri versi, e che gli storici ormai sono concordi nel
situare nel territorio del paese di Licenza (il nome è medioevale), laddove oggi si possono
visitare le rovine, appunto, della villa di Orazio:
O fons Bandusiae, splendidior vitro,
dulci digne mero, non sine floribus
O fonte di Bandusia, più trasparente del cristallo,
degna di dolce vino puro, non senza fiori
La Sabina, un gioiello naturalistico e storico
Per molto tempo semi-sconosciuta ai turisti italiani e stranieri, attratti dalle più rinomate
contrade dell’Umbria e della Toscana, la Sabina da qualche decennio sta vivendo una
“riscoperta” (o una scoperta tout court) del tutto meritata da parte dei viaggiatori curiosi e
appassionati al buon vivere.
Situata nella provincia laziale di Rieti, incastonata tra il Tevere e i monti dell’Appennino,
quella sabina è una terra ricca di storia, cultura e bellezze naturali, armonizzate serenamente
in un mix che, per equilibrio e semplicità, ha pochi rivali in tutta la Penisola.
Rieti, Greccio, Farfa, Roccantica, Casperia, Poggio Catino, Poggio Mirteto: sono solo alcuni
dei borghi sabini che non hanno nulla da invidiare a quelli più conosciuti e “iconici” del
Centro Italia. Anzi.
Nei suoi paesi quasi senza tempo – incastonati tra le balze di prima montagna sempreverdi
grazie agli ulivi, al bosco misto, alla macchia mediterranea, alle faggete, ai prati e ai pascoli
domina veramente la tranquillità. Un lentezza del vivere che sembra essere la migliore
personificazione di quell’otium tanto lodato dagli antichi Romani – che in fatto di saper
vivere non erano secondi a nessuno.
Non l’ozio come lo intendiamo noi moderni, dibattuti e quasi straziati dai ritmi insostenibili
della nostra quotidianità ad alto tasso di nevrosi. Ma l’otium come capacità di riappropriarci
di noi stessi: prima di tutto grazie al contatto diretto con l’ambiente naturale, che dev’essere
incontaminato o quasi, comunque non “invaso” dalla presenza e dalle attività umane.
E la Sabina è così: la presenza dell’uomo è sensibile, ma quanto basta per non sentirsi
troppo isolati, troppo scollegati, troppo off grid come si dice oggi. Non è una vita da eremiti,
quella che richiede la Sabina a chi desideri trasferirsi per passare un po’ di tempo, o anche
tutto il resto della vita.
E’ una vita certo ritirata: ma proprio per questo maggiormente a contatto con tutto. Con
l’ambiente e la natura prima di tutto: ma alla fine anche con gli altri esseri umani, i nostri
simili, che diventano realmente “vicini” di casa, e non più ombre sconosciute dall’altra parte
del pianerottolo. E non è poco, converrete.
Casperia, gemma silenziosa
Provate, ad esempio, a inoltrarvi tra i vicoli di Casperia.
E’ un borgo sospeso tra i confini temporali di una storia antichissima – già Virgilio
nell’Eneide citava un Montem Severum Casperiam – e di una sua identità attuale,
aggiornata, che le ha fatto conquistare l’ambito titolo di Bandiera Arancione del TCI.
Cura del centro storico; accoglienza turistica; sostenibilità ambientale. Sono qualità
essenziali, che a Casperia trovate messe in opera senza ostentazione né proclami, ma nella
sostanza.
Il suo centro storico è un classico “bulbo di cipolla”. Un andamento concentrico e “a volute”
delle strade e delle viuzze; un inerpicarsi ora dolce ora più severo, che culmina in maniera
quasi teatrale nella splendida Piazza dedicata a San Giovanni Battista (entrate nella chiesa
omonima e ammiratene i resti di affreschi gotici, la pala del 1524 opera di Giacomo Santoro
e il presepe monumentale realizzato da Giannicola Mariani).
Il vero protagonista dell’architettura urbana del borgo, in realtà, furono storicamente le
mura, erette nel 1282 e definite «un vero capolavoro di architettura militare e di consumata
arte difensiva del XIII secolo». Rendevano pressoché inaccessibile il borgo alle scorrerie: e
per coloro che avessero l’ardire di aprirvi un varco sufficientemente grande per il passaggio
di una persona, c’era la pena di morte.
Ma di un’ancora più antica cinta muraria, addirittura dell’XI secolo, resta oggi l’arco di via
Garibaldi, denominato «Arco Vecchio» o «Arco di Mezzo». Saperlo così antico mentre ci
passate sotto può dare, ai più sensibili, un certo brivido.
Arrivati a piazza Umberto I (altrimenti detta «piazza Macello») avrete ai vostri piedi uno dei
più nitidi ed esaustivi panorami della valle del Tevere che mai possiate trovare.
Domina il Monte Soratte – e anche qui come non citare Orazio:
Vides ut alta stet nive candidum
Soracte nec iam sustineant onus
silvae laborantes geluque
flumina constiterint acuto.
Tu vedi come si levi bianco per la neve profonda
il Soratte, come non sostengano più il peso
i boschi affaticati e per il gelo
penetrante i ruscelli si siano fermati.
A quel punto, se vorrete seguire fino in fondo i consigli dell’aureo Orazio, ovvero:
Dissolve frigus ligna super foco
largè repònens atque benìgnius
deprome quadrimum Sabìna
o Thaliarche, merum diota
Scaccia il freddo, ponendo legna sul focolare in abbondanza e più generosamente versa,
o Taliarco, vino puro
non dovete fare altro che infilarvi in una delle non poche osterie o ristoranti che il borgo
offre, dove appunto potrete scaldarvi con un bicchiere (o anche due, via) di generoso vino
rosso sabino, rigorosamente prodotto da uve di Sangiovese e Montepulciano.
Noi vi consigliamo (ma non è un consiglio esclusivo, è solo per esperienza fatta) l’Osteria
Vigna, rinomatissima. La location, come si usa dire oggi, è quasi indescrivibile per la sua
bellezza dominante l’intero panorama.
Comincerete sicuramente da una degustazione di oli dai cultivar locali: poi potrete provare i
salumi e i formaggi del territorio, davvero a km 0. Continuerete con gli stringozzi con porri,
pecorino e mandorle, oppure con pomodoro e basilico; le salsicce preparate dal macellaio
locale Armando; una parmigiana, delle patate al forno oppure dei friggitelli; per finire con
una consigliatissima torta di mele.
Al termine di tutto questo, scommettiamo che direte anche voi, con Orazio:
Quid sit futurum cras, fuge quaerere
et, quem Fors dierum cumque dabit
lucro adpone
Che cosa avverrà domani, non chiedertelo e qualunque giorno la Sorte concederà,
mettilo dalla parte dei guadagni
E se una giornata a Casperia è sicuramente un guadagno, lo è ancora di più, forse, passarci
la vita. Perché no?