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Rachel Carson. L’inquinamento del nostro ambiente (1963)

La biologa e scrittrice americana Rachel Carson (1907-1964) è universalmente riconosciuta come la “madre”, o se vogliamo la pioniera dell’ambientalismo. Oltre ad aver ispirato generazioni di attivisti e attiviste, è da considerarsi anche l’iniziatrice del pensiero ecofemminista.
La sua opera di divulgazione, svolta tra il 1937 e il 1963 in numerosi scritti e interventi pubblici, fu la prima grande denuncia dell’ideologia occidentale del progresso. Illustrò chiaramente il processo di alterazione degli equilibri naturali, e mostrò allo stesso tempo tutta l’irresponsabilità dell’industria chimica e l’indifferenza dei governi nei confronti di pratiche che avrebbero potuto comportare catastrofiche conseguenze.
Silent Spring, il suo libro più famoso, uscì nel 1962, in piena presidenza Kennedy. La sua pubblicazione fu un terremoto, e un evento fondante per la storia del pensiero ecologico. Il rovesciamento della visione antropocentrica, e l’idea che gli esseri umani fossero parte di un delicato e complesso ecosistema, provocò negli Stati Uniti un enorme dibattito, con toni spesso violenti nei confronti della portatrice di quel pensiero “eretico”.
All’inizio del 1963, Rachel Carson fu invitata a tenere il discorso di apertura al simposio annuale dei Kaiser Foundation Hospitals e del Permanente Medical Group di San Francisco.
Carson era già gravemente malata, ma accettò lo stesso l’invito, consapevole che il simposio rappresentava un’opportunità unica per raggiungere un pubblico prestigioso ed influente.
Si presentò al pubblico con un bastone, spiegando ufficialmente che le sue difficoltà erano dovute all’artrite. Una platea di millecinquecento medici la ascoltò in religioso silenzio per un’ora.
Questo discorso, noto con il titolo The pollution of our environment è il primo documento in cui Carson si definisce pubblicamente come ecologista. Il focus del testo è sui legami tra le specie e il loro ambiente biologico-fisico, nonché sui sistemi dinamici che governano l’ecosistema.
I temi che hanno ispirato Silent Spring sono ben presenti in tutto questo intenso discorso, l’ultimo tenuto dalla Carson. Sono nette anche le prese di posizione di critica sociale, nei confronti un sistema che colpevolmente non intendeva valutare i rischi connessi alla tecnologia. Notevole è anche l’avvertimento contro la trasformazione del mare in una discarica per la “spazzatura velenosa dell’era atomica”.
The Pollution Of Our Environment
L’inquinamento del nostro ambiente
Estratti:
[…] Suppongo che sia un pensiero piuttosto nuovo, e quasi umiliante, e certamente nato da questa era atomica, che l’uomo possa lavorare contro se stesso. Nonostante i nostri discorsi piuttosto vanagloriosi sul progresso e il nostro orgoglio per i dispositivi della civiltà, credo che ci sia un crescente sospetto – anzi, forse una certezza inquieta – che a volte siamo stati un po’ troppo ingegnosi per il nostro bene.
Nonostante l’inventiva davvero meravigliosa del cervello umano, stiamo cominciando a chiederci se il nostro potere di cambiare il volto della natura non avrebbe dovuto essere temperato con la saggezza per il nostro bene e con un maggiore senso di responsabilità per il benessere delle generazioni a venire.
L’argomento del rapporto dell’uomo con il suo ambiente è stato in cima ai miei pensieri per molti anni. Contrariamente alle credenze che spesso sembrano guidare le nostre azioni, l’uomo non vive separato dal mondo; vive nel mezzo di un’interazione complessa e dinamica di forze fisiche, chimiche e biologiche, e tra lui e questo ambiente ci sono interazioni continue e senza fine.
Ho riflettuto molto sulla cosa più utile da dire stasera sull’argomento che mi era stato assegnato: “L’inquinamento del nostro ambiente”. Sfortunatamente, c’è così tanto che si potrebbe dire.
Temo sia vero che, dall’inizio dei tempi, l’uomo è stato un animale molto disordinato. Ma, nei tempi passati, questo forse contava meno. Quando gli uomini erano relativamente pochi, i loro insediamenti erano sparsi; le loro industrie non sviluppate; ma ora l’inquinamento è diventato uno dei problemi più vitali della nostra società.
Non voglio perdere tempo stasera a fare un catalogo di tutti i vari tipi di inquinamento che oggi contaminano la nostra terra, la nostra aria e le nostre acque. So che questo è un pubblico informato e intelligente, e sono sicuro che tutti questi fatti vi sono noti. Vorrei invece presentare un punto di vista sull’inquinamento, un punto di vista che mi sembra utile e necessario per il controllo di una situazione allarmante. Poiché il concetto di ambiente e il suo rapporto con la vita saranno alla base di tutto ciò che ho da dire (e in effetti, penso che sia centrale per l’intero simposio), vorrei all’inizio ricordarvi parte della storia iniziale di questo pianeta.
Vorrei parlare di quell’ambiente strano e apparentemente ostile che, tuttavia, ha dato origine a un evento forse unico nel nostro sistema solare: la vita. Naturalmente, i nostri pensieri su questo devono essere ipotesi speculative; ma nondimeno esiste un accordo abbastanza ampio tra geologi, astronomi, geochimici e biologi sulle condizioni che dovevano prevalere poco prima che la vita apparisse sulla terra.
Erano, ovviamente, molto diversi da quelli dei giorni nostri.
Dobbiamo ricordare, ad esempio, che l’atmosfera probabilmente non conteneva ossigeno; e per questo motivo non poteva esserci uno strato protettivo di ozono nell’atmosfera superiore. Di conseguenza, tutta l’energia dei raggi ultravioletti del sole deve essere caduta sul mare; e là nel mare, come sappiamo, c’era abbondanza di semplici composti chimici. Questi includevano anidride carbonica, metano e ammoniaca, a portata di mano per la complessa serie di combinazioni e sintesi che devono essersi verificate. (…)
Per quanto riguarda la nostra attuale conoscenza, da nessun’altra parte nel sistema solare si sono verificate condizioni ugualmente ospitali per la vita. Questa terra, quindi, presentava un ambiente di straordinaria idoneità; e la vita è una creazione di quell’ambiente. Non appena la vita è stata creata, ha cominciato ad agire sull’ambiente. I primi organismi simili a virus devono aver ridotto rapidamente le scorte di nutrienti alla deriva in quell’oceano primitivo.
Ma più importante fu il cambiamento che ebbe luogo non appena le piante iniziarono il processo di fotosintesi. Un sottoprodotto di questo processo è stato il rilascio di ossigeno nell’atmosfera. E così, gradualmente, nel corso di milioni anzi miliardi di anni, la natura dell’atmosfera è cambiata; e l’aria che respiriamo oggi, con la sua ricca percentuale di ossigeno, è una creazione della vita.
(…) Da tutto ciò possiamo generalizzare che, dall’inizio del tempo biologico, c’è stata la più stretta interdipendenza possibile tra l’ambiente fisico e la vita che esso sostiene. Le condizioni sulla giovane terra hanno prodotto la vita; la vita, allora, modificò subito le condizioni della terra, così che quell’unico atto straordinario di generazione spontanea non si poté ripetere. Da allora, in una forma o nell’altra, l’azione e l’interazione tra la vita e ciò che la circonda sono andate avanti.
Questo fatto storico ha, credo, più di un significato accademico. Una volta che lo accettiamo, vediamo perché non possiamo impunemente compiere ripetuti assalti all’ambiente così come facciamo ora. Lo studioso serio della storia della Terra sa che né la vita né il mondo fisico che la sostiene esistono in piccoli compartimenti isolati. Al contrario, riconosce la straordinaria unità tra organismi e ambiente. Per questo sa che le sostanze nocive rilasciate nell’ambiente tornano col tempo a creare problemi all’uomo.
La branca della scienza che si occupa di queste interrelazioni è l’Ecologia; ed è dal punto di vista di un ecologista che desidero considerare i nostri moderni problemi di inquinamento. Per risolvere questi problemi, o anche solo per non esserne sopraffatti, abbiamo bisogno, è vero, dei servizi di molti specialisti, ciascuno interessato a qualche particolare aspetto dell’inquinamento.
Ma dobbiamo anche vedere il problema nel suo insieme; guardare oltre l’evento immediato e unico dell’immissione di un inquinante nell’ambiente, e tracciare la catena di eventi che questo mette in moto. Non dobbiamo mai dimenticare la totalità di questa relazione. Non possiamo pensare solo all’organismo vivente; né possiamo pensare all’ambiente fisico come a un’entità separata. I due esistono insieme, agendo ciascuno sull’altro per formare un complesso ecologico o un ecosistema.
Non c’è nulla di statico in un ecosistema; succede sempre qualcosa. Energia e materiali vengono ricevuti, trasformati, emessi. La comunità vivente si mantiene in un equilibrio dinamico, piuttosto che statico. Eppure questi concetti, che suonano così fondamentali, vengono dimenticati quando affrontiamo il problema dello smaltimento della miriade di rifiuti del nostro stile di vita moderno. Ci comportiamo non come persone guidate dalla conoscenza scientifica, ma più come la proverbiale cattiva governante che spazza lo sporco sotto il tappeto nella speranza di perderlo di vista.
Scarichiamo rifiuti di ogni genere nelle nostre acque, con l’obiettivo di farli portare via lontano dalle nostre coste. Scarichiamo nell’atmosfera il fumo e le esalazioni di un milione di ciminiere e cumuli di immondizia in fiamme, nella speranza che l’oceano d’aria sia in qualche modo abbastanza vasto da contenerli. Ora, anche il mare è diventato una discarica, non solo di rifiuti assortiti, ma anche dei rifiuti velenosi dell’era atomica. E questo viene fatto, ripeto, senza riconoscere il fatto che l’introduzione di sostanze nocive nell’ambiente non è un processo ad un’unica fase. Sta cambiando la natura del complesso sistema ecologico e lo sta cambiando in modi che di solito non prevediamo fino a quando non è troppo tardi.
Questa mancanza di lungimiranza è una delle complicazioni più gravi, credo. Ricordo che Barry Commoner ha sottolineato, in un discorso magistrale alla Conferenza sull’inquinamento dell’aria a Washington lo scorso inverno, che raramente, se non mai, valutiamo i rischi associati a un nuovo programma tecnologico prima che venga messo in atto. Aspettiamo che il processo si sia integrato in un vasto impegno economico e politico, e allora è praticamente impossibile modificarlo.
Ad esempio, sicuramente sarebbe stato possibile determinare in laboratorio come si sarebbero comportati i detergenti una volta immessi nelle reti idriche pubbliche; prevedere la loro natura quasi indistruttibile. Ora, dopo anni di utilizzo nella lavastoviglie e nella lavatrice di ogni donna, il processo di conversione ai detersivi “morbidi” sarà lungo e costoso.
Quindi il nostro approccio all’intero problema è pieno di errori. Abbiamo insistito Abbiamo persistito troppo a lungo nel tipo di pensiero che poteva essere appropriato ai tempi dei pionieri, ma non lo è più: il presupposto che i fiumi, l’atmosfera e il mare siano abbastanza vasti da contenere qualunque cosa vi versiamo. Ricordo che non molto tempo fa ho sentito uno scienziato presumibilmente capace, il direttore di una delle nostre istituzioni agricole, parlare con disinvoltura della “diluizione dell’inquinamento”, ripetendo questa frase magica come se fornisse la risposta a tutti i nostri problemi. Non lo fa. (…)
La questione del danno genetico da elementi nocivi nell’ambiente è un argomento che mi interessa particolarmente. Altrove ho suggerito che i pesticidi chimici dovrebbero essere visti con grande sospetto come possibili agenti di danno genetico per l’uomo. Questo suggerimento è stato contestato da alcuni sulla base del fatto che non ci sono prove che queste sostanze chimiche stiano avendo un tale effetto. Non credo che dovremmo aspettare qualche dimostrazione drammatica prima di fare uno studio approfondito del potenziale effetto genetico di tutte le sostanze chimiche che sono ampiamente introdotte nell’ambiente umano.
Quando una tale scoperta verrà fatta in qualche modo, sarà troppo tardi per sradicarli. Alcuni dei prodotti chimici attualmente in uso come erbicidi e insetticidi hanno effetti mutageni sugli organismi inferiori. Altri hanno la capacità di causare danni cromosomici o un cambiamento nel numero di cromosomi e, come sapete, questo tipo di anomalia cromosomica può essere associata a un’ampia varietà di difetti congeniti nell’uomo, compreso il ritardo mentale. Penso che dovremmo testare i pesticidi chimici su molti degli organismi che si riproducono rapidamente e quindi si prestano a esperimenti genetici. Se poi le sostanze chimiche si rivelano mutagene, o altrimenti dannose per i sistemi genetici in una varietà di organismi sperimentali, allora penso che dovremmo ritirarle dall’uso.
Non sono impressionata dall’argomentazione secondo cui potrebbero non avere effetti simili nell’uomo. Del resto, la scienza della genetica è stata fondata quando un oscuro monaco austriaco eseguì alcuni esperimenti sui piselli da giardino; e le leggi ereditarie fondamentali da lui scoperte si sono dimostrate generalmente applicabili sia alle piante che agli animali.
(…) Vi chiedo di ricordare il clamore che seguì all’annuncio di Charles Darwin delle sue teorie sull’evoluzione. Il concetto dell’origine dell’uomo da forme preesistenti è stato caldamente ed emotivamente negato, e le smentite provenivano non solo dal pubblico laico, ma anche dai colleghi di Darwin nella scienza. Solo dopo molti anni i concetti enunciati in L’origine delle specie si sono stabilmente affermati. Oggi sarebbe difficile trovare una persona istruita che negherebbe i fatti dell’evoluzione. Eppure molti di noi negano l’ovvio corollario: che l’uomo sia influenzato dalle stesse influenze ambientali che controllano la vita di tutte le molte migliaia di altre specie a cui è legato da legami evolutivi.
Trovo piuttosto affascinante ipotizzare quali paure nascoste nell’uomo, quali esperienze a lungo dimenticate, lo abbiano reso così riluttante a riconoscere prima le sue origini e poi il suo rapporto con quell’ambiente in cui tutti gli esseri viventi si sono evoluti e coesistono. Gli uomini dell’età vittoriana, alla fine, si liberarono dalle paure e dalle superstizioni che li facevano indietreggiare scioccati e sgomenti dai concetti darwiniani. E non vedo l’ora che arrivi un giorno in cui anche noi possiamo accettare la realtà della nostra vera relazione con il nostro ambiente. Credo che solo in quell’atmosfera di libertà intellettuale potremo risolvere i problemi che ci stanno di fronte ora.
Grazie.
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