Le giornate di tardo autunno, quando il cielo non è nuvoloso, declinano in pomeriggi imperdibili per serenità e tenuità di colori, dal rosso acceso al verde che sfuma nel blu cobalto della sera.
Mentre completo la mia camminata quotidiana, corroborata oggi da una temperatura esterna che rende il tutto quasi ideale - se non fosse per quell’odore persistente e penetrante di inquinamento dell’aria di pianura, che mi accompagna implacabilmente a ogni passo – mi fermo a guardare, meglio a contemplare, una vasta e irregolare distesa bianca di ali e code posate su un campo di periferia.
Lo spettacolo è davvero bello. I movimenti irregolari, quasi le vibrazioni, dello stormo di uccelli candidi sul verde appassito del prataccio - solcato dal solito elettrodotto di pianura – hanno qualcosa di pacificatorio per l’anima.
Sono come un frammento di mosaico, un fugace episodio di natura, in un territorio – quello della campagna emiliana, o di ciò che ne resta – che di “ambiente naturale” ha saputo conservare poco o nulla, nascondendosi dietro il falso alibi della “grande via” (Emilia) che da sempre favorirebbe, attirerebbe con la sua presenza lineare, l’insediamento umano, l’edificazione, la civiltà di uomini e macchine.
Quella nuvola bianca e frastagliata sono aironi, credo di non sbagliarmi. Aironi guardabuoi. Almeno quelli penso di saperli riconoscere: mi accompagnano, ci accompagnano – noi abitanti di pianura con qualche decennio sulle spalle – sin dall’infanzia. Quasi un elemento caratteristico del territorio naturale, insieme ai canali di bonifica, ai loro argini, ai pioppeti che fino a qualche anno fa riuscivi ancora a veder spuntare fra due campi coltivati, appena fuori dei centri abitati. E che adesso, non ho capito perché, sono ormai spariti quasi tutti; per non parlare dei filari: quelli, poi, eradicati da un pezzo, li puoi vedere ancora in qualche vecchio film tipo La strategia del ragno.
Poi però oggi è il 4 dicembre: e allora, mi chiedo. Ma gli aironi, gli aironi guardabuoi, non dovrebbero aver già migrato verso lidi (così si dice, no?) più caldi? Che ci fanno qui? Hanno deciso di fare il Natale a casa?
Non essendo un ornitologo né un etologo ma solo un modesto giornalista, decido che, appena sarò a casa, proverò a capire meglio questa cosa. Magari ho detto, ho pensato una castroneria scientifica; magari è solo una vecchia reminescenza di poesie scolastiche, quella della migrazione, applicata ad una specie, una categoria che invece è proverbialmente stanziale.
So che non è così. Ma, comunque, voglio mettere a fuoco meglio la questione.
“Aironi guardabuoi, con il riscaldamento globale non partono per l'Africa e restano qui: salvati in 4 a Modena”.
E’ il titolo di un articolo del magazine sulpanaro.net datato 27 novembre 2022.
Dunque il fenomeno è già in atto da tempo. Anche gli aironi guardabuoi della mia infanzia stanno modificando le loro abitudini di vita come già sapevo hanno fatto diverse specie di uccelli, e non solo.
La migrazione animale è un fenomeno naturale che comporta lo spostamento - per molte specie stagionale - di popolazioni da un habitat all'altro, per sopravvivere e riprodursi. Oltre agli uccelli il fenomeno interessa diversi mammiferi, pesci, rettili e insetti. E – detto per inciso - anche l’homo sapiens.
Gli uccelli migrano con il cambio di stagione, come cantava Franco Battiato, alla ricerca del caldo africano.
Ma da qualche anno sembrano, anzi sono destabilizzati dal meteo: ragion per cui tendono a ritardare la partenza. E’ quello che succede anche con gli aironi guardabuoi.
Uno potrebbe dire: in fondo cosa c’è di male. Risparmiano il viaggio.
Già la battuta non è eccelsa, il punto è che non è così. Con il calare delle temperature, gli animali cominciano a presentare serie difficoltà respiratorie.
Lo confermano i volontari dei Centri per la fauna selvatica, come (per restare in territorio emiliano di pianura) il Pettirosso di Modena, che da anni ormai devono raccogliere e mettere sotto terapia degli esemplari di aironi che hanno evidenti difficoltà a reggersi e a respirare.
Senza contare che, ci spiegano gli ornitologi, l’assenza dalle terre africane degli aironi, come tutti gli squilibri e le perturbazioni dell’ordine di natura, comporta conseguenze anche per l’equilibrio sistemico di laggiù.
Gli aironi contribuiscono a pulire dai parassiti gli ippopotami e gli elefanti – quante volte l’abbiamo visto nei documentari. Questa funzione igienico-sanitaria dunque, loro assenti, viene meno.
Il rapporto tra cambiamenti climatici e cambiamenti nelle abitudini migratorie di diverse specie animali è un dato ormai accertato.
Resta fondamentale, su questo argomento, uno studio del 2022, coordinato da Andrea Romano, ricercatore dell'Università di Milano e pubblicato su “Ecological Monographs”.
Le conseguenze per l'intera biodiversità di un pianeta strettamente interconnesso come quello sul quale viviamo, a breve o a lungo termini, saranno ben più gravi – ci assicurano gli scienziati – di quello che possiamo pensare osservando la “stranezza” degli uccelli che “restano a casa” o ritardano la partenza in pieno inverno.