Marx è ecologista? Come rileggere il comunismo (secondo un filosofo giapponese) in chiave green

Karl Marx può essere considerato uno dei precursori del pensiero ecologista? E la dottrina comunista “classica”, può essere letta come una critica anche ecologica del capitalismo?

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Karl Marx può essere considerato uno dei precursori del pensiero ecologista? E la dottrina comunista “classica”, può essere letta come una critica anche ecologica del capitalismo?
L’argomento è indubbiamente interessante, e non solo per i cultori delle teorie politiche o per gli affezionati alle ideologie del Novecento.

Kohei Saito è un trentaseienne professore di filosofia, attualmente associato all’Università di Tokyo, che ha cominciato ad appassionarsi alla questione fin dalla sua tesi di dottorato nel 2017, dedicata appunto agli “scritti ecologisti” (così li definisce lui) di Marx.

Nel 2020, con i frutti appena un po’ più avanzati delle sue ricerche, ha fatto, come si dice, “il botto” pubblicando Il capitale nell’antropocene, mezzo milione di copie vendute solo in Giappone (alla faccia di chi pensa che i giapponesi siano completamente refrattari al marxismo e al comunismo).
Ora il mondo editoriale sta aspettando il nuovo volume che presumibilmente lo consacrerà a star internazionale. Titolo: Marx nell’antropocene. Verso un’idea di comunismo della decrescita. Uscirà anche in Italia, si dice, entro l’anno.

“Di fronte alla crisi climatica globale, la critica ecologica del capitalismo di Karl Marx dimostra più chiaramente che mai la sua importanza” sostiene Saito. “Il mio libro spiega perché l’ecologia di Marx dovette essere emarginata e persino soppressa dai marxisti dopo la sua morte per tutto il ventesimo secolo”.

Oggi che l’umanità si addentra sempre più profondamente in un Antropocene perfettamente insostenibile, secondo Saito, la critica ecologista marxista ritrova tutta la sua forza e, in qualche modo, la sua urgenza.

Il punto focale dell’analisi di Saito è nelle pagine di quei nuovi materiali (scritti preparatori alle opere maggiori, epistolario completo, taccuini considerati finora di minore interesse ecc.) pubblicati nella monumentale edizione completa degli scritti marxiani (la cosiddetta MEGA, Marx-Engels-Gesamtausgabe -2) iniziata nel 1998. E’ leggendo e rileggendo quelle migliaia di pagine, non sempre piacevoli o agevoli alla comprensione, che Saito si è fatto un’idea, a suo dire originale e nuova, dell’alternativa di Marx al capitalismo come comunismo della decrescita.

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La decrescita

La parola chiave, dunque, messa in campo da Saito per argomentare una (nuova) visione critico-ecologista del marxismo, è la tanto dibattuta, amata-odiata decrescita. Obiettivo dichiarato del giovane filosofo giapponese è infatti quello di “superare il divario tra marxismo e decrescita”. Posto che “l’accumulazione infinita su un pianeta finito sia la causa principale del collasso climatico”, come scrive Saito, l’unico modo possibile per fermare il collasso climatico stesso è la riduzione dei consumi. Saito, in verità, a questo proposito più che Marx cita esplicitamente Jason Hickel, l’antropologo autore del bestseller Less Is More: How Degrowth Will Save the World.

Addentrandosi nel ragionamento, non è possibile per Saito evitare la critica classica alle teorie della decrescita: ovvero il rischio concreto, anzi la quasi certezza di negare, applicandola, a molti Paesi del Sud del mondo la possibilità di svilupparsi nel modo in cui lo ha fatto il Nord, e di farli sprofondare nella povertà assoluta ancor più di quanto non vi siano ora.

“Come molte persone impegnate nella decrescita, limito la portata dell’argomentazione al nord globale, ai paesi sviluppati come il Regno Unito, il Giappone e gli Stati Uniti” si difende Saito. “Sono ovviamente a favore della crescita per quei paesi poveri del Sud del mondo”.


In realtà la visione di Saito ruota attorno a quella che lui definisce “una nuova idea di abbondanza e progresso“. Se è ovvio e giusto che tutti gli abitanti del pianeta abbiano accesso ai beni fondamentali – elettricità, acqua, istruzione – il punto è “elaborare una visione in cui la produzione di massa, il consumo di massa e lo spreco di massa possano essere evitati”.

L’aspetto forse più interessante, e innegabile, del lavoro di Saito è la sottolineatura di come Marx avesse coltivato per tutta la sua vita di studioso interessi di tipo scientifico-naturalista, quasi allo stesso livello dei suoi interessi filosofico-economici.

“Se leggi tutti i suoi taccuini” dice Saito “ti rendi conto che Marx studia insieme la scienza naturale e la società capitalista”. Mentre avrebbe dovuto finire il volume II e III del Capitale, “in realtà studiava scienze naturali, chimica, geologia”.
Saito parla addirittura di un “crescente interesse di Marx per l’ecologia”, al culmine del quale “Marx arrivò a vedere il saccheggio dell’ambiente naturale come una manifestazione della contraddizione centrale del capitalismo”.

Accanto a questo filone di pensiero, che per molti potrà apparire sorprendente, nei taccuini di Marx scorre un’altra potente vena di interesse ed ispirazione: quella per le società precapitaliste e non occidentali.

“La società pre-capitalista aveva un modo unico di regolamentare la terra in comune”, dice Saito, “e imponeva anche varie regole sulla loro produzione e consumo che realizzavano uno stato più stabile di produzione sostenibile”.

Come mettere insieme tutte queste sollecitazioni diverse, e spesso complesse com’è nella teoria marxiana, in una sintesi divulgabile e utilizzabile, magari addirittura a livello politico?
Saito a questo punto riporta al centro del discorso il noto concetto marxiano di frattura metabolica: ovvero la disconnessione o lo squilibrio dell’interazione metabolica tra l’umanità e il resto della natura derivati della produzione capitalista, come nella scissione moderna fra città e campagna.

Niente di particolarmente nuovo, in realtà, visto che il tema della “rottura nel processo interdipendente del metabolismo sociale” è da tempo il perno del dibattito sui punti d’incontro e le familiarità “virtuose” tra marxismo e ambientalismo.

Il capitalismo organizza le “interazioni umane con i loro ecosistemi” in modo tale da creare “un grande abisso in questi processi e minaccia sia umani che non umani”, dice Saito.

E’ lecito però, in una visione marxiana, considerare la natura come soggetto autonomo e non come entità ormai completamente trasformata dal capitalismo?

Secondo Saito sì. Se l’Antropocene è un fatto certo e incontrovertibile, sicché “l’intero pianeta è ora completamente trasformato dalle nostre attività economiche”, la non distinzione tra natura e società ci può portare a ritenere che i problemi ambientali possano essere superati attraverso un intervento, per così dire, più umano.

E’ necessario, secondo Saito, mantenere chiara la distinzione tra “ciò che non possiamo cambiare” – come gli aumenti di temperatura dovuti alla CO2 e le naturali reazioni a catena che ne derivano – e “ciò che possiamo e che dobbiamo fare con urgenza. Per esempio verso l’industria dei combustibili fossili”.

Questo sembra essere, in effetti, l’aspetto più innovativo della rilettura marxista (e non solo marxiana) del filosofo giapponese. Se la declinazione del marxismo nei sistemi politici e di governo del Novecento ha predicato e attuato “il dominio sulle persone e sulla natura”, creando sistemi in cui “la tecnologia è per la disciplina e il monopolio”, le tecnologie “aperte”, cioè democraticamente fruite e gestite, possono essere la soluzione ampiamente preferibile.

Come conciliare questa visione con lo statalismo classico che il marxismo porta con sé, e senza il quale parrebbe perdere la sua stessa identità? Su questo Saito fa un po’ di quella che nel calcio di una volta si chiamava “melina”. E’ più interessato, invece, a chiamare ad una protesta sempre più radicale le organizzazioni politiche e civili che già si battono per la sfida ambientale.


“”Spero che gli anni 2020 e 2030 diventino molto più turbolenti con l’aggravarsi della crisi”, dice Saito, dimostrando un certo spirito combattivo e quasi rivoluzionario, mescolato forse con qualche suggestione da samurai. E si augura che “la quantità di proteste radicali cresca e che i cambiamenti nei nostri valori continuino ad accelerare”.


La sua opera di filosofo e divulgatore marxiano tende proprio a questo: “Voglio offrire qualcosa a questi movimenti di protesta per il cambiamento. Ho provato a mostrare perché è necessario criticare il capitalismo, e perché il socialismo o il comunismo possono essere delle basi più solide anche per la loro lotta”.

Kohei Saito

Marx in the Anthropocene. Towards the idea of degrowth communism

Cambridge University Press, 2023.

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Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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