Summit di Parigi: le grandi preoccupazioni sull’AI, dall’impatto ambientale alle disuguaglianze sociali

Quale sarà l’impatto dell'intelligenza artificiale sull'ambiente? E sulle disuguaglianze sociali, economiche, culturali che affliggono il nostro mondo, come impatterà l’AI?

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Team GreentomeetSummit di Parigi: le grandi preoccupazioni sull'AI, dall'impatto ambientale alle disuguaglianze sociali

Quale sarà l’impatto dell'intelligenza artificiale sull'ambiente?
E sulle disuguaglianze sociali, economiche, culturali che affliggono il nostro mondo, come impatterà l’AI?

Sono domande non da poco. Anzi, cruciali. Domande alle quali il vertice di Parigi sull’AI, il primo summit davvero ai massimi livelli planetari - al netto di alcune clamorose defezioni – ha cercato di dare qualche risposta non retorica o genericamente sfumata, ma concreta e credibile, almeno allo stadio delle ipotesi.

La prima a “prendere la palla” (per così dire) nel suo discorso di kick-off è stata Anne Bouverot, l’inviata di Emmanuel Macron al meeting del Grand Palais.
La Bouverot ha messo subito sul tavolo il problema numero uno. L’IA, ormai l’abbiamo capito, richiede enormi quantità di energia e risorse per essere sviluppata e funzionare.

“L'IA può aiutare a mitigare il cambiamento climatico” ha detto Bouverot, aggiungendo però subito: “Sappiamo però che la sua traiettoria attuale è insostenibile”.

Parole e concetti che non giungono certamente inaspettati né sconvolgenti.
Quello che è significativo rilevare è che finalmente sia stata proclamata in sede pubblica e di un summit internazionale l’insostenibilità ambientale dell’AI, se non regolata e “corretta” sul piano delle risorse.

E’ ormai ampiamente noto e assodato che chatbot AI come quelli di OpenAI e Google richiedano risorse energetiche significative.

Il fabbisogno energetico dell'AI è raddoppiato ogni 3,4 anni dal 2012: soprattutto grazie allo sviluppo di applicazioni come il Machine Learning e il riconoscimento facciale.


La stima è che entro il 2027 i data center che alimentano l'AI potrebbero consumare tra 85 e 134 terawattora di energia all'anno. Una quantità mostruosa, circa lo 0,5% del consumo energetico globale. Se mettiamo insieme questi dati con quelli totali dei data center, abbiamo un consumo di 200 terawatt l’anno, cioè l’1% del consumo globale.

La sola ChatGPT consuma oltre 500.000 kilowattora di elettricità al giorno.

Una singola risposta di un'IA richiede circa tre wattora di elettricità: sono dieci volte il consumo di una ricerca tradizionale.

Si stima che ricevere una risposta da un tool di intelligenza artificiale generativa consumi 4-5 volte in più rispetto a una tradizionale ricerca sul web.

Ovviamente tutto questo si traduce in tanta, tanta CO2 prodotta in più.

L'addestramento di modelli avanzati di IA, come GPT-3, o superiori, può generare fino a 500 tonnellate metriche di CO2: oltre a richiedere grandi quantità di acqua.

Gli scienziati se ne sono accorti per tempo, e hanno dato l’allarme. Il cosmologo Max Tegmark è l’autore di una lettera del 2023 che chiedeva una pausa nella produzione di potenti sistemi di IA. Con un filo di ironia – ma un’ironia in realtà tragica - avvertiva come i governi e le aziende tecnologiche stessero involontariamente riproponendo il finale del celebre film Dont’ look up. Quello della cometa che incombe sulla Terra e che alla fine, tra la sordità e l’inerzia dei governanti, spazza via il pianeta.

Il secondo grande tema del vertice di Parigi è stato certamente quello delle disuguaglianze.

Il segretario generale di UNI Global Union, Christy Hoffman, ha avvertito che senza il coinvolgimento dei lavoratori nell'uso dell'IA, la tecnologia rischia di aumentare appunto la disuguaglianza.

“Senza la rappresentanza dei lavoratori” ha dichiarato Hoffman “gli aumenti di produttività guidati dall'IA rischiano di trasformare la tecnologia in un ennesimo motore di disuguaglianza, mettendo ulteriormente a dura prova le nostre democrazie”.

Non è una tesi catastrofista. Dati alla mano, l'automazione e la robotica hanno già impattato significativamente sulla condizione dei lavoratori umani, portando a una diminuzione della crescita salariale. Gli studi hanno dimostrato come tra il 1980 e il 2016, una parte importante della crescita della disuguaglianza salariale negli Stati Uniti sia stata causata dall'automazione.

Anche l’FMI, il Fondo Monetario Internazionale, ha espresso preoccupazione per i potenziali sconvolgimenti del lavoro causati dall'AI generativa, esortando i governi ad adottare misure per proteggere le loro economie.

Le strade da percorrere sono già abbastanza chiare. L’educazione e la formazione dei lavoratori può aumentare le probabilità che non vengano sostituiti dall'automazione, ma che anzi trovino nelle nuove tecnologie un alleato per aumentare le proprie capacità e i proprio skills.

Poi bisognerà certamente riequilibrare il potere tra aziende e lavoratori, specialmente nelle grandi aziende tecnologiche. E qui entra in gioco direttamente la politica: e in particolare quella degli Stati nazionali.

Con il vento che spira in questo momento nel panorama politico dell’Occidente, non c’è molto da sperarci. Almeno per il momento.

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Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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