Il discorso dei laureandi di AgroParisTech.

Il 30 aprile 2022, la seduta di laurea di otto studenti della Grande Ecole AgroParisTech di Parigi si è trasformata in un invito ai propri compagni

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il 30 aprile 2022, la seduta di laurea di otto studenti della Grande Ecole AgroParisTech di Parigi si è trasformata in un invito ai propri compagni a lasciare i percorsi tracciati dalla scuola di ingegneria agraria, troppo legati alle logiche dell’agrobusiness, e a “cercare altre strade, costruire le nostre strade”.

Le immagini e l’audio della cerimonia hanno ben presto fatto il giro dei media internazionali.

La replica di AgroParisTech è stata che la cerimonia di laurea ha dimostrato come “l’istituto ha compiuto la sua missione. Ovvero aiutare gli studenti a scegliere il significato che desiderano dare ai propri studi e alla propria carriera professionale”.

Noi non crediamo al vostro « sviluppo sostenibile ». Discorso del 30 aprile 2022 tenuto dagli studenti laureandi di AgroParisTech di Parigi.

Buongiorno a tutti,

Il discorso che faremo nasce da tutti noi collettivamente.
I laureati del 2022 sono qui riuniti per l’ultima volta dopo aver passato 3 o 4 anni ad Agro Paris Tech, e molti di noi non vogliono fare finta di essere fieri e meritevoli di aver conseguito questo diploma, al termine di un tipo di formazione che ci spinge per lo più a partecipare alla devastazione sociale ed economica in corso.

Noi non ci consideriamo come dei « talenti per un pianeta sostenibile ».

Noi non consideriamo la devastazione ecologica e sociale come un « problema » o una « sfida » alla quale dobbiamo trovare delle soluzioni come ingegneri.

Noi non pensiamo che ci sia bisogno di « tutte le agricolture ». Noi constatiamo piuttosto che l’agro-industria sta portando avanti una guerra contro gli esseri viventi e contro gli agricoltori di tutto il mondo.

Noi non consideriamo la scienza e la tecnologia come neutre e apolitiche. Noi pensiamo che l’innovazione tecnologica o le start-up non salveranno altro che il capitalismo. Noi non crediamo né allo sviluppo sostenibile né alla crescita verde. Neanche alla « transizione ecologica », un’espressione che implica che la società possa diventare sostenibile senza sbarazzarsi dell’ordine sociale dominante.

Agroparistech forma ogni anno centinaia di studenti a lavorare in vari modi per l’industria, manipolando i sistemi dei laboratori delle multinazionali che rafforzano la schiavitù degli agricoltori, progettando piatti pronti e poi chemioterapie per curare le malattie provocate, inventandosi delle etichette di « buona coscienza » per permettere ai manager di credersi eroici perché mangiano meglio degli altri, di sviluppare le cosiddette energie « verdi » che permettano di accelerare la digitalizzazione della società, inquinando e sfruttando così l’altra parte del mondo.

Stilare dei rapporti sulla Responsabilità Sociale e Ambientale è invece tanto più dispendioso in termini di tempo, ed è una follia, perché i crimini che nascondono sono scandalosi. (…)

Noi parliamo a coloro che dubitano che questo dubbio sia effimero o fugace.

A te che hai accettato un lavoro perché « hai bisogno di una prima esperienza », a te i cui cari lavorano per perpetuare il sistema e senti il ​​peso del loro sguardo su di te, sulle tue scelte professionali, a te che siedi in un ufficio e ti affacci alla finestra sognando spazio e libertà.

A te che ogni fine settimana prendi il TGV alla ricerca di un benessere che non hai mai trovato.

A te che senti un disagio crescente senza riuscire a dargli un nome, che spesso scopri che questo mondo è pazzesco, che avresti voluto fare qualcosa ma non sapevi veramente cosa o che speravi di cambiare le cose dall’interno ma che ormai non ci credi più.

Vogliamo dirti che non sei l’unico a pensare che qualcosa non va, perché c’è davvero qualcosa che non va. Anche noi abbiamo dubitato e a volte dubitiamo ancora, ma ci rifiutiamo di servire questo sistema e abbiamo deciso di cercare altre strade, di costruire le nostre strade.

Sì, abbiamo incontrato persone che lottavano e le abbiamo seguite nella loro lotta. Ci hanno mostrato l’altra faccia dei progetti che potremmo realizzare come ingegneri.

Penso a Cristina ed Emmanuelle che vedono il cemento colare sui loro terreni grazie al progetto di Paris-Saclay. Penso a quel buco secco, una compensazione davvero irrisoria per uno stagno pieno di tritoni.

O ancora a Nico che dal suo grattacielo vede radere al suolo i giardini popolari della sua infanzia per la costruzione di un eco-quartiere.

Qui e là abbiamo incontrato persone che stanno sperimentando altri modi di vivere, che hanno conoscenze e competenze per non dipendere mai dal monopolio dell’industria inquinante. Persone che sanno come abitare il proprio territorio senza esaurirlo, che lottano attivamente contro progetti dannosi, che praticano quotidianamente un’ecologia popolare, decoloniale e femminista, che trovano il tempo per vivere bene e prendersi cura l’uno dell’altro.

Sono tutti questi incontri che ci hanno ispirato a immaginare il nostro percorso.

  • Io abito da due anni presso lo ZAD (Zona da difendere) di Notre-Dame des Landes, dove faccio agricoltura collettiva e sostenibile.
  • Io sto avviando un’attività di apicoltura nel Delfinato.
  • Io mi sono unito al movimento Rivolta della Terra per lottare contro l’accaparramento dei terreni agricoli e la cementificazione in tutta la Francia.
  • Io sono andata in montagna, ho fatto lavori stagionali e ho iniziato a disegnare.
  • Io mi sto trasferendo presso un collettivo nel Tarn in una fattoria di « Terre des Liens » con quattro altri giardinieri, un coltivatore di grano e panettiere e tre birrai.
  • Io sto conducendo una campagna contro l’energia nucleare vicino a Bure.
  • Io mi sto preparando per poter lavorare con le mani.

Noi consideriamo questi modi di vivere più che necessari e sappiamo che ci renderanno più forti e più felici.

Hai paura di fare un passo da parte perché non farebbe bella figura sul tuo CV ? Allontanarti dalla tua famiglia e dalla tua rete di relazioni, privandoti così del riconoscimento che sei degno di una carriera ad Angers Agro?
Ma che vita vogliamo ? Un capo cinico al lavoro? Uno stipendio che ci permette di prendere l’aereo, un prestito trentennale per una casa in periferia, nemmeno cinque settimane all’anno per rilassarsi in un villaggio vacanze figo e alternativo, un Suv elettrico, un fairphone e una carta fedeltà Biocoop, e poi… un burn-out a 40 anni ?

Non perdiamo tempo e soprattutto non lasciamoci sfuggire questa energia che ribolle dentro di noi.

Disertiamo prima di ritrovarci bloccati dai debiti finanziari.

Non aspettiamo che i nostri figli ci chiedano soldi per andare a fare la spesa nel metaverso, perché non avremo più tempo per fargli sognare altro.

Non speriamo di essere incapaci di fare altro se non una pseudo-riconversione alla stessa professione, solo ridipinta di verde.

Non aspettiamo il 12° rapporto dell’IPCC che dimostrerà che gli Stati e le multinazionali hanno sempre e solo aggravato i problemi e che riporrà le ultime speranze nelle rivolte popolari.

Noi possiamo cambiare direzione ora.

Iniziare una formazione da contadino-panettiere, partecipare ad un cantiere di lavoro in una ZAD o altrove, impegnarsi con le persone bisognose, investire in un laboratorio di biciclette autogestito o partecipare ad un fine settimana di lotta con quelli di Rivolta della Terra.

Può cominciare così.

Sta a noi trovare i modi per cambiare direzione.

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Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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