Coltivare senza suolo: l’idroponica raccontata da un leader italiano del settore

È possibile applicare pratiche agricole innovative che ottimizzano l'uso delle risorse e minimizzano l'impatto ambientale? Parliamone con Andrea Trombetta, CEO di Sfera Agricola. La serra idroponica più grande d'Italia

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Si discute spesso dell’importanza del contributo delle aziende nella lotta contro l’emergenza climatica. Ma cosa significa concretamente questo impegno? È possibile armonizzare le soluzioni ambientali con gli obiettivi economici e la crescita aziendale? Per rispondere a queste domande abbiamo intervistato Andrea Trombetta, CEO della più grande azienda italiana nel settore della coltivazione in serra idroponica. Ne è emerso un racconto ricco di spunti interessanti

Alessandro Di Nuzzo: Buongiorno ad Andrea Trombetta, amministratore delegato di Sfera Agricola. 

Sfera Agricola è un’impresa che ha raggiunto in questi anni obiettivi importanti: un risparmio idrico del meno 90%, del meno 50% di carburante, è 100% ecosostenibile e realizza un risparmio di suolo per il 90%. Come avete fatto?

Andrea Trombetta: Sfera nasce nel 2017 proprio con l’obiettivo di conseguire questa sostenibilità che lei ha ben sintetizzato, attraverso le tecniche della coltura idroponica.

Significa che invece di seminare la pianta, nel nostro caso pianta di pomodoro, a suolo, la coltivazione viene fatta mediante dei pani di lana di roccia che vengono appoggiati a delle canaline sospese e che vengono quotidianamente irrigati, nutriti e riempiti di sostanze come azoto e potassio, in modo da dare alla pianta la giusta quantità di acqua e di nutrimenti in funzione della situazione climatica, della sanità della pianta, della temperatura. 

E’ un sistema controllato mediante computer e mediante una centrale idrica d’alta tecnologia che permette, in prima battuta, di usare solo l’acqua che serve senza disperderla nel suolo. La cifra che lei dava prima, il 90% è una percentuale provata, perché quando si dà l’acqua nel suolo la maggior parte, addirittura il 90%, si disperde, non può essere assorbita dalla pianta. Somministrandola invece nel tempo quando serve, cioè in modo da mantenere questi panetti di lana di roccia costantemente umidi, ma mai fradici, e recuperando attraverso queste canaline tutta l’eventuale acqua che la pianta non riesce ad assorbire, l’acqua viene utilizzata in maniera ottimale.

Il risparmio di suolo è dato dal fatto che questo metodo di coltivazione permette di far vivere la pianta molto a lungo; una pianta con la coltivazione idroponica presso Sfera può vivere anche un anno intero, il che vuol dire otto mesi di raccolta, e questo consente di far sì che a parità di suolo la pianta possa dare effettivamente il 90% in più, o viceversa che a parità di peso prodotto si utilizza il 90% di suolo in meno.

La pianta viene fatta crescere su steli in verticale; quando raggiunge un’altezza di 4 metri viene settimana per settimana abbassata, in modo che la parte della pianta, il fusto della pianta che non ha più bisogno di avere foglie e dove non c’è più prodotto da raccogliere venga steso in orizzontale. Così cresce fino a una lunghezza di 12-13 metri in orizzontale oltre ai 4 metri di crescita verticale, e può raggiungere anche l’anno di anzianità.

Alessandro Di Nuzzo: Voi siete nati nel 2015-2016. Quando avete avuto l’idea di creare questa grande serra idroponica, come avete trovato i finanziamenti, i partner per la costruzione della serra? Lo chiedo considerando che evidentemente la tecnologia legata all’idroponico doveva essere ancora agli inizi in Italia.

Andrea Trombetta: Parto dal primo aspetto. L’idea di fondo è stata quella di coniugare sostenibilità e mercato, dando non solo una sostenibilità diciamo geologica ma anche una sostenibilità sociale.

Il territorio in cui noi siamo collocati, nella parte meridionale della Toscana, molto vicini al Lazio, non ha una coltivazione idroponica di pomodoro a distanza di 200-300 km.

Questo vuol dire che la scelta di localizzarci qua ci permette di servire un territorio con un raggio di due o trecento chilometri in maniera quotidiana: cioè con un servizio, come si dice, A per A. E’ stata una scelta di prossimità al mercato, in una logica di produzione sostenibile che non va all’ottica del chilometro zero ma ci assomiglia molto.

In realtà l’esperienza della produzione idroponica in altri Paesi, in particolare l’Olanda, non era più così giovane perché aveva già una ventina d’anni. Quindi si è trattato di mediare delle competenze che in qualche altro Paese erano più sviluppate e più avanzate mediante quei fornitori, quei tecnici che l’avevano già sperimentata.

Certo questo è un mestiere ancora giovane. Noi ci stiamo accorgendo che avendo a che fare con piante vive e prodotti freschi non c’è un punto d’arrivo definitivo, non abbiamo a che fare con dei bulloni o dei pezzi di legno o delle ceramiche.

Le piante sono vive e interagiscono col clima, con l’umidità, con la temperatura; è un sistema interattivo, che deve essere capace di una grande rapidità di risposta, una grande competenza agronomica e anche delle strutture molto versatili.

Una gelata piuttosto che una “botta” di caldo, una luce molto intensa piuttosto che quattro o cinque giorni di cielo coperto possono cambiare molto le tecniche di coltivazione idroponica. Per quanto riguarda i finanziamenti, Sfera è stata finanziata interamente da capitale privato attraverso un fondo e con grandi azionisti che prediligono investimenti proprio in avventure sostenibili come la nostra. Abbiamo realizzato una serra di 120.000 metri quadrati, 12 ettari, che abbiamo accompagnato nel tempo: all’investimento iniziale è stato necessario far seguire ulteriori investimenti e anche alcune ricapitalizzazioni, perché Sfera ha bisogno di essere ancora sostenuta.

E’ un’avventura che sta arrivando al punto di pareggio dopo sei anni di attività. È iniziata nel 2017, le vendite sono iniziate nel 2018, e progressivamente ci stiamo avvicinando anche alla sostenibilità anche economica.

Alessandro Di Nuzzo: Lei ha parlato di questo grande sforzo tecnologico che sta dietro ad una impresa e ad un tipo di agricoltura di questo tipo. Voi avete 260 persone che sono addette alle varie mansioni: un numero importante. D’altra parte immagino che l’automazione sia un fattore sempre più importante nel vostro tipo di attività. Come vede in futuro il ruolo dell’automazione e il rapporto fra questa e la manodopera?

Andrea Trombetta: Oggi questo settore vive ancora una situazione di dualismo, perché per alcune attività, come quella dell’irrigazione, siamo in presenza di tecnologie molto avanzate, computerizzate, quindi di una automazione spinta.

Per quanto riguarda la gestione della pianta, quelle attività di attenzione alla pianta come l’abbassamento, la sfemminellatura, la clippatura che consentono alla pianta di crescere bene, e anche le attività più basiche come la raccolta, la defogliazione per la parte bassa della pianta, dipendiamo ancora molto dal fattore umano.

Quello che io personalmente credo succederà nell’arco di un decennio è che la parte più ripetitiva di queste funzioni manuali verrà sostituita da robot – che già oggi si vedono ma che non sono ancora sufficientemente performanti e sono assolutamente non economici, in sostanza costano molto di più di quello che fanno.

Quello della tecnologia per la coltivazione idroponica è un settore in cui stanno arrivando parecchi capitali e che sicuramente avrà un grande sviluppo. Teniamo presente che questa non è una produzione delocalizzabile: non si possono andare a produrre pomodori dall’altra parte del mondo. Inoltre la produzione agricola e idroponica sarà sempre più vicina alle città, andrà a recuperare e in qualche modo a far rinvenire degli spazi di periferia urbana, ex-industriale e post-industriale che saranno recuperati. Ci sarà una parte importante, indicativamente una metà, di quella che oggi è necessariamente fatta o svolta da persone che potrà essere svolta dall’automazione. C’è una parte che io personalmente credo rimarrà prerogativa dell’uomo, della persona, perché la pianta ha bisogno di essere interpretata. Io credo che almeno per un trentennio sarà prerogativa dell’attività delle persone.

Alessandro Di Nuzzo: Ha accennato al rapporto fra il capitale privato e il pubblico. Vorrei chiederle qual è il vostro rapporto con le istituzioni pubbliche, quelle italiane e magari anche quelle europee. C’è un’attenzione sufficiente o no? Che cosa vi aspettate dall’Italia e dall’Europa per lo sviluppo della vostra agricoltura?

Andrea Trombetta: Questo è sicuramente un tema importantissimo che ha alcune declinazioni molto delicate.

Parliamo di quella più facile, più banale che sono i finanziamenti pubblici. Tutti sappiamo che in agricoltura il finanziamento pubblico, soprattutto a livello europeo, è importantissimo.

Il fatto che noi siamo stati finanziati con capitali privati sicuramente non ci fa disdegnare la finanza pubblica.

La nostra esperienza però ci insegna che a tutt’oggi il sistema di finanziamento pubblico non è evoluto. È un sistema molto burocratico che ha dei criteri antichi e dei sistemi di valutazione molto discrezionali e che non sta guardando al futuro come dovrebbe. Si basa cioè ancora su parametri che non sono tecnologici, non sono quelli della sostenibilità, ma sono ancora quelli delle superfici, della localizzazione geografica. L’aspettativa è che il finanziamento all’agricoltura possa adeguarsi ai tempi, sia come attenzione specifica a questo sistema di coltivazione, sia come criteri di valutazione. 

Il secondo aspetto è quello legato alle normative. In generale tutta la normazione è incentrata sul sistema di coltivazione al suolo; questo è un problema perché, come dicevamo prima, a parità di prodotto noi usiamo il 90% di suolo in meno.

La terza cosa che noi notiamo è che per questo sistema di coltivazione, che è borderline tra il mondo industriale e il mondo agricolo, mancano tutta una serie di normative sulla sicurezza del lavoro, che per noi sono fondamentali e che in realtà non sono mai state prodotte per questo sistema. C’è di fatto un vuoto legislativo che va colmato il più in fretta possibile, perché è nell’interesse della sicurezza del lavoro che le leggi siano cambiate.

Alessandro Di Nuzzo: Un’ultima domanda. La vostra coltivazione per il momento è il pomodoro, coltivato con una resa straordinaria rispetto a una coltivazione tradizionale. Avete in progetto di estendere le coltivazioni ad altri prodotti? In generale quali sono i prodotti che potranno meglio svilupparsi in un contesto idroponico, ipertecnologico e di precisione come  la vostra agricoltura?

Andrea Trombetta: I nostri clienti in effetti ci chiedono di dare loro altre varietà di ortaggi: peperoni, zucchine, melanzane, solanacee ecc. vede, Sfera è riuscita nel tempo a dare un livello di continuità e di qualità del servizio che per la grande distribuzione – quella che possiamo definire il mondo del valore accessibile – è molto importante. Poter dare oggi quello che il cliente mi ha ordinato stamattina e che forse io raccolto stamattina e consegnato stasera, è una capacità di servizio che noi abbiamo e che evidentemente ai nostri clienti farebbe comodo avere anche per altri ortaggi.

In questo momento, anche se stiamo valutando la possibilità, la preferenza è quella di restare ancora su un solo prodotto e diventare un riferimento ancora più forte nel mondo del pomodoro.

Alessandro Di Nuzzo: Ultimissima domanda: come siete stati accolti in un territorio come quello della bassa Toscana in cui siete?

Andrea Trombetta: Direi ci sono due aspetti. In generale l’approccio è stato molto positivo perché la nostra azienda è stata sicuramente una fonte di impiego importante, una fonte di occupazione che dal territorio è stata apprezzata.

Così si può dire anche per il mercato, per il fatto di avere una produzione importante toscana, maremmana.

L’impatto ambientale non è stato facilissimo. La nostra è una serra che sorge in mezzo ai colli del nord della provincia di Grosseto, in piena Maremma. Per qualche nostro confinante, una serra di 12 ettari ha avuto un impatto paesaggistico non trascurabile. 

Probabilmente se fosse stata realizzata a nord del comune di Grosseto, in un’area periferica, avrebbe avuto dal punto di vista paesaggistico un impatto differente. Oggi se dovessero incaricarmi di costruire una nuova serra in un altro posto, andrei a cercare una location, come quella che ho appena detto, in una periferia da riqualificare.

Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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