Cose da sapere sui Green Bond europei

Si chiama EUGBS. E' la regolamentazione stringente che la UE ha dato alle "obbligazioni verdi". Vediamo in cosa consiste.

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Green bond “europei”, la genesi

La genesi dei Green Bond europei risale al giugno del 2019, quando il Technical Expert Group, in un suo rapporto, propose la creazione di un EU Green Bond Standard europeo (EUGBS). L’obiettivo era quello di migliorare la trasparenza del mercato e la comparabilità dei prodotti, al fine di aumentare il volume degli investimenti.

Lo standard proposto è semplice: tutte le risorse raccolte mediante l’offerta di un EUGB avrebbero dovuto essere utilizzate esclusivamente per finanziare progetti green. Il soggetto emittente dovrebbe per questo pubblicare un “Green Bond Framework”, certificato a sua volta da un soggetto esterno, contenente informazioni precise sull’utilizzo delle risorse raccolte, sulla strategia seguita e sui processi.

La proposta di regolamento

Sulla scorta di questo rapporto tecnico, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento sui green bond, preceduta da una pubblica consultazione. Il provvedimento riguarda tutti gli emittenti, sia pubblici che privati, che intendono su base volontaria utilizzare la qualifica di “European Green Bonds” o “EUGBS”. Questi gli scopi dichiarati:

  • supportare gli investimenti nell’identificazione e nell’affidabilità della qualità dei green bonds;
  • agevolare l’emissione di obbligazioni verdi di qualità superiore, fornendo le definizioni delle attività economiche e dei progetti sostenibili a livello ambientale a cui destinare i proventi;
  • standardizzare le attività di revisione esterna e migliorare l’affidabilità dei revisori esterni con l’introduzione di un regime volontario di registrazione e supervisione.

Sul piano concreto, la proposta prevede:

– l’utilizzo dei proventi dell’emissione di green bond per il finanziamento (o rifinanziamento) di determinate attività ammissibili, incluse determinate attività finanziarie;

– l’obbligo in capo agli emittenti di titoli green di redigere una scheda informativa (factsheet) nella quale andranno indicate, tra l’altro, le modalità di utilizzo dei proventi e le attività finanziabili. Questa scheda informativa sarà oggetto di revisione da parte di un revisore esterno che ne verificherà la conformità con i requisiti previsti dal Green Bond Standard Europeo;

– l’obbligo per gli emittenti di redigere un report annuale in merito all’allocazione dei proventi dell’emissione, che dovrà anch’esso essere sottoposto al vaglio di un revisore esterno;

– l’obbligo per gli emittenti di predisporre un report, secondo un modello predefinito, sull’impatto ambientale derivante dall’utilizzo dei proventi.

Sul campo sono poi scese anche le autorità di vigilanza e di supervisione europee. Il primo intervento significativo è stato quello dell’European Banking Authority (EBA) che, a fine 2019, ha pubblicato l’”Action Plan on Sustainable Finance”: importante perché delinea una road map per l’applicazione dei principi di sostenibilità a livello europeo, con la definizione delle aree (strategia di medio-lungo periodo e risk management; trasparenza; analisi di scenario e prove di stress; trattamento prudenziale) su cui le banche dovrebbero concentrare la loro attenzione.

I documenti

Nel 2021, l’EBA ha promosso la pubblicazione di due documenti importanti.
Il primo è una “opinion” riguardante i cosiddetti “indicatori chiave di prestazione” (Key Performance Indicator, KEY) e la relativa metodologia per la divulgazione da parte delle istituzioni finanziarie di informazioni su come e in che misura le loro attività si qualificano come sostenibili dal punto di vista ambientale. Nel documento l’EBA propone il Green Asset Ratio (GRA), affiancato da altri indicatori di performance, che individua gli asset che finanziano attività sostenibili in coerenza con il Green Deal europeo e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Il secondo documento è un report sulla gestione e la supervisione dei rischi ESG per gli enti creditizi e le imprese di investimento.
Si tratta di un paper importante per diversi motivi: fornisce la definizione di rischio ESG; delinea l’impatto che i fattori ESG possono avere sulle controparti o sulle attività oggetto di investimento delle istituzioni finanziarie, con conseguente ripercussione sui rischi finanziari; descrive gli indicatori quantitativi e qualitativi disponibili, le metriche e i metodi di valutazione necessari per un’efficace gestione dei rischi ESG; raccomanda alle istituzioni finanziarie di integrare i rischi ESG all’interno delle strategie aziendali, negli obiettivi, nelle strutture di governance, nonché di elaborare metodologie e approcci per verificare la loro resilienza a lungo termine rispetto ai rischi ESG.

Da parte sua, la Vigilanza della Banca centrale europea (BCE) ha condotto nel 2021 un test di stress sul rischio climatico. Sono state coinvolte oltre 4 milioni di imprese non finanziarie in tutto il mondo e 1.600 banche dell’area dell’euro. L’obiettivo era stimare le ricadute sugli operatori dei costi legati a calamità e transizione energetica nei prossimi 30 anni.

I risultati

I risultati del test sono in qualche modo impressionanti. Le imprese ubicate in regioni altamente esposte al rischio di disastri naturali e quelle appartenenti ai settori ad alto consumo di energia ed elevata produzione di CO2 potrebbero essere soggette al rischio climatico fino a quattro volte in più rispetto all’impresa media.
Il dato però ancora più importante è che nel medio e lungo periodo i benefici di una transizione tempestiva superano i costi di breve periodo derivanti dalla riduzione delle emissioni di carbonio necessaria per convergere verso un’economia a zero emissioni.

Da G.T.M.
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