Ecoansia. Cos’è e come si può affrontare

Eco-ansia - Esiste davvero un disturbo generato dal pensiero angosciante di un futuro climaticamente catastrofico? Ne parliamo con un esperto. Luciano Casolari

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Puoi ascoltare l’intervista con Luciano Casolari direttamente sul nostro podcast o su Kloros

Ecoansia. Da termine pressoché sconosciuto, in pochi mesi – addirittura in pochi giorni – la definizione è diventata pressoché di dominio pubblico. Merito (si fa per dire) della ribalta mediatica ottenuta dal video-dialogo tra la giovane attivista ambientale e il ministro Pichetto Fratin.

Con il dottor Luciano Casolari, psichiatra e psicoterapeuta, cerchiamo di chiarire e di approfondire questo fenomeno, le sue cause e le conseguenze sulla salute psichica, soprattutto delle ultime generazioni.

Dottor Casolari, il termine eco-ansia è stato accolto dall’american Psychological Association nel 2021. Viene definito come “una manifestazione di forme di ansia, stress e depressione presenti in particolare tra i giovani nella fascia di età tra i quindici e i venticinque anni, i quali sono fortemente preoccupati per il loro futuro a causa degli effetti della crisi climatica”.

E’ una definizione corretta?

Senz’altro sì. Si tratta di un fenomeno nuovo e in evoluzione, tant’è che adesso su quest’onda si sta diffondendo un altro termine: eco depression. Ovvero un tipo di depressione che insorgerebbe a seguito dello stato ansioso prolungato che si determina nel negli adolescenti in relazione all’emergenza climatica e ambientale.

Si parla sempre di adolescenti, quindi.

Bisogna fare una premessa. L’adolescenza è una fase della vita caratterizzata fisiologicamente da una perdita di punti di riferimento. Si perde il proprio ruolo infantile, per acquisire, non subito ovviamente, quello adulto.

Si perde il proprio corpo infantile per diventare adulti. E soprattutto si perde il ruolo di riferimento dei genitori. Quindi l’adolescente è per sua natura qualcuno che cerca dei punti di appoggio.

Per questo il soggetto è sempre suscettibile riguardo a tutte, diciamo così, le “mode” o le situazioni anche estremizzate che la società propone. In questo momento, la nostra società è pervasa dall’allarme ambientale e climatico; soprattutto qua in Occidente, dove questo forte timore del futuro è pervasivo.

L’idea del futuro porta con sé inevitabilmente timori, in quanto incerto. Però oggi questo timore sembra sfociare in una vera e propria paura, incontrollata o quasi.

E’ chiaro che c’è un’idea del futuro molto precaria. Le generazioni precedenti, ad esempio la mia, avevano tutta un’altra visione del futuro. Ed era prevalentemente positiva: noi pensavamo che il futuro sarebbe stato roseo.
Adesso invece c’è l’idea che il futuro sarà quantomeno molto problematico. Da ciò nascono tutte queste manifestazioni di ansia: che non sono facili da affrontare.

Perché?

Perché non sono solamente dei sintomi, ma una modo, come dire, “ideologico” di vivere la realtà. Quando si radicano all’interno di un ragazzo o di una ragazza, diventano qualche cosa di veramente difficile da sradicare, anche per chi li vuole aiutare.

L’ansia però si può curare.

Lo stato ansioso sicuramente si può curare con qualche farmaco e con qualche tipo di terapia: però ci sono poi le conseguenze più generali.
Ad esempio, se un adolescente dice e pensa che non c’è un futuro, non è portato a costruire delle relazioni amicali, sentimentali, sessuali. E allora tanto vale rimanere nello stato di limbo in cui vive al momento, restare un eterno adolescente.


Noi stiamo vivendo una fase in cui l’adolescenza non è più relegata a quell’età che sarebbe fisiologica, dai quattordici-quindici anni ai diciotto venti. Sta diventando un’adolescenza che non finisce mai, prolungata fino ai trenta, quarant’anni.

Da parte soprattutto delle giovani donne, delle ragazze, questi pensieri spesso si associano alla dichiarazione di non volere figli. Lo ha detto anche la giovane interlocutrice con il ministro.
Mi chiedo se questa paura “paralizzante” non sia da attribuirsi a qualcosa di più profondo della semplice
eco ansia. Cioè se la paura del futuro ambientale non sia l’epifenomeno di una paura più generale.

Diciamo che, nel momento in cui l’essere umano è riuscito a tenere sotto controllo la gravidanza grazie ad efficaci metodi anticoncezionali, il tema di decidere di mettere al mondo qualcuno è diventato centrale per ognuno di noi.


Paradossalmente, quando i figli si facevano a vent’anni c’era molta più, come dire, spontaneità; molti ragazzi e ragazze facevano un figlio perché “così fan tutti”. Quando i figli si sono cominciati a fare a trenta-trentacinque o anche quarant’anni, come avviene adesso, è chiaro che ci si pone degli interrogativi.
Io ho diverse pazienti che hanno trentatré, trentaquattro anni. Quando chiedo loro: “Che decisioni hai preso sulla maternità? Che valutazioni hai riguardo all’eventualità di un figlio?” Loro rispondono quasi sempre: “Ah, ma oggi bisogna pensarci bene”.


Certo, il problema ambientale si pone, nella valutazione. “Che senso ha mettere al mondo un bambino quando avrà di fronte un mondo a dir poco difficile?”
Perché un’altra cosa da sottolineare è che le ipotesi sul futuro dell’ambiente sono oggettivamente catastrofiche. Solo nell’ultimo mese mentre ero in vacanza ho letto due ipotesi che si possono definire catastrofiche: la possibilità che, da un certo momento non molto lontano in poi, la corrente del Golfo si esaurirà.
E dunque cesserà la sua funzione di riscaldare una gran parte dell’Europa del nord. Per una parte del continente si prospetta un raffreddamento eccezionale. Per l’altra parte, il centro-sud, un altrettanto eccezionale riscaldamento.

Questi fenomeni di eco ansia, però, possono avere anche degli aspetti positivi? C’è un modo di volgere, magari con l’aiuto di un terapeuta, la paura in forza, in una forma di resilienza, in una volontà di azione?

L’ansia di per sé è una cosa positiva. E’ come il dolore: il dolore serve, perché mi fornisce un’informazione essenziale. Se io non avessi il senso del dolore farei come Pinocchio che si addormenta davanti al fuoco e si brucia le gambe, perché non possiede il senso del dolore, essendo un burattino.


Analogamente l’ansia mi dice che c’è qualcosa che non va e che devo fare qualcosa per modificare la mia vita. Quindi, se non supera un certo livello, può certamente attivare i ragazzi a modificare il loro stile di vita, a mettersi insieme con i coetanei per cercare di cambiare le cose.
L’ansia diventa negativa quando si trasforma in un meccanismo ripetitivo. E soprattutto quando ti fa pensare: “Tanto io sono uno su otto miliardi, non ci posso fare nulla”.

Se prevale questa convinzione – “io sono uno su otto miliardi, gli altri sette miliardi e novecentonovantanove non fanno nulla. Le cose non si possono cambiare. E io non posso nulla, non valgo niente”, allora nel giovane sale la prostrazione.
E’ quello il momento in cui può essere utile, e forse necessario, l’intervento di qualcuno che aiuti il ragazzo o la ragazza. Possono essere i familiari, gli amici, il tessuto sociale.

Ecco, dottore, a questo proposito. Quando è necessario che i genitori di un adolescente che manifesta questa eco ansia, questo disagio, considerino l’opportunità di un percorso terapeutico?

Ne parlavo proprio alcuni giorni fa con il papà di un ragazzo di ventidue anni che fa parte dei cosiddetti NEET: un acronimo per dire che non lavorano e non studiano. Quel ragazzo era stato molto bravo durante il liceo classico; poi quando si è trovato a studiare legge come il padre, ha scoperto di non trovare soddisfazione.

Allo stesso tempo, però, non fa nient’altro: non prova a cambiare facoltà, non va a lavorare, non progetta di andare all’estero a imparare una lingua, niente. Rimane in casa, esce pochissimo con gli amici, sta molto tempo sul cellulare. Il padre mi chiedeva: “Ma cosa posso fare io?”

Cosa possono fare i genitori?

Io direi che il primo segno importante da considerare è quando si verifica questo ritiro sociale. Quando un ragazzo o una ragazza cominciano a non avere più relazioni, a non frequentare gli amici, a restare chiusi in casa, allora è il momento di fare qualcosa.

Altri segnali importanti sono quelli psicosomatici, cioè quando si manifestano dei disagi sul corpo. Per le ragazza tipicamente è il dimagrimento eccessivo, al limite dell’anoressia. Oppure dei sintomi come i mal di testa continui, il non riuscire a dormire durante la notte, il lamentarsi per malesseri fisici. Nei maschi sono frequenti le manifestazioni psicosomatiche a livello dello stomaco. Sono queste le manifestazioni più evidenti, che devono indurre i genitori a prendere in seria considerazione la questione e a rivolgersi a qualcuno.

Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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