La CO2 sale ancora – Il dibattito sulla crisi ambientale e i modi per cercare di arrestarla o perlomeno di attenuarne i drammatici effetti sull’ecosistema e sull’uomo sembra prendere una piega sempre più ideologico-politica (nel senso peggiore del termine) presso l’opinione pubblica e i media, i dati della scienza ci mettono sempre più impietosamente davanti agli occhi la realtà dei fatti. Ed è una realtà che ormai definire preoccupante sarebbe niente più che un inaccettabile eufemismo.
La realtà è che la CO2, invece di diminuire verso la agognata (e a questo punto utopica?) meta del carbon free – con tutte le scadenze annesse al programma: 2030, 2050 ecc – sta addirittura aumentando.
Chi lo dice? Un recentissimo studio internazionale, che ha coinvolto l’Italia attraverso l’Istituto di Scienze Polari del CNR ei cui risultati sono stati pubblicati su “Science” alla fine dell’anno scorso (senza avere una grande eco sui media, non vi pare?).
E’ pur vero che la ricerca aveva ambizioni prettamente scientifiche e di largo respiro, intendendo ricostruire le fluttuazioni della CO2 atmosferica nell’arco degli ultimi 66 milioni di anni. Il progetto è durato sette anni, ed ha comportato una lunga analisi e una selezione di molti record geologici, che ha dovuto tener conto delle incertezze e di modelli cronologici da affinare.
In ogni caso, i risultati sono chiari. Per prima cosa, confermano una chiara relazione tra i livelli di CO2 e l’aumento della temperatura media globale terrestre. Si è accertato che un raddoppio della CO2 atmosferica potrebbe innalzare la temperatura media del pianeta di 5-8 °C: si tratterebbe di un incremento a dir poco drammatico e notevolmente superiore a quanto previsto in precedenza. Inoltre, che il livello attuale di CO2 nell’atmosfera, pari a 420 ppm e causato principalmente dall’azione dell’uomo (su questo gli scienziati che hanno condotto la ricerca non hanno dubbi), non è stato mai raggiunto negli ultimi 14 milioni di anni.
“Sappiamo da tempo che aggiungere CO2 in atmosfera aumenta la temperatura” ha affermato Bärbel Hönisch, ricercatrice presso la Columbia University, e coordinatrice dello studio, “ma questo lavoro ci offre un’idea molto più solida di quanto il clima sia sensibile su scale temporali lunghe”.
Ma come è possibile ricostruire il livello di CO2 nel remotissimo passato geologico? Gli autori dello studio hanno utilizzato sia misure dirette, quali l’analisi delle bolle d’aria intrappolate nelle carote di ghiaccio delle zone polari, che misure indirette come lo studio dei segnali chimici nelle piante, minerali e organismi fossili.
“La composizione isotopica dei gusci carbonatici di alcuni organismi planctonici conservati nei sedimenti marini o dello scheletro dei coralli ci permette di ricostruire il clima del passato”, spiega Paolo Montagna, ricercatore del Cnr-Isp e coautore del lavoro. “Combinando misure dirette ed indirette provenienti da vari archivi geologici, siamo riusciti ad ottenere una ricostruzione dettagliata dei livelli di CO2 in atmosfera degli ultimi 66 milioni di anni. Questa ricostruzione è stata poi messa a confronto con la curva di evoluzione della temperatura per avere una visione più completa”.
Al di là delle pur interessanti rilevazioni su ere geologiche lontane, quello che più preme e preoccupa noi comuni mortali del XXI secolo è la situazione attuale e la sua possibile evoluzione. Su questo il prof. Montagna è chiaro: “La concentrazione attuale di CO2 ha superato i 420 ppm, segnando un incremento del 50% rispetto ai livelli ricostruiti alla fine del XVIII secolo. Valori così elevati non sono mai stati raggiunti negli ultimi 14 milioni di anni, e questa tendenza, se non mitigata, potrebbe portare le concentrazioni di CO2 a livelli di 600-800 ppm alla fine di questo secolo”.
E come si è detto, questo secondo gli scienziati significherebbe, per un raddoppio della CO2 in atmosfera, un aumento corrispondente della temperatura media globale di 5-8 °C: ben oltre, dunque le stime correnti (e curiosamente più vicino alle ipotesi formulate nell’Ottocento dal fisico svedese premio Nobel Arrhenius).
“Non siamo in grado di dire che temperatura ci sarà nel 2100” osserva uno degli autori dello studio, Dana Royer, dell’americana Wesleyan University “ma possiamo affermare che ci saranno effetti lenti e a cascata, che dureranno per migliaia di anni”.
“Tale scenario evidenzia l’urgente necessità di affrontare le emissioni di gas serra e di elaborare strategie efficaci per contrastare il cambiamento climatico” conclude Hönisch. Come non darle ragione.