Benessere equo e sostenibile in Italia? Sì, ma non certo per i giovani

Il Rapporto Bes dell’Istat conferma che in Italia le giovani generazioni sono penalizzate in tutto o quasi. E che hanno sempre meno fiducia nel futuro.

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Si può misurare il livello e la qualità del benessere equo e sostenibile in Italia? Secondo l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, sì.
E’ arrivato infatti alla sua decima edizione il Rapporto Bes, che offre un quadro integrato dei principali fenomeni economici, sociali e ambientali caratterizzanti la società italiana nell’anno trascorso, attraverso l’analisi di un set di indicatori suddivisi in 12 domini: dalla salute all’istruzione, al lavoro, alla qualità dei servizi.

Non è un Paese per giovani

Il Rapporto Istat per il 2022 non è, in realtà, molto incoraggiante, soprattutto se lo si raffronta con il panorama europeo.

Settori come l’istruzione e la formazione, o il lavoro e la conciliazione dei tempi di vita, registrano risultati nettamente inferiori rispetto alla media europea. I più penalizzati sono i Neet, ovvero i ragazzi e le ragazze tra i 15 e i 29 anni che non studiano o lavorano: in Italia ammontano al 19,0% del totale – una percentuale quasi doppia rispetto alla media UE che registra un 11,7%.

Non va meglio per i 30-34enni che hanno completato l’istruzione terziaria: in Italia sono il 27,4% mentre in Europa il dato è il 42,8%.
Anche il tasso di occupazione italiano nell’anno 2022 è di circa 10 punti percentuali più basso rispetto a quello medio europeo (74,7%). Spicca, poi, il grave gap per quanto riguarda le donne che lavorano (55,0% in Italia rispetto al 69,4% della media UE).

Fra tutti gli indicatori, quello per cui l’Italia si colloca senza dubbio ai vertici della graduatoria UE è la sopravvivenza. La speranza di vita alla nascita è pari a 82,5 anni, mentre la media UE non va oltre l’80,1). L’Italia poi registra uno dei più bassi tassi di omicidi in Europa: 0,5 per centomila abitanti nel 2020, molto al di sotto del resto d’Europa, dove la media è 0,9.

Scorrendo i dati dei singoli domini, il rapporto mostra come per 58 indicatori di benessere, oltre la metà dunque del totale, si registri un miglioramento nel 2022 rispetto al livello del 2019. Un terzo degli indicatori si trova invece su un livello peggiore rispetto al 2019, mentre il restante 13,8% degli indicatori si mantiene stabile sui livelli pre-pandemici.

I progressi più diffusi

I progressi riguardano i domini Sicurezza, Qualità dei servizi e Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, con oltre il 72% degli indicatori che migliora rispetto al 2019. Seguono i domini Politica e istituzioni e Innovazione, ricerca e creatività: in questi settori i due terzi degli indicatori danno un miglioramento.

Le sofferenze
Veniamo ai domini in sofferenza. La maggior parte degli indicatori in peggioramento si trovano nei settori Relazioni sociali, Benessere soggettivo, Istruzione e formazione (come si diceva sopra) e Benessere economico.

E l’ambiente? Si trova in una situazione intermedia, e questa non è una bella notizia, di fronte alla stringente necessità di implementare i progressi in questo campo. La percentuale di indicatori rimasti stabili è consistente (circa il 31%), anche se la metà è invece in miglioramento rispetto al periodo pre-pandemico.
Stesso discorso vale per il dominio Paesaggio e patrimonio culturale: quote equivalenti di indicatori che migliorano e che peggiorano (circa il 43%).

Le differenze regionali, di genere e di età

Sui 131 indicatori Bes analizzabili a livello regionale, quelli che mostrano una disuguaglianza elevata riguardano i settori di ambiente; paesaggio e patrimonio culturale; benessere economico; sicurezza. Meno evidenti invece le diseguaglianze in salute; istruzione e formazione; relazioni sociali; politica e istituzioni; benessere soggettivo.

Passiamo al genere. Tra il 2019 e il 2022 la maggior parte delle misure di benessere (54,1%) ha fatto registrare un miglioramento per le donne, a fronte di un 39,2% per gli uomini – per i quali invece le misure sono rimaste perlopiù stabili oppure sono peggiorate.

A fronte di questo miglioramento, però, per la gran parte degli indicatori continua a registrarsi una disparità di genere (su 86 complessivi, solo 26 fanno registrare una parità di genere, mentre 34 evidenziano una condizione di svantaggio femminile e 26 di svantaggio maschile).

I miglioramenti poi riguardano salute, istruzione e formazione. Nella sicurezza, innovazione, ricerca e creatività c’è una sostanziale eterogeneità, “con una parte di indicatori che segnano un vantaggio femminile e una parte un vantaggio maschile”. Gli uomini registrano condizioni migliori nei settori di lavoro e conciliazione dei tempi di vita, politica e istituzioni, relazioni sociali, benessere economico e benessere soggettivo.

E concludiamo con le differenze generazionali. Se il 52% degli indicatori di benessere per gli adulti (tra 45 e 54 anni) migliora rispetto al livello pre-pandemia (ma il 40% peggiora), e se per i giovani adulti (25-34 anni) la situazione è abbastanza buona (metà degli indicatori migliora e il 41% peggiora), il segno meno è nella casella dei più giovani (14-24 anni): solo il 44% degli indicatori Bes migliora, mentre il 43% peggiora e il 13% resta stabile (per le altre classi di età è l’8%).

I peggiori indicatori per la fascia giovanile riguardano le relazioni sociali: fiducia negli altri e presenza di persone su cui poter contare. Oltre all’atteggiamento di ottimismo verso il futuro, che, mentre è in aumento fra gli adulti, è in calo tra i giovani. Quelli cioè che dovrebbero sperare di più nel futuro.

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