Abbondanti nevicate – Gli esperti del clima ci avvertono: non lasciamoci “entusiasmare” dalle abbondanti
nevicate sull’arco alpino di questi primi giorni di marzo 2024 e dalle tante immagini
di una “bianca montagna” che credevamo appartenere ormai al passato.
L’era dell’abbondanza di neve per le stazioni sciistiche potrebbe davvero essere finita
per sempre, costringendo l’economia e la politica dei territori di montagna a ripensare
profondamente le attività invernali per il settore turistico.
L’allarme – o se vogliamo la conferma di una realtà che già da parecchi anni appariva
ai più evidente – stavolta viene non dalle Alpi del nostro continente, ma
dall’America.
L’industria dello sci statunitense – che conta qualcosa come 529 comprensori sciistici
sparsi nel territorio della nazione, da Aspen a Lake Placid a Park City a
Breckenridge, solo per citare i più famosi – sta perdendo miliardi di dollari. La
stagione media dello sci è diventata da cinque a sette giorni più breve nell’ultimo
mezzo secolo.
Lo ha certificato uno studio da poco consegnato ai media, che ha quantificato in più
di 5 miliardi di dollari negli ultimi due decenni la perdita economica del settore. La
causa, naturalmente, è il riscaldamento globale causato dall’uomo, che ha reso
sempre più scarse le precipitazioni nevose sulle catene montuose.
Il fatto che le precipitazioni nelle zone montane degli USA stessero arrivando sempre
più sotto forma di pioggia anziché di neve, a causa dell’aumento delle temperature,
era già stato confermato da precedenti studi.
Il nuovo studio non fa che confermare la tendenza con numeri e dati ancora più
precisi e inconfutabili. Il cambiamento climatico ha ridotto la stagione sciistica media
negli Stati Uniti di cinque-sette giorni nell’ultimo mezzo secolo. Il costo per il settore
è stato in media di 252 milioni di dollari all’anno a causa delle perdite di entrate e
dell’aumento dei costi di produzione della neve tramite le macchine per la produzione
di neve artificiale.
“L’era dell’alta stagione sciistica è probabilmente finita”. E’ lapidario Daniel Scott,
scienziato dell’Università di Waterloo in Canada, che ha intrapreso la ricerca con i
colleghi europei dell’Università di Innsbruck. “Il cambiamento climatico sta
modificando completamente il business dell’industria dello sci e il settore del
turismo”.
Anche gli Stati Uniti – come l’Europa – infatti, stanno vivendo una serie di inverni
insolitamente caldi. I siti sciistici nella metà occidentale del Paese contano meno
della metà del normale manto nevoso, costringendo gli operatori a inseguire anno
dopo anno una maggiore produzione di neve, o semplicemente a ridurre la loro
offerta agli sciatori.
Il risultato è che gli sciatori statunitensi si stanno “spostando” sempre più verso est.
Salgono perciò le quotazioni di stazioni come Hunter Mountain, nello stato di New
York e a tre ore di macchina dalla Grande Mela, che in questo inverno ha goduto di
un certo innevamento. Mentre regioni storiche degli sport invernali, come Colorado
(Aspen, Beaver Creek) e Utah (Park City), sono in sofferenza sempre maggiore.
Sono proprio i media della celebre Aspen ad aver lanciato l’allarme negli ultimi mesi.
“L’aumento delle temperature, gli inverni più brevi e il calo del manto nevoso stanno
influenzando l’economia neve-dipendente di Aspen”, ha titolato il sito
Aspenjournalism.org, ricordando come i tempi delle colossali nevicate siano ormai un
ricordo più o meno da “American graffiti”.
Secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration, infatti, la temperatura
media della contea di Pitkin è aumentata a un ritmo di 0,4 gradi ogni decennio dal
- Nel 2018, la temperatura media durante tutto l’anno nella contea è stata di 39,5
gradi F, ovvero 2,9 gradi più calda rispetto alla temperatura media durante il periodo
di riferimento 1950-75.
E gli scenari futuri sono allarmanti. “Aspen Mountain sarà ancora sciabile nel 2030 in
tutti gli scenari di emissioni” dice un rapporto di studiosi del clima, ma “entro il 2100
l’area base di Aspen Mountain avrà sostanzialmente perso un manto nevoso sciabile”.
Anche secondo lo studio del prof. Scott, “le temperature record di quest’inverno
hanno fornito un’anteprima del futuro”, mettendo alla prova i limiti dell’innevamento
artificiale in molte aree degli USA.
Se il 2023 è stato il più caldo mai registrato a livello globale, il 2024 lo segue a ruota,
con livelli di calore straordinari che hanno stabilito nuovi record a gennaio e febbraio.
Oltre alla stagione sciistica, ad essere a rischio sono ovviamente le riserve d’acqua,
dato che lo scioglimento del manto nevoso alimenta fiumi e ruscelli per tutta la
primavera.
Così le stagioni sciistiche sono destinate a ridursi di un periodo tra 14 e 33 giorni
entro il 2050: questo, secondo gli studiosi, anche nello scenario migliore, quello in
cui il mondo sarà in grado di ridurre drasticamente le emissioni di riscaldamento
globale e sviluppare metodi avanzati per produrre neve.
Ma se non si riuscisse a ridurre le emissioni globali, si arriverà fino a due mesi
all’anno persi per gli sport invernali entro la metà del secolo.
“La quantità di questa riduzione”, ammonisce Scott, “dipenderà dalla capacità di tutti
i paesi di rispettare gli impegni di riduzione delle emissioni assunti con l’accordo di
Parigi sul clima e dal fatto che si riesca a mantenere il riscaldamento globale al di
sotto dei 2°C”.
Se no, addio sci. Di qua e di là dall’oceano.