Alcuni scienziati hanno da tempo coniato, per la nostra epoca di cambiamenti climatici, la definizione di “età dell’estinzione”, naturalmente riferendosi ai gravissimi pericoli di sparizione totale che molte specie animali stanno correndo o correranno nel prossimo futuro.
Un nuovo caso che si aggiunge alla già lunga lista delle “morti misteriose” di animali è quello che ha riguardato nel 2020 il Botswana, Paese che sin dai viaggi di esplorazione di Livingstone a metà dell’800 è considerato il “regno” degli elefanti africani.
Terreno privilegiato per decenni della più indiscriminata “caccia grossa” occidentale, che aveva messo in grave crisi numerose specie animali, con l’indipendenza il Botswana ha limitato la caccia – pur non eliminandola, e anzi creando riserve di caccia che periodicamente tornano agli “onori” della cronaca tra moratorie e deroghe – e introdotto aree protette di straordinario valore, davvero uniche per il pianeta. Come il Chobe National Park, che si estende per oltre 10.000 km2 ai confini con Zimbabwe, Zambia e Namibia e che conta al suo interno circa 60.000 elefanti, con branchi da 500 esemplari (oltre a enormi mandrie di bufali e ai più numerosi gruppi di leoni di tutto il continente).
Proprio il Botswana era salito al centro dell’attenzione mondiale nel giugno 2020 per un disastro di impressionanti proporzioni che aveva colpito i suoi elefanti.
Più di 350 esemplari erano morti in circostanze del tutto misteriose nel delta dell’Okavango. Le foto avevano fatto il giro del mondo, suscitando orrore e sconcerto non solo negli animalisti, ma in tutti coloro che hanno una minima coscienza della sorte comune di uomini e animali su questo pianeta.
Gli esemplari, di tutte le età, erano stati avvistati mentre camminavano faticosamente in cerchio, prima di crollare a terra e morire. Uno spettacolo impressionante quant’altri mai: era, a detta degli etologi, la più grande moria di elefanti la cui causa apparisse pressoché sconosciuta.
Che cosa avesse generato questa strage, è stato infatti il primo e più pressante interrogativo. Che avessero bevuto acqua tossica, sembrava evidente.
Ora, a distanza di quattro anni, un nuovo studio suggerisce con l’evidenza dei dati un’ipotesi credibile. Si è trattato di un altro disastro dovuto al clima.
Il lavoro degli studiosi è stato pubblicato sulla rivista “Science of the Total Environment”. Analizzando grazie ai satelliti la distribuzione delle carcasse rispetto ai punti di abbeveraggio, il team di scienziati è giunto alla conclusione che gli elefanti abbiano generalmente percorso poco più di 100 km (62 miglia) dalle pozze d’acqua prima di morire, entro 88 ore dall’abbeverata.
Delle 3.000 pozze d’acqua esaminate, si è scoperto che quelle che nel 2020 presentavano alte concentrazioni di carcasse erano le stesse in cui si è verificata una maggiore fioritura di cianobatteri.
La conclusione è che gli elefanti sono stati avvelenati da acque che contenevano fioriture tossiche di alghe verdi-azzurre, cioé appunto cianobatteri. E’ la crisi climatica, quindi, la responsabile, visto che sta aumentando l’intensità e la gravità delle fioriture di alghe nocive.
La tendenza delle malattie improvvise indotte dal clima, avvertono gli scienziati, è diffusa ormai a livello globale. In quello stesso anno, 35 elefanti sono morti nel vicino Zimbabwe a causa di un batterio sconosciuto penetrato nel sangue e collegato alle prolungate condizioni di siccità. E non solo in Africa. Nel 2015, 200.000 antilopi saiga sono morte in Kazakistan a causa di un’epidemia di avvelenamento del sangue legata al clima, chiamata setticemia emorragica.
In Africa meridionale, il biennio 2019-2020 è stato un uno-due devastante per quanto riguarda le risorse idriche. Il 2019 fu l’anno più secco degli ultimi decenni, seguito da un anno estremamente umido nel 2020.
Queste condizioni hanno portato a una maggiore quantità di sedimenti e nutrienti in sospensione nell’acqua, che hanno portato a una crescita algale senza precedenti.
“Se cambia radicalmente la disponibilità d’acqua da un anno all’altro” spiegano gli scienziati “aumentano le condizioni favorevoli per la proliferazione di batteri e alghe come le cianotossine, dannosissime per molte popolazioni animali”.
“Con le previsioni che la regione dell’Africa meridionale diventerà più secca e più calda nei prossimi anni, potranno molto facilmente ricrearsi di nuovo le condizioni descritte”, aggiungono gli esperti.
“Perciò è importante adottare misure preventive, al più presto, o avremo nuove e più massicce stragi”.