COP29: Sfide climatiche globali tra ambizioni e contraddizioni

A Baku si discute di finanziamenti, transizione energetica e resilienza, ma le assenze eccellenti e il ruolo dei lobbisti fanno riflettere.

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immagine by :[samurkas] © 123RF.com

I vertici COP (siamo arrivati a quota 29) servono ancora?

Ha senso organizzarli in un Paese ospitante che non solo è un convinto produttore ed esportatore di petrolio, ma ha standard inaccettabili di rispetto dei diritti umani? 

E quanto fa un trilione di dollari, i soldi che servono all’anno per mitigare gli effetti disastrosi del cambiamento climatico solo nei Paesi in via di sviluppo?

Sono alcune delle principali domande “non ufficiali” che ruotano attorno all’odierna COP 29 in svolgimento, come tutti sanno, a Baku in Azerbaigian. 

L’agenda degli incontri e dei temi trattati è, come sempre, ricca e ambiziosissima.

Si va dal Vertice sull’Azione Climatica dei Leader Mondiali, al cosiddetto “finanziamento climatico”, al rapporto tra la transizione energetica e la risoluzione dei conflitti internazionali nelle zone di guerra, alla digitalizzazione, al capitale umano ovvero l’importanza di coinvolgere bambini e giovani nelle politiche climatiche, all’agricoltura, all’urbanizzazione, ai trasporti, al turismo (il tema dell’overtourism sembra centrale nel panel). Fino ai fatidici negoziati finali, che nelle COP sono il momento più importante e delicato: gli impegni concreti che gli Stati prendono per affrontare le sfide climatiche. E poi arrivederci alla COP 30, in Brasile.

Di fronte a questo menu di sfide audaci, la realtà del vertice già dalle sue premesse ha mostrato non poche criticità.

A cominciare dalla scelta del Paese organizzatore, che influisce non poco sull’andamento della COP (lo si è già visto in passato).

L’Azerbaigian ha scelto di ospitare la COP29 per migliorare la propria immagine internazionale, minata dalla corruzione e dalle violazioni dei diritti umani?
E poi, il suo ruolo di importante produttore di petrolio e gas potrà influire sulla “direzione” che i lavori prenderanno, evitando il più possibile di focalizzarsi sulla transizione dai combustibili fossili e concentrandosi invece su temi come lo stoccaggio dell’energia o la riduzione delle emissioni di metano?

Seconda criticità: le assenze di rilievo, che risaltano chiaramente sin dal primo giorno. Manca il Presidente (ancora per poco) degli Stati Uniti Joe Biden, e su questa scelta non si può non essere d’accordo, visti i proclami di un cambio di rotta a 180 gradi della nuova amministrazione Trump 2 (della serie: che cosa veniamo a fare? Ha pensato Joe).

Manca però anche il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, che a casa ha non pochi problemi anzi è quasi dimissionario. Così il Presidente francese Emmanuel Macron, questi per ragioni meno chiare.

Altra criticità: la COP si sta trasformando in una passerella per star mondiali di svariate discipline e ambiti, che sono planati su Baku coi loro voli privati riempiendo l’aria di emissioni di carbonio. A che pro, per esempio, Ronaldinho è arrivato alla COP 29?

Quest’ultimo punto è meno folkloristico di quel che si pensi. Ha invece a che fare con il fatto che le COP, nonostante l’intento dichiarato di combattere il lobbying dei combustibili fossili (o forse proprio per questo) sono un appuntamento imperdibile proprio per i lobbisti dei combustibili fossili.

Dalla COP 26 in Scozia (503 lobbisti) a quella in Egitto fino (ovviamente) alla COP in Qatar, il numero dei lobbisti dichiarati è aumentato a dismisura, toccando quota 2.400 e passa.
Curioso, no? Nel luogo in cui si dovrebbe decretare la fine del petrolio e del gas come combustibile. E’ un po’ come se alla convention di Tutti i Santi in assemblea nel Paradiso ci fossero i diavoli ad apparecchiare la tavola…

Ma vediamo di cosa si sta discutendo in questi primi giorni (si va avanti fino al 22 novembre).

La finanza climatica, si è detto. La discussione è incentrata sulla definizione di un nuovo finanziamento globale per i paesi in via di sviluppo nel processo di adattamento ai cambiamenti climatici.
Poiché appunto le COP si fanno per darsi obiettivi concreti, si è parlato di un target di almeno un trilione di dollari all’anno (mille miliardi) per aiutare significativamente i Paesi in via di sviluppo. Il costo totale, invece, stimato per raggiungere gli obiettivi climatici a livello mondiale è lievitato, secondo le stime, alla non trascurabile cifra di 6.500 miliardi di dollari all’anno in media, fino al 2030. Tutto molto ambizioso, soprattutto nell’orizzonte di una amminstrazione Trump che sarà sicuramente felicissima di aprire i cordoni della borsa per questo.

L’adattamento e la resilienza al climate change. Bisogna trovare nuove ed efficaci strategie soprattutto per le nazioni più vulnerabili. In questa COP 29 è emerso fin da subito il dramma che stanno vivendo i piccoli stati insulari. Per loro non c’è più tempo: l’apocalisse climatica è già iniziata.

In conclusione, l’impressione degli esperti è quella che, di veramente decisivo in questa COP 29, sarà il ruolo ricoperto dal classico “convitato di pietra”. E chi può essere se non la Cina di Xi Jinping?
Xi che al vertice non si farà vedere, ma che ha mandato il suo delegato alle questioni del clima, Liu Zhenmin. Con quale mandato, ci si chiede?

Quello di trovare un’intesa tra il colosso asiatico e l’Europa, si spera. Questo sembra essere, a detta degli operatori del settore, il vero nodo, più ancora della temuta presidenza Trump negli USA.

“Gli USA non hanno mai guidato la transizione, e non l’avrebbero fatto neanche con Harris e i Democratici” sostengono molti. “Il rapporto dell’Europa, che comunque è e resta capofila del cambiamento, con Pechino è quello fondamentale”.
Anzi, ragionando in termini geopolitci (per quanto sia possibile a noi comuni mortali) proprio una politica di dazi americani verso il resto del mondo, quindi in primis verso la Cina e l’Europa, potrebbe spingere i due amanti ripudiati da Donald ad intessere un nuovo e più stretto flirt economico-commerciale.
Insomma, i soldi ci sarebbero, e comunque si possono trovare (come sempre è successo nelle emergenze). Ci vuole la volontà di almeno due o più attori principali di spenderli. Staremo a vedere.

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Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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