L’impressione è che ci sia un’unico orientamento per risolvere i problemi di CO2 nella transizione ecologica, l’elettrico. La soluzione per il futuro, in realtà, potrebbero essere un mix di tecnologie tra le quali anche quelle a combustibile. Pensiamo per esempio al biometano e al biogas. Ma cos’è e come si produce?
Il biometano è una fonte di energia rinnovabile che ha recentemente guadagnato terreno nel settore energetico. Si tratta di una forma di gas naturale derivato da sostanze organiche, come rifiuti agricoli, letame animale e acque reflue. La produzione di biometano può essere utilizzata per generare elettricità e calore ed è considerata un’alternativa più sostenibile rispetto ai combustibili fossili tradizionali.
E’ un combustibile che può essere prodotto utilizzando diverse tecnologie di biomassa-energia, tra cui la digestione anaerobica, la codigestione, la pirolisi e la gassificazione. Può essere utilizzato come combustibile per generare elettricità e calore, ed è sempre più spesso utilizzato per sostituire il gas naturale nel settore energetico. Alcuni produttori possono anche vendere il biogas per l’utilizzo da parte dei veicoli.
Il processo di produzione del biometano
Il biometano viene prodotto quando la materia organica viene scomposta in un ambiente privo di ossigeno. Questo processo è noto come digestione anaerobica e procede attraverso tre fasi: idrolisi, acidogenesi e acetogenesi. La prima fase, l’idrolisi, consiste nella degradazione di substrati organici complessi composti da macromolecole (carboidrati, proteine, grassi). Esse sono divise nei loro monomeri solubili (zuccheri, aminoacidi, acidi grassi a catena lunga). Nei processi di digestione anaerobica industriale, vengono effettuati pre-trattamenti fisici, chimici o biologici per favorire la digestione.
Gli intermedi solubili generati nella fase di idrolisi sono usati come fonte di carbonio ed energia dai batteri acidogenici che generano acidi grassi volatili a catena corta come prodotti di fermentazione. Diversi consorzi batterici si sviluppano con la produzione di miscele di acidi organici e alcoli a seconda del pH e delle condizioni di temperatura.
I batteri acetogenici, poi, trasformano gli acidi grassi volatili e gli alcoli prodotti nella fase precedente in acido acetico (CH3COOH), idrogeno (H2) e anidride carbonica (CO2).
La quarta e ultima fase è quella della metanogenesi, in cui il metano è prodotto insieme all’anidride carbonica e ad altri componenti. Questi ultimi sono presenti in piccole percentuali: monossido di carbonio, azoto, idrogeno, solfuro di idrogeno.
Come il biometano potrebbe contribuire alla transizione energetica
Il biometano ha un notevole potenziale per cambiare l’industria energetica grazie ai suoi numerosi vantaggi.
In primo luogo, è una fonte di energia rinnovabile, il che significa che può essere prodotta in modo continuo e non si esaurisce come i combustibili fossili.
In secondo luogo, il biometano non ha una grande impronta di carbonio e non contribuisce al cambiamento climatico.
In terzo luogo, può essere utilizzato per generare elettricità e calore e può essere immesso nella rete del gas naturale.
Le sfide della produzione di biometano
La produzione di biometano presenta ancora diverse sfide. I costi di installazione degli impianti per la produzione di biometano sono elevati e richiedono un notevole capitale finanziario e umano.
In oltre è anche più difficile da trasportare rispetto al gas naturale, perché richiede una pressione maggiore.
Infine, la produzione , secondo alcuni, comporterebbe una serie di problemi ambientali nei territori in cui sono insediati gli impianti di produzione, quali esalazioni di cattivo odore, emissioni inquinanti, circolazione di camion per il rifornimento degli impianti, sviluppo di batteri patogeni.
Si può tuttavia affermare che, negli ultimi anni, queste criticità siano state superate dalle più moderne e consolidate tecnologie, che permettono di costruire impianti che funzionano bene e che prevengono i problemi sopra elencati. Bisogna fare attenzione a realizzare gli impianti (come le Forsu) nel modo e nel posto giusto, gestendo correttamente tutta la filiera.
L’Italia con i suoi 2mila impianti (l’80% dei quali è in ambito agricolo) è il secondo produttore di biogas in Europa e il quarto al mondo. Ricordiamo che il è un biogas che ha subito un processo di raffinazione. Ci sono però ampi spazi di crescita.
Secondo il Consorzio Italiano Biogas, solo il 15% dei reflui zootecnici viene oggi trattato in biodigestori che producono biometano e nei prossimi dieci anni questa percentuale potrebbe salire al 65%, passando dalla produzione annua di 1,5 miliardi di m3 di biometano a 6,5.
Ma l’attenzione è anche sulla ‘materia prima urbana’ per alimentare la filiera, visti i cronici problemi di smaltimento dei nostri rifiuti. La raccolta differenziata dei rifiuti urbani è al 64% e la frazione organica rappresenta circa il 40% del totale dei rifiuti urbani differenziati. Secondo l’ultimo rapporto del Consorzio Italiano Compostatori, in Italia sono presenti 359 impianti (294 di compostaggio e 65 che includono una sezione di digestione anaerobica), la cui capacità autorizzata disponibile per il trattamento di umido e verde ammontava, nel 2020, a circa 9.300.000 tonnellate/anno.