C’è un clamoroso video che sta diventando virale sui social in questi giorni.
Mostra un Parlamento in cui si parla inglese; una deputata che straccia un pezzo di carta, verosimilmente un documento ufficiale, e comincia un canto a tutta prima dai toni accesi e battaglieri. Lo accompagna con gesti di una danza dal carattere tribale: danza che viene fatta propria in pochi secondi da altri deputati e deputate, fino ad avvolgere letteralmente l’aula seriosa del Parlamento post-coloniale anglosassone in un’atmosfera indigena e nativa, indubbiamente affascinante per quanto tesa e drammatica.
Molti si saranno chiesti i motivi e le cause scatenanti di questa protesta sicuramente efficace, visto che ha fatto il giro del mondo mediatico.
Vediamo dunque che cosa è successo.
Siamo in Nuova Zelanda. I deputati di etnia maori del Parlamento neozelandese hanno eseguito una decina di giorni fa una haka (la danza rituale) per contestare una proposta di legge dagli impatti estremamente significativi sulla vita dei discendenti delle antiche tribù native. Una proposta che addirittura riscrive il fondamentale Trattato di Waitangi del 1840.
Nel lontano XIX secolo, il trattato concesse alle tribù Maori diritti e tutele sulla terra in cambio della cessione del governo alla Corona britannica. Una sorta di “risarcimento” per la perdita di sovranità e allo stesso tempo una forma, seppure molto parziale, di riconoscimento di autonomia.
La proposta di legge odierna mira a estendere questi diritti a tutti i cittadini. Nasce dal partito Act – una formazione di orientamento “liberista e libertario” che fa parte della coalizione di governo di centro-destra – con l’obiettivo di cancellare i principi consolidati a favore di una totale ridefinizione dei principi.
Da qui la rabbia delle comunità maori.
Due deputati sono stati espulsi e la sessione è stata sospesa. Ma la haka ha continuato a riecheggiare nell’aula.
Non solo. Dalla clamorosa manifestazione è nato un grande corteo: anzi, una vera e propria marcia della durata di nove giorni verso Wellington, destinata a concludersi con una grande manifestazione.
La marcia di protesta, una delle più grandi nella storia della Nuova Zelanda, è arrivata al Parlamento martedì: è stata, a detta degli organizzatori, una straordinaria dimostrazione di unità. La polizia neozelandese ha stimato la presenza in 42.000 persone, ma secondo gli organizzatori sono state molte di più.
Quando il primo gruppo dei manifestanti ha raggiunto il Parlamento, la folla si estendeva per circa 2 km attraverso tutta la città. Dappertutto i colori del rosso, del bianco e del nero della bandiera nazionale Māori.
I cartelli issati chiedevano al governo di continuare a onorare il trattato e di “uccidere il disegno di legge”. I canti e gli haka hanno riempito le strade per tutta la durata del corteo.
“Oggi è nata la nazione Māori ”, ha urlato alla folla Eru Kapa-Kingi, leader del movimento di protesta. “Ognuno di voi che si è unito a questa marcia oggi, spero si renda conto di ciò per cui si è impegnato oggi. Vi siete impegnati per un futuro in cui torneremo alla realtà dei nostri rangatira”.
Ma cosa significa rangatira? Il termine indica nella lingua maori quelle persone di grande saggezza pratica che detenevano l’autorità (mana) per conto della tribù e mantenevano i confini tra la terra di una tribù e quella di altre tribù.
In senso lato, dunque, tornare ai rangatira non significa certo regredire ad uno stato tribale, quanto piuttosto rivendicare un’autonomia nella gestione del territorio che sia ispirata a principi morali di solidarietà e di buongoverno invece che di sfruttamento delle terre e di sottomissione delle popolazioni native.
Trai manifestanti della marcia c’erano anche diversi non-maori. L’attivista Alice Soper ha spiegato che la protesta riguarda non solo la legge in questione, ma tutta la gamma di politiche governative volte a far regredire i diritti dei Māori: prima fra tutte, la soppressione dell’autorità sanitaria Māori.
“E’ una questione di potere” ha aggiunto. “Qui in ballo non ci sono solo i diritti dei Māori, ma quelli di tutti noi”.
Tra i manifestanti spiccava la presenza della regina Māori, Nga Wai hono i te po. Ventisettenne, da poco succeduta al padre, Ngā Wai hono i te pō è la seconda regina nella storia dei Māori ed è già in prima fila per difendere i diritti del suo popolo da quella che viene considerata da più parti un’operazione di ridimensionamento studiata ai tavoli della politica.
“La regina Māori è disposta a contribuire a guidare una conversazione sulla nazione e sull’unità nazionale” ha dichiarato il suo portavoce, Ngira Simmons. “Ma non accetterà un processo unilaterale che mina il trattato”.
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