La storia di Bio-On, la società italiana che doveva cambiare il mondo con la plastica bio, diventerà una serie TV

Un documentario per capire la verità sul clamoroso caso della “Google italiana della plastica

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Ricordate il “caso Bio-On”, la startup che si avviava a diventare un colosso mondiale grazie al brevetto di una plastica interamente biodegradabile e di origine biologica, e che invece è stata fatta a pezzi nel giro di pochissimo tempo dall’attacco congiunto della speculazione e di un’inchiesta giudiziaria (ancora aperta)?

Se non conoscete questa storia, ricca di interrogativi, di punti di sospensione e in definitiva di mistero, presto avrete la possibilità di saperne tutto o quasi, grazie a una docuserie la cui realizzazione è stata annunciata proprio in questi giorni.


La casa di produzione Indigo Film (una delle più importanti nel panorama italiano, con all’attivo titoli prestigiosi come Loro di Sorrentino e Qui rido io di Mario Martone) ha messo gli occhi su questa vicenda, giudicandola da subito ricca di colpi di scena degni del cinema, oltre che di risvolti di stretta attualità, come le problematiche della transizione ecologica, le dinamiche della Borsa e del grande capitale, le battaglie attorno ai brevetti industriali.

La serie si annuncia di particolare interesse, perché nata da uno straordinario lavoro di documentazione portato avanti dal regista Vanni Gandolfo in qualcosa come tredici anni di riprese. Tredici anni in cui l’incredibile storia della start-up made in Italy di Marco Astori e guy Cicognani è stata registrata pressoché giorno per giorno, quasi presagendo che avrebbe avuto una vita perlomeno avventurosa.

Ma qual è la vicenda (per la quale non è stata ancora scritta la parola fine) di Bio-On?
E’ una storia che nasce in Emilia, a Bologna. Protagonista è Marco Astorri, emiliano doc, di professione grafico pubblicitario, con un sogno: produrre una bio-plastica che si autodistrugge. Inutile spiegare che, se ci riuscisse, sarebbe una delle più clamorose svolte tecnologiche del millennio, qualcosa di simile ad avere per le mani una nuova Apple. O, come diceva qualcuno, “la Google della plastica”. 

Astorri trascina nell’impresa un amico, l’italo-francese Guy Cicognani. Dopo un soggiorno all’Università delle Hawaii di Honolulu per trovare il materiale perfetto, i due tornano a Bologna e fondano Bio-on.

“Il prodotto di base di Bio-on” spiegava l’azienda nella sua presentazione “si chiama Minerv-PHA (polidrossialcanoato) ed è poliestere realizzato con scarti di lavorazioni agricole, grazie alla fermentazione batterica dello zucchero: sono i batteri che producono il poliestere. Può sostituire tutti i tipi di plastica: polietilene, polipropilene, polistirolo, pvc, pet. Si degrada biologicamente al 100% lasciandolo pochi giorni in acque ‘vive’ a temperatura ambiente, nei fiumi o nei mari”.

L’azienda bolognese mirava “a dare il suo contributo per costruire un futuro più sostenibile per tutti, negli oggetti in plastica di uso comune. Il segreto è nel nome, Bio-on: accendi il BIO! “Turn OFF pollution” spegni l’inquinamento!”

Grazie alla plastica completamente degradabile, Bio-On prometteva anche di ripulire completamente i mari dall’inquinamento del petrolio.
Durante il G7 Ambiente del 2017, Astorri e i suoi assicuravano che, con la tecnologia denominata “Minerv biorecovery”, le particelle del prodotto gettate in mare formavano una struttura porosa “che ospita colonie di batteri latenti presenti in ambiente marino, risvegliandole. Queste, nutrendosene, si moltiplicano e rafforzano, per poi attaccare il petrolio”. I primi test effettuati dall’Istituto per l’ambiente marino costiero del Cnr di Messina, certificarono che la biodegradazione si attivava davvero, a cinque giorni dall’applicazione, mentre la bonifica avveniva in venti.

Ce n’era abbastanza, insomma, per suscitare l’entusiasmo del mondo industriale, di quello ambientale, e anche di quello degli investitori. La scalata di Bio-On al gotha della finanza è infatti di quelle impressionanti.
Sbarcata sull’AIM nel 2014 ad un prezzo di € 5 ad azione, Bio-On raggiunge, con un rush impressionante, la quotazione massima di € 70 euro ad azione e una capitalizzazione di oltre il miliardo di euro.

L’azienda sembrava essere diventata una di quelle stelle del firmamento finanziario dal futuro sempre più luminoso e soprattutto sicuro.
E invece – come nei film ambientati a Wall Street – dopo solo pochi mesi dal suo exploit, nel dicembre 2019, l’azienda è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Bologna, trascinando in un crack clamoroso i suoi investitori.

L’accusa, come accade in questi casi, è di aver creato un castello di carta, e Marco Astorri viene fermato. Da lì inizia il caso giudiziario, tutt’ora in corso.
In questi cinque anni è successo di tutto, tra udienze in tribunale al calor bianco con scambio di accuse e rivelazioni inaspettate, fino alla rinascita dell’azienda e del marchio.

I curatori fallimentari di Bio-On, dopo il via libera del Tribunale fallimentare di Bologna e previo parere favorevole del comitato dei creditori, hanno siglato l’atto di trasferimento del complesso aziendale alla newco Haruki Spa, controllata al 75% da Maip Compounding e al 25% da Plastotecnica, entrambe appartenenti al Gruppo Maip.

Resta ancora aperto, invece, l’iter processuale che riguarda i vertici della società, con l’aggiunta di un’accusa di evasione fiscale.

Ma qual è la verità? Astorri e i suoi sono stati degli abili prestigiatori, oppure qualcuno ha manovrato nell’ombra perché Bio-On, che evidentemente avrà dato fastidio a più di un potente concorrente, crollasse?

Secondo quelli che sostengono la seconda tesi, è singolare che i guai di Bio-On siano iniziati quando l’azienda è stata messa nel mirino da un fondo di investimento con sede a New York, il Quintessential.
Quintessential pubblica nel luglio 2019 un report significativamente intitolato “Bio-On: una Parmalat a Bologna?” dichiarando di aver aperto una posizione ribassista sul titolo e di avere “un interesse nella discesa del prezzo” di Bio-On.

Nel report il fondo afferma senza mezzi termini che Bio-on sarebbe “un castello di carte”, “uno schema concepito dal management per arricchirsi sulle spalle degli azionisti”.

Quella che appare come una società di successo, con fatturato e profitti in crescita, è in realtà “una grande bolla, basata su tecnologia improbabile, con fatturato e crediti essenzialmente ‘simulati’ grazie ad un network di scatole vuote”. Così sentenzia il fondo americano.

I fondatori di Bio-On provano subito a difendersi con un comunicato stampa circostanziato che ribatte alle accuse punto per punto.
Ma non c’è nulla da fare. Il giorno successivo alla pubblicazione del report, il titolo di Bio-On crolla a piazza Affari.

Il titolo perde il 70% del suo valore, passando da 50 a 15 euro.

In pochi giorni la capitalizzazione di Bio-On “evapora” per circa 700 milioni di euro: Bio-On arriva a capitalizzare 300 milioni, quando pochi giorni prima ne valeva oltre 1 miliardo.
E’ l’inizio della fine. Solo un mese dopo, la procura di Bologna aprirà un fascicolo sul caso.

Cui prodest? si direbbe in situazioni come questa. Le ipotesi sono tante e le più disparate, come appunto in una spy story o in un “giallo” politico-finanziario. Astorri e i suoi proclamano da sempre la loro innocenza e buona fede. Per loro è evidente che si è trattato di “un attacco speculativo premeditato”.

Ce n’è abbastanza, dunque, per aspettarsi una serie TV piena di colpi di scena e di rivelazioni anche clamorose sugli intrecci tra industria, tecnologia, finanza e grande capitale: nello stile delle grandi inchieste d’oltreoceano, che risultano sempre più avvincenti, e spesso istruttive, per il pubblico mondiale.

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Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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