Eni in tribunale. La notizia è uscita dalle principali agenzie di stampa il 9 maggio scorso oltre ad apparire sulla pagina di Greenpeace stessa. Greenpeace Italia, insieme a ReCommon e a dodici tra cittadine e cittadini italiani, ha notificato a ENI S.p.A. un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei confronti della società, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (come azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla società) “per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui ENI ha significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendone consapevole”.
Le due organizzazioni e le cittadine e i cittadini – provenienti questi ultimi da aree, sia marine che montane, significativamente colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici – si sono rivolti al Tribunale di Roma per il danno e la violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata.
Chiedono inoltre che ENI sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, in accordo con le indicazioni stringenti della comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi (in sostanza, l’obiettivo dell’Accordo di Parigi). Viene infine richiesto che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista di ENI, sia condannato ad adottare una politica climatica per la sua partecipata che sia in linea con l’Accordo di Parigi.
Perché questa extreme measure da parte dell’organizzazione ambientalista nota in tutto il mondo e molto attiva anche in Italia? La valutazione di Greenpeace è che l’attuale strategia di decarbonizzazione di ENI “sia palesemente in violazione degli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società”. A fronte di extra profitti record realizzati nel 2022, ENI continua – secondo Greenpeace – “a investire nell’espansione del suo business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale”.
Nel mirino degli attivisti c’è anche l’ad Claudio Descalzi, la cui conferma al vertice della società da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, avallata dall’intero governo, “rende quest’ultimo complice di scelte che aggravano la crisi climatica”.
I cittadini che si sono affiancati alle organizzazioni in questa battaglia legale non sono meno netti nei confronti delle responsabilità di ENI. “L’operato di ENI” ha dichiarato Vanni, uno dei dodici che si sono esposti in prima persona “contribuisce ad aggravare notevolmente la crisi climatica, con conseguenze sempre peggiori per me e per il mio territorio, il Polesine. Nei pressi del Delta del Po, il mare avanzerà sempre di più nelle nostre terre, e con la risalita del cuneo salino rischiamo di trovarci a vivere in un vero e proprio deserto o di essere costretti abbandonare la nostra casa e la nostra terra”.
Gli fa eco Rachele, piemontese: “La Regione in cui vivo subisce già oggi gli effetti di una drammatica siccità, come dimostra il bassissimo livello delle precipitazioni registrato quest’inverno. Ecco perché ho deciso di partecipare a questa azione legale in qualità di parte lesa. Non ritengo giusto che il principale fornitore di energia italiano, di cui lo Stato tra l’altro è il maggiore azionista, possa portare avanti anno dopo anno un programma di investimenti che va contro gli obiettivi fissati dall’ultimo rapporto dell’IPCC, massima autorità scientifica globale in fatto di cambiamenti climatici”.
L’iniziativa legale di Greenpeace – che, va sottolineato, è la prima del suo genere contro una società di diritto privato in Italia, ed è supportata da una petizione che si può leggere e firmare sul sito dell’organizzazione – si inserisce nella campagna denominata #LaGiustaCausa: una climate litigation, ovvero un’azione di contenzioso climatico, sulla scia di quello che sta avvenendo ormai dal 2015 in molte parti del mondo (sono oltre duemila, le litigations fino ad oggi).
La più famosa, per così dire, di queste è probabilmente l’azione legale promossa da Friends of the Earth Netherlands (Milieudefensie), insieme a Greenpeace Netherlands, altre organizzazioni e 17.379 singoli co-ricorrenti, che nel maggio 2021 ha vinto una causa presso un tribunale dei Paesi Bassi stabilendo che Shell è responsabile di aver danneggiato il clima del Pianeta e imponendo alla compagnia britannica di ridurre le proprie emissioni di carbonio. La sentenza è poi stata appellata da Shell.
Da canto suo, ENI, come emerge anche nell’articolo del 09 maggio di Repubblica prende atto dell’azione giuridica dichiarando che è estranea a quanto contestatogli e perciò dichiara che farà valere propri diritti in tribunale dimostrando l’infondatezza delle denunce diffamatorie a cautela del suo nome. Riservandosi a sua volta ogni azione legale.