Non c’è praticamente giorno che i telegiornali nazionali non propongano servizi dalle principali località alpine italiane, registrando l’ennesimo restringimento di un ghiacciaio o gli effetti, spesso drammatici, di una loro sempre maggiore fragilità e vulnerabilità.
Si chiama “Carovana dei ghiacciai” il report finale che Legambiente e il Comitato Glaciologico Italiano hanno a questo proposito appena presentato. Ed è una relazione oltremodo preoccupante.
Il 2022 è stato l’anno nero per i ghiacciai alpini. Partendo dalle Alpi Occidentali, si è registrato in media un arretramento frontale annuale di circa 40 metri.
I record negativi sono dei ghiacciai del Gran Paradiso, con un arretramento frontale di 200 metri e i ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses in Val Ferret (AO), a forte rischio di crolli di ghiaccio.
Presentando questi dati l’associazione rinnova il suo allarme: “Nell’anno più drammatico per l’ambiente è fondamentale che il Governo Meloni approvi entro fine anno il Piano di adattamento climatico e provveda alla sua attuazione”.
Il report
Nel 2022 abbiamo assistito all’intensificazione di tutti i fenomeni avversi per la vita dei ghiacciai. L’ingrigimento, la perdita di superficie e spessore. La disgregazione in corpi più piccoli confinati alle alte quote, l’aumento in queste zone dei fenomeni di instabilità: frane, colate detritiche, valanghe di roccia e di ghiaccio.
Il report parla esplicitamente di “emorragia glaciale”, vissuta dall’intero arco alpino per effetto della crisi climatica. L’estate torrida e caratterizzata da intense ondate di calore, i record di temperature per il Nord Italia e la siccità estrema sono le cause immediate di questa emorragia.
A fine luglio, Meteo Suisse ha registrato lo zero termico sulle Alpi svizzere a 5.184 metri, mentre normalmente, nel mese di agosto, la quota dello zero termico si dovrebbe aggirare sui 3500 metri. A ciò si aggiunge un inverno povero di neve, con piste chiuse, gare di Coppa del mondo annullate anche sui ghiacciai tra Zermatt e Cervinia.
La mappa della sofferenza dei ghiacciai tracciata da Legambiente copre pressoché tutto l’arco alpino.
Si è già detto del fronte del Ghiacciaio del Gran Paradiso arretrato di ben 200 metri. Ma in zona ci sono anche i ghiacciai del Timorion (in Valsavaranche) e del Ruitor (La Thuile) con una perdita di spessore pari a 4,6 metri di acqua equivalente, la peggiore degli ultimi ventidue anni.
Sono aumentati i ritiri glaciali del Ghiacciaio di Verra (Val d’Ayas), del Ghiacciaio del Lys e degli altri del Monte Rosa, come il Ghiacciaio di Indren, che in due anni, ha registrato un arretramento frontale di 64 metri, 40 solo nell’ultimo anno. Il Pré de Bar dal 1990 ad oggi registra mediamente 18 metri di arretramento lineare l’anno. Il Miage in 14 anni ha perso circa 100 miliardi di litri di acqua: il suo lago glaciale appare e scompare in modo sempre più repentino.
In Val Ferret (AO), come sappiamo anche dai TG, soffrono i ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses nel massiccio del Bianco: il rischio di crolli di ghiaccio potrebbe coinvolgere gli insediamenti e le infrastrutture del fondovalle.
Passando al settore centrale, il Ghiacciaio del Lupo nel 2022 registra una perdita del 60% di massa rispetto a quanto perso nell’arco di 12 anni. Il Ghiacciaio di Fellaria (Gruppo del Bernina, Val Malenco) perde in 4 anni quasi 26 metri di spessore di ghiaccio. Il Ghiacciaio del Ventina (Gruppo del Monte Disgrazia) ha visto collassare la propria fronte, che in un anno ha perso 200 metri della sua lingua.
Nelle Alpi Orientali, del grande Ghiacciaio del Careser (Val di Pejo), rimangono placche di pochissimi ettari, essendosi ridotta la sua superficie addirittura dell’86%. Gli arretramenti delle fronti interessano per diverse centinaia di metri la Vedretta de la Mare e il Ghiacciaio di Lares (Gruppo dell’Adamello).
Arriviamo al Ghiacciaio della Marmolada, teatro della più recente tragedia. Tra quindici anni secondo il report potrebbe scomparire del tutto, visto che nell’ultimo secolo ha perso più del 70% L’unica eccezione a questo disastroso andamento è il piccolo Ghiacciaio Occidentale del Montasio: pur avendo subito in un secolo una perdita di volume del 75% circa e una riduzione di spessore pari a 40 metri, dal 2005 risulta stabilizzato.
Se il report è la fotografia in negativo dello stato dei ghiacciai, l’Associazione ambientalista lancia un pacchetto di proposte di policy di adattamento delle aree, articolate in tre ambiti d’azione: monitoraggio e attuazione, formazione e conoscenza e attuazione.
L’ambito Monitoraggio e attuazione
L’ambito Monitoraggio e attuazione comprende la necessità di approfondire le ricerche sulle variazioni dei ghiacciai e del permafrost e sul loro comportamento futuro; la promozione e il sostegno di strutture e programmi di ricerca open per la raccolta di dati di monitoraggio; l’acquisizione di nuovi scenari idrologici sui bacini montani per comprendere come cambierà in futuro la disponibilità idrica e l’istituzione di protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che permettano di avere stime affidabili delle disponibilità di risorse idriche, dei consumi reali e della domanda potenziale.
Formazione e conoscenza significano promozione a livello locale di piani per la sensibilizzazione, conoscenza e informazione sul cambiamento climatico, azioni a sostegno delle comunità locali per affrontare le conseguenze economiche del riscaldamento climatico (come l’industria del turismo invernale) e a contrasto della perdita di biodiversità e geodiversità; azioni per la valorizzazione e gestione dei beni naturali (collettivi/pubblici) presenti nei territori; attuazione di strumenti di sussidiarietà orizzontale per la gestione partecipata attraverso strumenti normativi (contratti di fiume, contratti di foresta, green community, Comunità di custodi di biodiversità).
Per la programmazione, si propongono il consolidamento di sinergie tra scienza, politica e società per una governance integrata del territorio; il rafforzamento del ruolo delle autorità di Bacino e di Distretto; una strategia che promuova la riduzione dei consumi idrici domestici e il ricorso ad acque non potabili.
E inoltre, secondo Legambiente, occorre pianificare e gestire le aree di alta quota e collinari, con particolare attenzione ai bacini soggetti a rischi naturali legati alla trasformazione di neve, ghiaccio e permafrost e a eventi estremi. E ancora definire e adottare per ogni bacino dei protocolli di gestione delle siccità, in modo da superare definitivamente l’attuale approccio emergenziale. E poi incentivare programmi di recupero del patrimonio edilizio esistente e programmi per ridurre il consumo del suolo e lo spread urbanistico e, laddove occorre, avere il coraggio di avviare procedure di delocalizzazione.