Green Deal contro spese militari: guerra e sostenibilità possono coesistere?

Un mondo in guerra: con focolai sparsi ovunque e la paventata – ma mai auspicata – Terza Guerra Mondiale (come avverte anche Papa Francesco), quali chance restano per la sostenibilità globale?

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Guerra e sostenibilità

Che sia, o meno, già in atto la Terza Guerra Mondiale come sostengono da tempo molti
(fra essi Papa Francesco), o che i focolai di conflitti accesi nel mondo possano considerarsi
delle contese militari regionali non (ancora) inquadrabili in una prospettiva di scontro
globale, è un fatto che il pianeta – visto da un ipotetico satellite in grado di rilevare tutti
questi focolai – pare proprio essere in guerra.

Può dunque un mondo che brucia in ormai innumerevoli conflitti, grandi e meno grandi,
portare avanti con una qualche speranza di efficacia gli obiettivi di sostenibilità che si è
dato nelle assise internazionali, per cercare di invertire la rotta di un degrado ambientale
potenzialmente distruttivo per la specie umana e per la sopravvivenza sul suo stesso
pianeta?

Vediamo come gli esperti inquadrano la questione, e che risposte ci forniscono su questo
drammatico issue.

Green Deal contro spese militari

Partiamo dal Green Deal europeo, cioè il quadro di riferimento sulla sostenibilità che ad
oggi resta il più completo e strutturato a livello mondiale.

Come sappiamo, il Green Deal europeo mira a rendere l’UE neutrale dal punto di vista
climatico entro il 2050, concentrandosi sulla riduzione delle emissioni di gas serra del 55%
entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Comprende politiche in materia di energie rinnovabili, economia circolare, mobilità
sostenibile, biodiversità ed eliminazione dell’inquinamento. La loro applicazione richiede
massicci investimenti significativi in tecnologie verdi, infrastrutture e cooperazione
internazionale.

Ora mettiamo accanto, per così dire, al “pacchetto” Green Deal quello, altrettanto
cospicuo delle attività militari di tutti i Paesi del mondo.
Le attività militari sono intrinsecamente ad alta intensità di risorse, oltre che dannose per
l’ambiente. Sono infatti responsabili di circa il 5,5% delle emissioni globali di gas serra, il
settore militare essendo uno dei maggiori consumatori di combustibili fossili a livello
mondiale.

Prendiamo ad esempio l’esercito statunitense. Sapevate che la US Army è il principale
consumatore di combustibili fossili a livello globale?
E’ ovvio poi che il complesso di operazioni militari effettuate ai quattro angoli del mondo
genera inquinamento chimico, attraverso lo spargimento di sostanze tossiche, l’uso di
attrezzature pesanti e lo spostamento di terre.

La guerra in Ucraina è un esempio a suo modo perfetto e indiscutibile di come le tensioni
geopolitiche possano ostacolare il progresso verso gli obiettivi di sostenibilità.
Essi, a tutt’oggi, sono stati riassunti in questo modo:

Impatti ambientali

  • Emissioni di Gas Serra: la guerra ha prodotto finora oltre 229 milioni di tonnellate di
    CO2 equivalenti, un aumento del 31% negli ultimi 12 mesi, equivalente alle
    emissioni annuali di Austria, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia messe insieme.
  • Incendi Boschivi: gli incendi boschivi, spesso causati da esplosioni e attacchi di droni,
    hanno bruciato una superficie doppia rispetto alla media degli anni precedenti,
    contribuendo all’inquinamento dell’aria.
  • Inquinamento dell’Acqua e del Suolo: i bombardamenti di siti industriali e le
    esplosioni hanno rilasciato sostanze chimiche tossiche nell’acqua e nel suolo,
    contaminando risorse vitali e mettendo a rischio la salute umana e animale.
  • Danni alle Aree Naturali Protette: circa il 20% delle aree naturali protette
    dell’Ucraina sono state danneggiate, con 3 milioni di ettari di foresta colpiti
    direttamente o situati in zone di combattimento.

Impatti sulla sostenibilità

  • Rischi per la Salute: L’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo aumenta i rischi
    per la salute pubblica, sia a breve che a lungo termine.
  • Insicurezza Alimentare: la guerra ha compromesso il settore agricolo ucraino,
    essenziale per l’economia del Paese e la sicurezza alimentare globale, a causa della
    contaminazione del suolo e della distruzione delle infrastrutture.
  • Quest’ultimo punto riguarda anche noi direttamente. Noi che viviamo a migliaia di
    chilometri di distanza dal fronte ucraino, ma che importiamo materie prime alimentari da
    quelle terre.
    Per quanto le autorità internazionali si sforzino di dirci che il grano ucraino – che
    continuiamo ad importare – sia assolutamente esente dalle contaminazioni…

spesa militare e spesa per l’ambiente

  • C’è poi una chiara correlazione (negativa) a livello di spesa pubblica tra guerre e ambiente.
    Il dato è incontrovertibile: i Paesi che spendono di più per il settore militare tendono a
    destinare meno risorse ai finanziamenti per il clima e la sostenibilità ambientale.

Detto in altri termini, l’aumento delle spese militari sottrae fondi ad altri settori cruciali:
sanità, istruzione e transizione ecologica. Lo scontro politico di queste settimane dopo
l’annuncio del Rearm Europe verte proprio su questo.

A tutt’oggi – e nel pieno del dibattito sull’incremento dei fondi per il “riarmo” europeo –
per l’anno corrente le spese militari italiane sono previste a 32 miliardi di euro, con un
aumento del 12,4% rispetto al 2024 e del 60% rispetto al decennio precedente.

Sempre restando all’Italia, il confronto mostra una netta disparità tra le spese militari e
quelle dedicate all’ambiente e alla sostenibilità. Mentre le spese militari raggiungono
com’è detto i 32 miliardi di euro, gli incentivi specifici per la sostenibilità energetica sono di
soli 232 milioni di euro (cui si devono aggiungere le misure ambientali previste nella legge
di bilancio 2025, che non hanno però un budget totale e preciso). Meno di un centesimo,
in proporzione.

Ma c’è di più. E’ ormai provato che investire in armi non genera lo stesso ritorno
economico rispetto ad altri settori.
Gli economisti hanno calcolato che mille milioni di euro spesi per armi generano solo 741
milioni di euro di aumento della produzione interna.

Chi ci guadagna, ovviamente, è sempre e solo l’industria degli armamenti, o quella ad essa
correlata.

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Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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