Ambientalismo . Nel 1987 Gro Harlem Brundtland, Presidente della «World Commission on Environment and Development» (Wced) istituita nel 1983, presentò il rapporto «Our common future», da allora noto come «Rapporto Brundtland».
Quel documento è considerato una pietra miliare per la questione ambientale. Le sue pagine costituiscono una linea guida per lo sviluppo sostenibile ancora oggi valida.
La premessa dell’analisi di Bruntland è che i problemi globali dell’ambiente sono dovuti essenzialmente alla grande povertà del sud del mondo e ai modelli di produzione e di consumo non sostenibili del nord.
La prima azione necessaria da compiere sarà dunque l’attuazione di una strategia in grado di integrare le esigenze dello sviluppo e dell’ambiente. Da qui nasce la definizione di «sustainable development», tradotto successivamente con «sviluppo sostenibile»: «Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

Il valore etico di questa proposizione fu di grande impatto nel dibattito internazionale.
E’ anche grazie all’impulso prodotto dal Rapporto che nel 1989 l’Assemblea generale dell’ONU decise di organizzare una Conferenza su ambiente e sviluppo. E successivamente, a Rio de Janeiro nel 1992, un nuovo Earth Summit mise insieme oltre 150 Stati e fu l’occasione per stilare la famosa Agenda 21.
L’idea di sviluppo sostenibile delineata dal Rapporto è articolata in tre parti:
Parte 1. Preoccupazioni comuni:
• un futuro minacciato
• verso uno sviluppo sostenibile
• il ruolo dell’economia internazionale
Parte 2. Sfide collettive
• Popolazione e risorse umane
• Sicurezza alimentare: sostenere le potenzialità
• Specie ed ecosistemi: risorse per lo sviluppo
• Energia: scelte per l’ambiente e lo sviluppo
• Industria: produrre più con meno
• Il problema urbano
Parte 3. Sforzi Comuni
• Gestione dei beni comuni internazionali
• Pace, sicurezza, sviluppo e ambiente
• Verso un’azione comune.
Il rapporto si chiude con il Sommario dei principi legali proposti per la protezione ambientale e per lo sviluppo sostenibile.
Il Rapporto Brundtland fa propria l’analisi del Club di Roma di Aurelio Peccei. Il Club di Roma, fondato nell’aprile del 1968 dall’imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, si impose all’attenzione del dibattito mondiale con il suo Rapporto sui limiti dello sviluppo, meglio noto come Rapporto Meadows, pubblicato nel 1972. Studiando attentamente l’andamento degli indicatori demografici, dei consumi di energia e risorse naturali da parte del Nord del mondo, il Rapporto giunse alla conclusione che la crescita economica non avrebbe potuto continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta.
Fu nella seconda metà degli anni Settanta che si iniziarono a registrare i segni incontrovertibili del Cambiamento Climatico dovuto all’impatto delle attività antropiche sugli equilibri del pianeta. Un cambiamento che già si manifestava in diversi sistemi naturali quali circolazione oceanica, livello del mare, ciclo dell’acqua, ciclo del Carbonio, qualità dell’aria, ecosistemi naturali, produttività delle terre agricole, praterie e foreste, abbondanza e sopravvivenza di specie animali e vegetali, anche di quelle microscopiche.
Cinque anni dopo il Rapporto Brundtland, nel 1992 a Rio de Janeiro si tenne, convocato dall’Onu, l’Earth Summit, un vertice internazionale in cui si incontrarono oltre 150 Stati per condividere le informazioni circa lo stato di fatto della «casa comune Terra» e confrontarsi sulle strategie per fronteggiare le emergenze ambientali presenti e future.
I Paesi partecipanti sottoscrissero tre accordi non vincolanti a livello internazionale. Il più “famoso” è sicuramente l’Agenda 21, ma ci furono anche la Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo, la Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste) e due Convenzioni giuridicamente vincolanti (sui cambiamenti climatici e sulla biodiversità).