Ecopoesia
Stay together / learn the flowers / go light.
Questi versi del poeta americano Gary Snyder possono essere considerati una sorta di slogan, o di manifesto, di una corrente letteraria che oggi va imponendosi all’attenzione dei lettori e della critica con sempre maggiore rilevanza, e che va sotto il nome di Ecopoesia.
Si è cominciato a parlare di “ecopoesia” a partire dall’ultimo decennio del Novecento. Il termine, Ecopoetry, è di origine anglosassone, e anglofoni sono la maggior parte dei suoi esponenti.
Il tema centrale delle opere dell'”Ecopoetry” è la natura, la sua difesa e la sua salvaguardia.
Si potrebbe pensare a una rivisitazione in chiave moderna dell’antico mito bucolico, così caro alla poesia antica: ma non è così.
L’eco-poeta non è il cantore dell’Arcadia classica. E’ piuttosto colui che intuisce poeticamente l’unità della creazione, l’empatia profonda fra tutti gli organismi viventi in un dato luogo e territorio e tempo, e lo canta con i modi poetici della contemporaneità.
Dunque versi generalmente brevi, ricchi di metafore, intuitivi, simbolici, secondo la lezione di Baudelaire per cui tutto l’universo, e l’universo naturale in primis, è una “foresta di simboli”.
Nello stesso tempo, l’ecopoeta è pienamente consapevole delle proprie responsabilità come essere umano verso la natura e la sua salvaguardia. E’ perciò un poeta “impegnato”. Si identifica emozionalmente e spiritualmente con l’animale torturato, l’albero secolare sradicato, l’intera Terra, che manda messaggi di allarme e di dolore. Messaggi che il poeta, in questo senso anche poeta “civile”, è chiamato ad amplificare e a diffondere.
Abbiamo usato finora la parola “poeta” al maschile, ma molti esponenti del movimento ecopoetico sono donne.
Per esempio la poetessa inglese Helen Moore, che scrive significativamente:
«May Gaia our Great Mother, speak through me… may I be a channel, a conduit for Nature’s words!»
«Possa, Gaia nostra Grande Madre, parlare attraverso di me possa io essere un canale, un tramite per le parole della Natura!»
Il poeta diviene così anche filosofo, perché con la sua visione contribuisce al passaggio da una prospettiva antropocentrica ad una biocentrica.
Proprio questo doppio canale di intuizione poetico-lirica e ragionamento civile e politico rende la “Ecopoetry” una forma di discorso poetico potentemente aderente alla realtà dei nostri tempi.
Gli ecopoeti parlano a questo proposito di “reparative thinking“, cioè di un modo interconnesso di pensare e di sentire capace di coinvolgere contemporaneamente razionalità e sentimenti, affinché l’opera d’arte sia di multi-livello, e, in definitiva, riconquisti il suo ruolo classico di collettore e veicolo di emozioni collettive.
L’obiettivo è quello di “una poesia che aspira a realizzarsi come un genere vivo e capace di creare emozioni significative… utili a ricordarci che la storia si vive solamente in prima persona e ad insegnarci che questa prima persona è implicata nella realtà ed ha responsabilità etiche”.
L'”Ecopoetry” è diffusa soprattutto nel mondo anglosassone, da sempre particolarmente sensibile alle problematiche ambientali. Stati Uniti, India, Australia, Canada sono i Paesi che danno vita alla “rete” degli ecopoeti. E’ in Canada, alla “Brandon University”, che è nata la prima cattedra di “Post-postmodern Ecopoetry and Poetry”.
Uno dei precursori, se non proprio il “padre” dell’Ecopoetry, può essere considerato a buon diritto il grande poeta statunitense Gary Snyder. Protagonista della beat generation – anche se defilato rispetto ai nomi più famosi come Ginsberg e Kerouac – già personaggio chiave del celebre romanzo di Kerouac The Dharma Bums (I vagabondi del dharma) in cui compare con lo pseudonimo di Japhy Ryder, Snyder alla bella età di 93 anni è ancora un punto di riferimento per tutto il movimento ambientalista americano e particolarmente per la sua versione letteraria.
Il suo libro di poesie “Turtle Island”, vincitore del Premio Pulitzer nel 1975, è da considerarsi, oltre che una splendida raccolta poetica in assoluto, una sorta di “Bibbia” della poesia di ispirazione ambientalista.
Fra gli altri esponenti della Ecopoetry sono da ricordare anche la poetessa statunitense Mary Oliver, la cui poesia della Natura è tra le più ispirate. Inoltre, il poeta e scienziato britannico di origini italiane Mario Petrucci; John Burnside e Alice Oswald.
Nel panorama italiano, si può considerare la poetessa Chandra Livia Candiani come la più vicina alle tematiche e atmosfere di una “ecopoesia”.
Esistono anche riviste letterarie, la più nota e diffusa delle quali è “Ecopoetics” curata da Jonathan Skinner.
Fra i testi critici sull’argomento, è da segnalare “Ecopoetry – A critical Introduction” di Scott Bryson, docente di letteratura inglese presso il “Mount St. Mary’s College” di Los Angeles. Attualmente sta preparando una nuova antologia di ecopoesie e biografie sugli ecopoeti.
GARY SNYDER
Per I bambini
Le alte montagne, le creste
delle statistiche
sono sotto i nostri occhi.
La salita ripida
di ogni cosa, va su,
su, mentre tutti noi andiamo giù.
Nel prossimo secolo,
o in quello successivo,
dicono,
ci saranno valli, pascoli
in cui ci incontreremo in pace,
se ce la facciamo.
Per scalare queste cime,
un consiglio per te,
per te
e per i tuoi figli:
state assieme,
imparate dai fiori,
siate lievi
For the Children
The rising hills, the slopes,
of statistics
lie before us.
the steep climb
of everything, going up,
up, as we all
go down.
In the next century
or the one beyond that,
they say,
are valleys, pastures,
we can meet there in peace
if we make it.
To climb these coming crests
one word to you, to
you and your children:
stay together
learn the flowers
go light
MARY OLIVER
Giorno d’estate
Chi ha fatto il mondo?
Chi ha fatto il cigno e l’orso bruno?
Chi ha fatto la cavalletta?
Questa cavalletta, intendo, quella che è saltata fuori
dall’erba,
che sta mangiandomi lo zucchero in mano,
che muove le mandibole avanti e indietro invece che in su e in giù
e si guarda attorno con i suoi occhi enormi e complicati.
Ora solleva le zampine chiare e si pulisce il muso, con cura.
Ora apre le ali di scatto e vola via.
Non so esattamente che cosa sia una preghiera;
so prestare attenzione, so cadere nell’erba,
inginocchiarmi nell’erba,
so starmene beatamente in ozio, so andare a zonzo nei prati,
è quel che oggi ho fatto tutto il giorno.
Dimmi, che altro avrei dovuto fare?
Non è vero che tutto muore prima o poi, fin troppo presto?
Dimmi, che cosa pensi di fare
della tua unica vita, selvaggia e preziosa?
THE SUMMER DAY
Who made the world?
Who made the swan, and the black bear?
Who made the grasshopper?
This grasshopper, I mean– the one who has flung herself out of the grass,
the one who is eating sugar out of my hand,
who is moving her jaws back and forth instead of up and down–
who is gazing around with her enormous and complicated eyes.
Now she lifts her pale forearms and thoroughly washes her face.
Now she snaps her wings open, and floats away.
I don’t know exactly what a prayer is.
I do know how to pay attention, how to fall down
into the grass, how to kneel down in the grass,
how to be idle and blessed, how to stroll through the fields,
which is what I have been doing all day.
Tell me, what else should I have done?
Doesn’t everything die at last, and too soon?
Tell me, what is it you plan to do
with your one wild and precious life?