La questione se gli animali degli allevamenti si rendano conto che stanno per essere uccisi è complessa. E forse non è nemmeno del tutto corretta, se posta in questi termini.
Noi, infatti, tendiamo ad affrontare l’argomento dal punto di vista della comprensione della morte come concetto astratto, quindi al modo degli esseri umani (con tutto quel carico di coscienza che esso comporta). In questo senso, possiamo ipotizzare che una siffatta comprensione della fine della vita sia effettivamente un’abilità cognitiva al di là della loro natura.
Questa è però una posizione tipicamente antropocentrica. Non è detto che, se gli animali non percepiscono la fine della loro vita come la percepiamo noi umani, non la percepiscano affatto e non ne provino grande paura e dolore. Proprio come noi umani, negli effetti che provoca.
Partiamo dal fatto che gli animali d’allevamento sono esseri senzienti, dotati di capacità cognitive che consentono loro di percepire e interagire con l’ambiente circostante.
“Esistono prove scientifiche sufficienti a dimostrazione del fatto che gli animali vertebrati sono esseri senzienti”, dice il Regolamento (CE) n. 1099/2009 del Consiglio del 24 settembre 2009: cioé quella normativa europea che disciplina la protezione degli animali durante l’abbattimento, con l’obiettivo di ridurre al minimo il dolore, l’angoscia e la sofferenza dei soggetti stessi in questo processo.
I bovini, i maiali e i piccoli ruminanti hanno capacità di apprendimento, di discriminazione tra conspecifici e operatori umani, e l’abilità di rispondere a segnali comportamentali sottili.
Questo implica senza ragionevoli dubbi che essi possano percepire e reagire allo stress e alla paura. Cosa che certamente accade in quella situazione cruciale e altamente critica che è il trasporto verso i mattatoi.
Esiste dunque – eccome – un “miglio verde” anche per gli animali: il percorso che i condannati a morte compiono dalla propria cella al luogo dell’esecuzione (ricordate il bellissimo film del 1999 con Tom Hanks?).
A questo si deve aggiungere il fatto che l’ultimo viaggio, cioè il trasporto verso i mattatoi, viene compiuto non certo in comodità. Anzi.
Gli animali subiscono quasi sempre in questa circostanza condizioni estreme, come il sovraffollamento e le temperature molto alte o molto basse, e possono essere privati di cibo e acqua.
Sono tutte condizioni in grado di aumentare lo stress e la paura. Una volta nei mattatoi poi, gli animali possono assistere alla morte dei loro simili: il che può aumentare ulteriormente la loro ansia e paura.
Quindi, se è vero che la capacità degli animali di provare paura e dolore è ben documentata, la loro risposta nella situazione dell’”ultimo corridoio” che li porta alla morte sarà inevitabilmente legata allo stress e alla paura generati dalle condizioni avverse descritte sopra.
Metodi di stordimento (leggi: abbattimento)
Per “alleviare” questo grande carico di stress, paura e dolore, il Regolamento n. 1099/2009 all’allegato 1 elenca i metodi di “stordimento” praticabili sugli animali.
La premessa è che “durante l’abbattimento e le operazioni correlate sono risparmiati agli animali dolori, ansia e sofferenze evitabili” (art.. 3, par. 1, del Regolamento).
Per questo gli operatori devono garantire che gli animali: “ricevano conforto fisico e protezione, in particolare tenendoli puliti e in condizioni termiche adeguate ed evitando loro cadute o scivolamenti; siano protetti da ferite; siano maneggiati e custoditi tenendo conto del loro comportamento normale; non mostrino segni di dolore o paura evitabili o comportamenti anomali”.
Gli operatori inoltre “assicurano che le persone responsabili dello stordimento o il personale adibito a tale mansione svolgano controlli regolari al fine di garantire che gli animali non presentino segni di coscienza o sensibilità nel periodo compreso fra
la fine del processo di stordimento e la morte; non soffrano per la mancanza prolungata di cibo o acqua; non siano costretti all’interazione evitabile con altri animali che potrebbe avere effetti dannosi per il loro benessere”.
Ma torniamo ai metodi di “stordimento”. Questo viene definito dal Regolamento come “qualsiasi processo indotto intenzionalmente che provochi in modo indolore la perdita di coscienza e di sensibilità, incluso qualsiasi processo determinante la morte
Istantanea”. Quindi è sostanzialmente sinonimo di “abbattimento indolore”, posto che i metodi che non comportino la morte istantanea (ovvero quelli di “semplice stordimento”) sono seguiti quanto più rapidamente possibile da una procedura che assicuri la morte quali il dissanguamento, l’enervazione, l’elettrocuzione o la prolungata anossia.
Qui è consigliato a chi è particolarmente sensibile di saltare le prossime righe.
Per i bovini è usato prevalentemente il proiettile captivo, che penetra il cranio dell’animale per sei-sette centimetri (semplice stordimento). Esiste anche il metodo del proiettile non penetrante.
La tecnica della macerazione viene utilizzata per i pulcini fino a 72 ore di vita: si tratta di uno schiacciamento che dovrebbe provocarne la morte istantanea.
C’è poi la dislocazione cervicale: riguarda i volatili che non superano i 5 kg di peso, i quali possono essere abbattuti tramite la distensione o torsione manuale o meccanica del collo, che causa ischemia cerebrale.
Suinetti, vitelli, capretti, conigli, lepri, volatili da cortile e animali da pelliccia fino a 5 kg possono essere storditi con colpi da percussione alla testa: “Colpo deciso e preciso alla testa che provoca danni gravi al cervello”.
E’ da precisare che questi ultimi due metodi – la dislocazione cervicale e i colpi da percussione – sono da considerarsi a norma di Regolamento “metodi di riserva” e cioè utilizzabili solo dove non siano disponibili altri metodi.
Altro metodo di abbattimento consentito è l’elettronarcosi: si tratta di applicare la corrente elettrica in testa oppure a tutto il corpo, generando attività epilettiforme.
Solo per i volatili da cortile c’è il metodo dei bagni d’acqua, ovvero l’immersione di tutto il corpo in liquido con il passaggio di corrente elettrica, in modo da provocare attività epilettiforme generalizzata o arresto cardiaco.
Entrambi questi ultimi due metodi dovrebbero provocare “semplice stordimento”.
Ma si può morire prima (e forse è meglio)
Ma gli animali d’allevamento, soprattutto se sono rinchiusi in strutture intensive, muoiono anche prima della macellazione.
Le condizioni più comuni che portano alla morte prematura degli animali negli allevamenti includono:
- Malattie e infezioni. Circa il 20% degli animali muore per malattie, spesso a causa delle pessime condizioni igieniche e del sovraffollamento, che indeboliscono il sistema immunitario degli animali.
- Stress e comportamenti autolesionistici. Lo stress cronico negli allevamenti può portare a comportamenti aggressivi o autolesionistici (molto frequente ad es. nei suini) aumentando il rischio di ferite e infezioni.
- Stress da caldo e siccità. Gli eventi climatici estremi possono causare morti significative, come si è visto nel Regno Unito e in Canada, dove milioni di polli sono morti a causa di queste condizioni.
- Patologie legate al trasporto. Come si è detto, il trasporto verso il macello è spesso una fase critica per la salute degli animali, scatenando malattie latenti o causando patologie specifiche dovute a stress, temperatura estrema, traumi e carenze alimentari.
- A questi fattori si aggiungono le cause naturali e gli stress legati a eventi specifici. Eventi come il parto o i primi mesi di vita possono essere particolarmente critici per la mortalità precoce, soprattutto a causa di patologie intestinali o polmonari.
E’ ormai provato che lo stress degli animali portati al macello può influire negativamente sulla qualità delle carni. Quindi su quello che, alla fine, ingeriamo noi umani cibandoci delle loro carni macellate.
Il trasporto, l’attesa pre-macellazione e il processo di macellazione stessa provocano una serie di risposte fisiologiche che possono alterare le caratteristiche organolettiche e chimiche della carne.
I principali effetti accertati dello stress sulla carne sono:
- La riduzione delle riserve di glicogeno. Lo stress prolungato consuma le riserve di glicogeno nei muscoli, riducendo la produzione di acido lattico e alterando il processo di acidificazione della carne. Questo può portare a carni con pH più alto, che possono essere meno tenere e meno adatte al consumo.
- Carni DFD (Dark, Firm, Dry). Lo stress prima della macellazione può causare la formazione di carni cosiddette DFD. Esse si presentano alla vista di colore rosso-brunastro, consistenti al tatto e asciutte. Questo tipo di carne è meno appetibile; non solo, può avere problemi di conservazione.
- Alterazioni della qualità sensoriale. Lo stress può influire sulla luminosità, sulla tenerezza e sul sapore della carne, rendendola meno appetibile per il consumatore.
- Contaminazione microbiologica. Questo è il fattore più importante per la salute di chi consuma la carne. Lo stress può aumentare la suscettibilità degli animali a infezioni e contaminazioni microbiologiche, come Campylobacter e Salmonella, che possono compromettere la sicurezza alimentare.
Per approfondire, puoi leggere il Regolamento europeo: QUI