Chi più spende meno spende ed aiuta l’ambiente : Il cost per wear lo dimostra.

Le scelte nell'acquisto di un prodotto di abbigliamento hanno un impatto ambientale non indifferente. Ti spieghiamo perché.

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Quando arriva il momento di rifarsi il guardaroba, la domanda sorge spontanea: compro un capo di scarsa qualità spendendo poco, oppure “investo” in un capo di maggiore qualità ma sicuramente più costoso ?

Ti rispondiamo subito così, se vorrai, potrai anche fermarti qui e non leggere l’articolo fino in fondo.

Il capo più costoso è più rispettoso dell’ambiente ed è anche un grande risparmio nel tempo. Ed è dimostrabile matematicamente attraverso il calcolo del cost per wear.

Cos’è il cost per wear e perchè e importante quando scegliamo un capo di abbigliamento

Per cost per wear (CPW) si intende il costo di un capo di abbigliamento in relazione al numero di volte in cui lo indosserai. Più indosserai un capo di abbigliamento, più il suo cost per wear sarà basso. Facciamo un esempio pratico. Se acquisti una camicia a 20 euro è probabile che sarà usata poco, essendo un capo di basso costo ci si sentirà “autorizzati” ad usarlo un paio di volte e poi finirà in un cassetto probabilmente sostituito da un’altro capo da 20 euro e così via.

Un capo di maggiore qualità, per esempio da 100 euro, sarà utilizzabile in più situazioni e probabilmente lo userai più volte. Se un capo che costa 20 euro verrà utilizzato 5 volte avrà un CPW di 4 euro, se un capo da 100 euro verrà utilizzato 50 volte avrà un CPW di 2 euro.

L’impatto ambientale del settore moda in relazione al CPW

Analizzando la questione da un punto di vista ambientale è necessario premettere che l’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni di carbonio a livello mondiale, seconda solo all’industria petrolifera. L’aspetto più inquietante è che questa percentuale sta crescendo.

Ogni anno, le persone acquistano 60 milioni di tonnellate di nuovi vestiti, il che equivale a un aumento del 400% rispetto agli anni ’50. Non sorprende che gli esperti stimino che nel 2050 l’industria tessile sarà responsabile del 20% delle emissioni globali di CO2.

Inoltre i capi d’abbigliamento sono generalmente composti da materiali sintetici come il polyestere, il nylon e l’acrilico, tutti derivati dal petrolio. Questi materiali non sono biodegradabili e finiscono spesso per intasare le discariche. Dal punto di vista della sicurezza del lavoro, poi, per la produzione di questi tessuti vengono utilizzate, a volte, sostanze chimiche dannose per l’ambiente e per la salute umana.

Comprendiamo perciò che con l’acquisto di beni che si potrebbero definire “usa e getta” andiamo ad incrementare in modo importante la produzione di CO2, senza considerare l’utilizzo di acqua che è rilevante. 

Il consumo d’acqua dalla coltivazione alla produzione

L’acqua è un elemento indispensabile nella lavorazione del cotone, dalla coltivazione alla produzione. Il consumo di acqua per la produzione di una camicetta di cotone è pari a circa 2700 litri. L’impatto ambientale della produzione di questo capo d’abbigliamento è legato anche al suo utilizzo di energia e all’inquinamento atmosferico provocato dalle sue emissioni di CO2.

Per comprendere meglio di quanta acqua stiamo parlando, pensiamo che in Europa una persona consuma mediamente 120-180 litri d’acqua al giorno per soddisfare i propri bisogni personali (igiene, cucina, lavanderia). La maggior parte di questa acqua proviene dalla rete idrica pubblica; il resto da fonti private, come pozzi o falde acquifere.

Considerando questo dato, è facile comprendere che quella camicetta di cui abbiamo parlato avrà un impatto pari a circa un mese di consumo di acqua di un europeo. Oltre alle emissioni di CO2.

In conclusione

Scegliere un capo di qualità è più sostenibile ed è più “risparmioso” nel tempo. Potremmo perciò riscrivere il famoso motto dicendo che: “chi più spende meno spende ed aiuta l’ambiente”.

Da G.T.M.
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