E’ allarme per l’Alaska.
La notizia diffusa in questi giorni sta facendo il giro del mondo sui media,
provocando sconcerto e grande preoccupazione per la sua drammatica evidenza: gli
ultimi abitanti del villaggio di Newtok, 71 in tutto, di etnia nativa, stanno preparando
a lasciare per sempre il sito, così come avevano fatto a partire dal 2019 gli altri 230
che formavano la comunità locale.
Il motivo? Il cambiamento climatico. Lo scioglimento del permafrost e l’erosione
hanno divorato più di 20 metri di terra ogni anno. Un ritmo insostenibile: anche
perché non ci sono evidenze che possa rallentare in futuro, stando così le cose.
Il clima dell'Alaska sta cambiando. Lo dice a chiare lettere anche l’EPA, il sempre
prudente Ente statunitense per la protezione dell’ambiente.
E’ proprio l’EPA a spiegarci che negli ultimi 60 anni, la maggior parte dello Stato si è
riscaldata di tre gradi Farenheit in media, con una punta di sei gradi in inverno.
La conseguenza, facilmente intuibile, è che il ghiaccio marino artico si sta ritirando,
le coste si stanno erodendo, i ghiacciai riducendo, il permafrost scongelando.
Ulteriore conseguenze sono le “epidemie di insetti” (insect outbreak, cioè
improvvise moltiplicazioni di specie di insetti) e gli incendi, che si stanno
moltiplicando.
La previsione secca dell’EPA è che mei prossimi decenni, questi effetti siano
destinati ad accelerare.
Del resto, lo sappiamo bene. I gas serra stanno cambiando gli oceani e la copertura
di ghiaccio del pianeta.
L'anidride carbonica reagisce con l'acqua formando acido carbonico, per cui gli
oceani stanno diventando più acidi.
Secondo le stime, la superficie degli oceani si è riscaldata di circa un grado negli
ultimi 80 anni. La neve si scioglie prima in primavera e i ghiacciai di montagna si
stanno ritirando.
Lo stesso fenomeno che affligge le nostre Alpi si verifica, naturalmente, anche per le
grandi lastre di ghiaccio della Groenlandia e dell'Antartide. Con l’altra ben nota
conseguenze che Il mare si sta innalzando a un tasso crescente.
I ghiacciai si sono ritirati drasticamente nel secolo scorso nel sud-est dell'Alaska,
nella Alaska Range e lungo la costa centro-meridionale. Nel Glacier Bay National
Park, ad esempio, il ghiacciaio Muir si è ritirato di più di 31 miglia da quando è stato
osservato per la prima volta, alla fine del XIX secolo.
Fino a poco tempo fa, il ghiaccio copriva la maggior parte dell’Oceano Artico anche
d'estate.
Ma l'area coperta dai ghiacci alla fine dell'estate 2012 era quasi il 50 per cento più
piccola rispetto alla media storica. La previsione è che il ghiaccio si sciolga del tutto
nella maggior parte delle estati entro pochi decenni.
Bisogna ricordare che il ghiaccio marino è l'habitat di orsi polari, trichechi e altri
animali; è zona di caccia per le comunità native dell'Alaska, oltre che un cuscinetto
contro i danni causati dalle tempeste. L’impatto di questo processo sulle comunità
native dell'Alaska è dunque semplicemente devastante.
Per queste comunità, fra le ultime di nativi a sopravvivere nel Nord America, la vita
sta completamente cambiando in questi anni. I viaggi e gli spostamenti, la caccia, il
cibo e le infrastrutture dipendono da sempre, anzi sono “progettate” per un
paesaggio ghiacciato per gran parte dell'anno.
La perdita progressiva del ghiaccio marino sta modificando lo stile di vita basato
sulla sussistenza di gruppi come gli Yup'ik, gli Iñupiat e i “famosi” Inuit, che abbiamo
imparato a conoscere dai numerosi film a loro dedicati (e da loro filmmakers
realizzati).
Riducendosi cos drasticamente l'habitat per le fonti di cibo tradizionali (come il
tricheco) le comunità costiere prendono sempre più in considerazione la possibilità
di trasferirsi su terreni più stabili. Si parla di territori in cui posti di lavoro
nell'economia generale scarseggiano, per cui le minacce alle risorse tradizionali su
cui i nativi dell'Alaska fanno affidamento li rendono una popolazione
particolarmente vulnerabile agli impatti del cambiamento climatico.
O forse solo un primo esempio concreto di quello che potrebbe succedere su scala
più vasta, a molte altre popolazioni del pianeta, se il global warming continuerà a
questi ritmi.