Il celebre testo conosciuto come “Discorso del Capo Seattle” trae origine dalla presunta orazione che il Capo indiano Seattle tenne nel 1854 a un pubblico che includeva il primo governatore del territorio di Washington, Isaac Stevens. In realtà il discorso originale è andato perduto, ma esistono e sono circolate nel tempo molte versioni, sulla cui affidabilità il dibattito è tutt’ora aperto.
Si è creata così una vera e propria tradizione del testo, probabilmente spuria ma non per questo meno significativa. Il “Discorso del Capo Seattle” è diventato, a partire dagli ultimi decenni dell’800, un manifesto pre-ambientalista, di mano certamente occidentale ma ispirato dalla cultura e dalla sensibilità dei nativi americani.
La più antica testimonianza esistente di questo documento è una trascrizione pubblicata sul “Seattle Sunday Star” nel 1887, in un articolo di Henry A. Smith, poeta, medico e primo colono bianco dell’area di Seattle.
Smith pubblica la trascrizione di un discorso tenuto dal Capo Seattle trent’anni prima, a cui sosteneva di aver assistito e di cui aveva preso appunti. L’occasione del discorso era stata la visita del nuovo Governatore, Isaac Stevens, a un consiglio di capi tribù locali: circostanza confermata dalla documentazione storica. Il Capo Seattle era l’autorità indiana più influente della zona, quindi è probabile che fosse presente.
Tuttavia la data, il luogo e le parole effettive del discorso del Capo Seattle sono controverse e oggetto di contestazione. Smith afferma che lo scopo dell’incontro del governatore Stevens era discutere la resa o la vendita della terra degli indiani ai coloni bianchi, ma non c’è traccia a sostegno di questa ipotesi. Inoltre, secondo i testimoni contemporanei, Smith non era presente alla riunione del 1854.
Un portavoce della Suquamish Nation ha però affermato che, secondo le loro tradizioni, Smith consultò gli anziani della tribù numerose volte prima di pubblicare la sua trascrizione del discorso nel 1887. Gli anziani videro gli appunti che Smith aveva preso mentre ascoltava il discorso e lo approvarono. Gli appunti di Smith però non esistono più.
Versioni successive del discorso sono state pubblicate nel 1891, nel 1929, nel 1931.
Alla fine degli anni ’60, poi, il discorso conobbe una nuova, grande fortuna, grazie all’affermarsi della “controcultura” e agli articoli di William Arrowsmith, professore all’Università del Texas, che si era imbattuto nel discorso leggendo una raccolta di saggi.
Arrowsmith ha tentato di “ripulire” la versione di Smith dalle influenze linguistiche vittoriane, cercando di ricostruire la lingua originale del Capo Seattle.
Ma l’enorme fama del discorso del Capo Seattle è probabilmente dovuta a un poster stampato nel 1972, che mostra un’immagine del capo indiano sovrapposta alle parole della sua “lettera” al “presidente a Washington”. Le parole sono tratte dalla versione del discorso di Arrowsmith, ma decisivo fu l’accostamento con l’immagine del bufalo e la frase “La terra non appartiene all’uomo; l’uomo appartiene alla terra”.
Il poster fu realizzato per promuovere un film intitolato Home, una pellicola ambientalista prodotta per la Southern Baptist Radio and Television Commission. Lo sceneggiatore del film spiegò di avere sentito per la prima volta una versione del testo letta da William Arrowsmith alla prima celebrazione della Giornata dell’Ambiente nel 1970.
Un testo “gemello” del discorso del Capo Seattle cominciò a circolare negli anni ’70 come “lettera del 1855 inviata dal Capo Seattle al presidente Franklin Pierce”. Si tratta di una forma leggermente modificata della versione Perry/Stevens. Fu pubblicata nel numero dell’11 novembre 1972 della rivista Environmental Action.
Non c’è però traccia di una lettera del Capo Seattle né nelle carte private del presidente Pierce nella New Hampshire Historical Society, né nelle carte presidenziali di Pierce nella Library of Congress.
Discorso del Capo Seattle
(nella versione di William Arrowsmith)
FRATELLI: questo cielo sopra di noi ha avuto pietà dei nostri padri per molte centinaia di anni. A noi sembra immutabile, ma potrebbe cambiare. Oggi è bello. Domani potrebbe essere coperto di nuvole.
Le mie parole sono come le stelle. Non tramontano. Su quello che dice Seattle, il grande capo Washington può contare con la stessa sicurezza con cui i nostri fratelli bianchi possono contare sul ritorno delle stagioni.
Il figlio del Capo Bianco dice che suo padre ci manda parole di amicizia e buona volontà. Questo è gentile da parte sua, dal momento che sappiamo che non ha molto bisogno della nostra amicizia in cambio. La sua gente è numerosa, come l’erba che ricopre le pianure. La mia gente è poca, come gli alberi sparsi dalle tempeste sui prati.
Il grande – e buono, credo – Capo Bianco ci manda a dire che vuole comprare la nostra terra. Ma ce ne riserverà abbastanza in modo che possiamo vivere comodamente. Questo sembra generoso, poiché l’uomo rosso non ha più diritti e ha bisogno di rispetto. Potrebbe anche essere una cosa saggia, dal momento che non abbiamo più bisogno di un grande paese.
Una volta la mia gente ricopriva questa terra come una marea che si muoveva al vento attraverso le pianure disseminate di conchiglie. Ma quel tempo è passato, e con esso la grandezza delle tribù, ormai quasi dimenticate.
[…]
Ogni parte di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni pendio, ogni valle, ogni radura e bosco è santo nella memoria e nell’esperienza del mio popolo. Anche quelle pietre silenziose lungo la riva risuonano di eventi e ricordi nella vita della mia gente. La terra sotto i vostri piedi risponde più amorevolmente ai nostri passi che ai vostri, perché è la cenere dei nostri nonni. I nostri piedi nudi riconoscono il contatto con i loro parenti.
La terra è ricca delle vite dei nostri famigliari.
I giovani, le madri e le ragazze, i bambini che un tempo qui vivevano ed erano felici, amano ancora questi luoghi solitari. E la sera le foreste sono oscure per la presenza dei morti. Quando l’ultimo uomo rosso sarà scomparso da questa terra, e il suo ricordo sarà solo una storia tra i bianchi, queste sponde brulicheranno ancora dei morti invisibili del mio popolo.
E quando i figli dei tuoi figli penseranno di essere soli nei campi, nelle foreste, nei negozi, nelle strade o nella quiete dei boschi, non saranno soli. Non c’è un luogo in questo paese dove un uomo possa essere solo. Di notte, quando le strade dei tuoi paesi e delle tue città sono tranquille e tu pensi che siano vuote, si affolleranno degli spiriti che tornano e che un tempo le affollavano, e che amano ancora questi luoghi. L’uomo bianco non sarà mai solo.
Quindi sii giusto e tratta gentilmente con la mia gente. I morti hanno ancora potere.