E’ stata la Cop 28 dei petrolieri? I dubbi e le ambiguità dell’assise di Dubai

I leader dei Paesi produttori, Emirati Arabi e Arabia Saudita in testa, non vogliono sentir parlare di uscita dal fossile, e puntano tutto sulla CCS: la cattura del carbonio. Ma cos’è e si può davvero fare?

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Cop 28 dei petrolieri? – Mentre nel giorno della chiusura ufficiale dei lavori, il 12 dicembre, alla Cop28 sembrano arrivare tutti i nodi al pettine, con la controversa bozza della dichiarazione finale fatta filtrare dalla sera dell’11 (nella quale mancherebbe clamorosamente anche il minimo accenno all'”uscita dal fossile”), proviamo a riassumere brevemente i termini della questione, e soprattutto della posizione che gli Stati arabi “petrolieri” stanno cercando di imporre al vertice in via di conclusione.

Eliminare dall’accordo finale ogni chiaro riferimento all’uscita definitiva dai fossili. Se questa, come sembra, è la missione di Al Jaber e degli organizzatori sin dall’inizio della Cop28, si tratterebbe di un clamoroso passo indietro, rispetto agli accordi di Parigi e a tutte le Cop precedenti. Tanto da far pensare che tutto fosse “preordinato” a questo scopo.
Preordinato, ma da chi? Dai soli Paesi e delegazioni al momento incriminate del passo indietro?
Vediamo dunque di ripassare lo stato attuale della commercializzazione delle fonti energetiche fossili nel mondo.

A guidare la classifica delle esportazioni di petrolio, oggi, è l’Arabia Saudita, con un valore totale di 138 miliardi di dollari l’anno (dato del 2021), quota che rappresenta il 14,5% del totale.

Seguono la Russia (113 miliardi e 11%), il Canada (81,2 miliardi di dollari e 8,5% del totale). Poi c’è l’Iraq (72 miliardi e 7,6% del mercato), e subito dietro gli Stati Uniti (67,6 miliardi di dollari e il 7,1%).
Al sesto posto, ecco gli Emirati Arabi Uniti: 58,5 miliardi e 6,2% del mercato.
Chi ha fatto la somma totale, non ha dubbi: il petrolio, lo certifica l’Observatory of Economic Complexity, nel 2021 è stato il primo prodotto più venduto al mondo, con scambi pari a 951 miliardi di dollari.

Se passiamo alla classifica delle emissioni totali di gas serra, troviamo più o meno le stesse nazioni sul podio – si fa per dire. Gli Stati Uniti e la Cina guidano ampiamente la classifica, con quest’ultima prima assoluta per emissioni totali di gas serra. Ma subito sotto, troviamo (dopo l’India) la Russia, i Paesi arabi e anche il Canada. Fra i big delle emissioni, un posto notevole lo occupa anche il Brasile, che dopo l’Aizerbajan (altro produttore di combustibili fossili), ospiterà la Cop30 del 2025…

La “proposta” di Al Jaber

Nel testo che in queste ore viene diffuso dalla presidenza della Cop28, compare però magicamente la soluzione a tutti i problemi.
Ovvero l’esortazione ad accelerare lo sviluppo di «tecnologie di abbattimento e rimozione, comprese la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio».

Se è possibile catturare e mettere sotto terra la CO2 prodotta bruciando petrolio, perché continuare a preoccuparci di non doverlo più usare? Nel padiglione del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, i visitatori hanno potuto ammirare un modellino della carbon capture che era davvero un gioiello. Però era un modello.
E nella realtà?

Che cos’è la carbon capture?

La cattura del carbonio è una tecnologia utilizzata per rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera o dai gas emessi all’interno di processi industriali.
L’obiettivo di queste tecnologie è fermare o almeno mitigare il cambiamento climatico ed abbattere le emissioni di gas serra rilasciate in atmosfera.
La cattura del carbonio può avvenire tramite diverse strategie.

Le tipologie di cattura della CO2

  • Pre-combustion capture (Cattura prima della combustione)

Tramite la tecnologia di pre-combustione è possibile ottenere il sequestro di anidride carbonica prima che il combustibile fossile possa essere bruciato.

  • Post-combustion capture (Cattura dopo la combustione)

Con questa tecnica il carbon capture avviene dopo la combustione dei gas fossili, con un processo in cinque fasi.

  • Oxy-fuel combustion (Combustione con ossigeno)

La tecnologia di combustione con ossigeno è un processo che prevede la combustione di combustibili fossili in un ambiente ricco di ossigeno.

  • Chemical looping combustion (Combustione con loop chimico)

La quarta e ultima tecnologia di carbon capture è il “chemical looping combustion“.
Questo tecnologia di combustione del gas elimina il bisogno di una costosa separazione dell’anidride carbonica e semplifica il processo complessivo.

Le tipologie di utilizzo e stoccaggio dell’anidride carbonica

I processi di carbon capture possono essere utilizzati come strategia di carbon offset (compensazione delle emissioni), dando vita così ai crediti di carbonio.

  • CCS Carbon Capture and Storage

Il Carbon Capture and Storage è un insieme di tecnologie che si articola in 3 fasi: cattura, trasporto e stoccaggio.

  • CCU Carbon Capture Utilisation

Il CCU, detto anche cattura e utilizzo della CO2, è un processo che prevede la cattura dell’anidride carbonica dall’atmosfera o da fonti industriali e il suo utilizzo per nuovi prodotti.

  • CCUS Carbon Capture Utilisation and Storage

Il CCUS, o Carbon Capture Utilization and Storage, è un approccio completo per affrontare la gestione del carbonio.
Rispetto al classico CCS in questa strategia, una volta che la CO2 è stata catturata, può essere stoccata o utilizzata.
Il CCUS estende l’approccio includendo oltre allo stoccaggio nel sottosuolo anche la possibilità di utilizzo all’interno di processi industriali.

  • BECCS Bioenergy with Carbon Capture and Storage

Il BECCS, bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio, combina la bioenergia, la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Il tutto per ottenere un bilancio negativo delle emissioni di CO2 e catturare più CO2 rispetto a quanta ne venga emessa.

Le criticità del carbon capture and storage CCS

Le tecnologie di CCUS hanno la potenzialità di catturare oltre il 90% delle emissioni di CO2 all’interno di impianti.
Ma le criticità sono diverse e importanti:

  • la prima criticità è rappresentata dai costi elevati di installazione e gestione di queste tecnologie;
  • la seconda criticità riguarda il forte consumo di energia che porta a costi elevati e ad un potenziale aumento delle emissioni di CO2;
  • la terza criticità riguarda le potenziali perdite proveniente dal processo di cattura o dallo stoccaggio all’interno di serbatoi naturali;
  • un’ulteriore criticità riguarda la disponibilità di siti di stoccaggio che in alcune zone potrebbe essere limitata e potrebbe comportare problemi a livello geologico;
  • infine, cosa più importante e decisiva, il CCS ha bisogno di tempi lunghi per essere sviluppato su larga scala e potrebbe non essere sufficiente per l’emergenza climatica che stiamo vivendo.
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Da G.T.M.
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