Da qualche tempo, l’eco-arte o l’arte sostenibile è diventato un argomento sempre più conosciuto e diffuso. Numerosi artisti contemporanei, infatti, hanno fatto proprie e hanno integrato nella loro poetica tematiche attuali come il cambiamento climatico, la causa ecologista o la sostenibilità ambientale, con un fine non solo artistico, ma anche sociale.
Certo, il dialogo tra arte e ambiente non è una prerogativa dell’epoca contemporanea, poiché l’arte, nei secoli, si è spesso trovata in sintonia con la natura, sin dall’epoca romana. Se visitassimo, ad esempio, il meraviglioso Museo nazionale romano di Palazzo Massimo, non potremmo senza dubbio restare indifferenti davanti agli affreschi, perfettamente conservati, del ninfeo sotterraneo della villa di Livia a Prima Porta.
Entrando nella sala espositiva, ci appare davanti un tripudio di alberi colmi di frutti, di siepi e di cespugli rigogliosi, abitati da uccelli di ogni specie. Come interpretare queste pitture se non come una celebrazione del creato, della forza e della bellezza della natura, che sembra invadere la stanza?
La stessa poesia, la stessa sensibilità, si ritrova anche nei paesaggi seicenteschi o in quelli di epoca romantica, dove la natura assume un carattere più sublime e pittoresco. È difficile che questi dipinti, visto anche il loro carattere figurativo, ci lascino indifferenti, anzi, essi sono capaci di parlare a tutte le generazioni e di trasmettere emozioni in maniera trasversale.
Diverso è, invece, il caso di opere d’arte più contemporanee, che spesso abbandonano la figurazione a favore di ricerche che si servono di tecniche e materiali più sperimentali. Quante volte davanti a un’installazione ci siamo chiesti quale fosse il suo significato o siamo addirittura rimasti perplessi perché “lo sapevo fare anche io”? Sicuramente lo sforzo intellettivo è maggiore, ma se siamo disposti a farlo, scopriremo che sì, senza dubbio è cambiata la forma, ma spesso non la sostanza.
Quando si parla di eco-arte, la sensibilità degli artisti è, infatti, la stessa: essi esprimono, attraverso la loro poetica, un uguale amore per la natura e un medesimo senso di consonanza con essa. Anzi, fanno di più, lottano al fine di preservarla, sensibilizzando sul clima e sulla sostenibilità.
Tra le prime correnti a mostrare una tendenza “ecologista” vi fu l’italiana Arte povera che, già negli anni settanta del Novecento, rifletté sul rapporto uomo-ambiente, utilizzando spesso materiali naturali come legna, foglie o fango. In particolare, è esemplare il caso di Giuseppe Penone, nato a Garessio (Cuneo) nel 1947 e formatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Torino.
Recentemente celebrato dalla mostra “Giuseppe Penone. Gesti universali”, curata da Francesco Stocchi e tenutasi a Roma, in Galleria Borghese, Penone è un artista di fama mondiale, la cui poetica è incentrata sulla relazione tra uomo, natura e ecologia.
L’idea che emerge dai suoi lavori è quella di ripristinare un contatto tra umanità e ambiente, spesso attraverso una meditazione sulla crescita e sul ciclo della vita. Tra i suoi materiali preferiti c’è il legno, che l’artista usa per creare opere organiche che sembrano fondersi con l’ambiente circostante.
In Albero di 12 metri, ad esempio, Penone lascia crescere un albero all’interno di un blocco di marmo, rappresentando la lotta tra la forza della natura e la forza dell’uomo, ma anche la capacità che ha la natura di rigenerarsi e superare gli ostacoli imposti dall’uomo, in un’ottica di riequilibrio, di riconciliazione tra umanità e ecosistema.
Altro artista che pone al centro della sua ricerca la relazione uomo-ambiente è Olafur Eliasson (Copenaghen, 1967), noto al grande pubblico anche grazie a una mostra tenutasi recentemente a Palazzo Strozzi (Firenze), a cura di Arturo Galansino. La sua produzione artistica spesso mette in primo piano la complessità delle dinamiche ambientali e affronta temi ecologici, nell’ottica di sensibilizzare la società.
Molti dei suoi progetti sono grandi installazioni che utilizzano materiali organici, energia solare o acqua, e che offrono al pubblico esperienze sensoriali immersive nella natura. L’opera The Weather Project, realizzata nel 2003 alla Tate Modern di Londra, ricreava, ad esempio, l’effetto del sole all’interno dello spazio museale, e attraverso l’uso di luce, nebbia e specchi dava vita a un’atmosfera suggestiva e interattiva, che portava a riflettere sull’impatto dell’umanità sul clima.
A considerare fondamentale il ruolo dell’arte nel creare consapevolezza sul cambiamento climatico e sulla crisi ecologica è anche il più giovane Francesco Simeti (Palermo, 1968) che, mediante le sue opere, esplora temi legati alla natura, alla sostenibilità e alle interazioni umane con l’ambiente.
Una delle caratteristiche ricorrenti nella sua produzione artistica è l’utilizzo di materiali di riciclo, come plastica, legno e tessuti, che incoraggiano una riflessione sullo spreco e sulla società dei consumi. Le opere di Simeti, oltretutto, spesso traboccano di vegetazione rigogliosa, di fiori e di animali, tutti elementi simbolo della bellezza e della fragilità del mondo naturale.
Un esempio dell’impegno ecologico dell’artista è rappresentato dall’installazione The Wild Side alla Biennale di Venezia del 2019, composta da piastrelle decorative realizzate con plastica recuperata dagli oceani. Ogni tassello è stato, inoltre, disegnato da Simeti con immagini di specie marine in estinzione.
Opere come quelle di Giuseppe Penone, Olafur Eliasson e Francesco Simeti, da un primo impatto, ci potrebbero forse apparire meno evocative di un tradizionale paesaggio; tuttavia, comprendendo un po’ meglio ciò che c’è dietro, scopriremo che esse hanno uguale forza comunicativa e stessa sensibilità verso l’ambiente. L’eco-arte, inoltre, non si limita solo a celebrare la bellezza della natura, ma si impegna anche a promuovere un riequilibrio tra uomo e pianeta, offrendo un importante contributo alla causa ecologista.