Plastica nel mare: un killer silenzioso per l’ecosistema subacqueo

La plastica ha ormai invaso i nostri mari, producendo effetti disastrosi sull’ecosistema subacqueo. Che possiamo fare per evitare che le nostre acque finiscano per ospitare più plastica che pesci?

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Oggigiorno, uno dei più grandi rischi per l’intero pianeta è senza dubbio rappresentato dall’inquinamento da plastica. Questo materiale, inventato a fine Ottocento dal chimico inglese Alexander Parkes, fu inizialmente una scoperta rivoluzionaria. La plastica, infatti, grazie alla sua leggerezza, versatilità e resistenza, ha contribuito a trasformare innumerevoli settori, dalla medicina fino all’imballaggio, passando per l’elettronica e per i trasporti. Tuttavia, le medesime qualità si sono rivelate, in seguito, fatali per il pianeta.

Isole oceaniche… di plastica!

La maggior parte della plastica prodotta fino a oggi non è, infatti, biodegradabile: questo significa che persiste nell’ambiente per centinaia di anni, dissolvendosi via via in microplastiche che si diffondono ovunque, mari e oceani compresi.

Ci sarà, del resto, certamente capitato di imbatterci in qualche busta di plastica mentre nuotiamo o ci godiamo una gita in barca, ma sicuramente facciamo fatica a immaginarci quanta plastica finisce realmente in mare. Per avere giusto un’idea basti pensare che negli oceani, a causa delle correnti, si sono formate in questi ultimi anni vere e proprie isole fatte di questo materiale!

La più grande ha persino un nome: Great Pacific Garbage Patch, traducibile in italiano con grande appezzamento di immondizia del Pacifico, e si estende per un’area di circa 1,6 milioni di chilometri quadrati. Solo al pensiero, vengono i brividi…

Ma come arriva la plastica in mare?

Come fanno, però, a crearsi intere isole di plastica nei nostri mari? I motivi sono molteplici: in primis, purtroppo capita ancora che i rifiuti vengano gettati direttamente nelle acque. In secondo luogo, la plastica che si accumula sulla terraferma è trasportata verso il mare da fiumi, spiagge e vento.

Altre cause derivano dalle attività marittime, come il trasporto di merci, il turismo e, soprattutto, la pesca. Le reti da pesca abbandonate rappresentano, ad esempio, una delle maggiori minacce per l’ecosistema subacqueo, poiché continuano a intrappolare e, di conseguenza, uccidere animali.

Infine, anche le attività industriali giocano un ruolo significativo: spesso, infatti, a finire in mare sono le microplastiche derivanti da processi produttivi o dalla degradazione di prodotti in plastica più grandi (come pneumatici e tessuti sintetici).

Un killer silenzioso

Ora, tutte queste tonnellate di rifiuti che finiscono nei nostri oceani quanti danni possono fare? La risposta non è confortante. La plastica è, infatti, un vero e proprio killer silenzioso per l’ecosistema subacqueo. Paradossalmente, se si continua così, finiremo per avere in mare più plastica che pesci!

Ogni anno, infatti, milioni di animali marini muoiono a causa della plastica, poiché la ingeriscono scambiandola per cibo. Tra le specie più colpite, ci sono le tartarughe marine, che per sopravvivere si nutrono di meduse. Ora, abbiamo tutti presente com’è fatta una medusa. Pensiamo adesso a una busta di plastica che galleggia in acqua: non è terribilmente simile? Purtroppo sì, e lo è anche per le tartarughe che, pensando di mangiare una medusa, ingeriscono invece veleno. Altre volte, questi splendidi animali rimangono incastrati in pezzi di plastica, rischiando di rimanere soffocati o di ferirsi e infettarsi.

E attenzione! Pensare che tutto questo avvenga molto lontano da noi, in remoti angoli d’oceano, è un errore. Anche lungo le coste del nostro caro Mediterraneo, migliaia di tartarughe “caretta caretta” sono costantemente minacciate dalla plastica. Il problema è serio: in molte oasi naturalistiche della nostra Penisola, negli ultimi anni, sono, infatti, nati centri di recupero per tartarughe e fauna marina. Un esempio lodevole è l’Area Marina Protetta di Torre Guaceto, in Puglia, che si occupa proprio di salvare e di restituire al mare le caretta caretta.

Ma non è finita qui: la plastica, purtroppo, danneggia gravemente anche gli habitat marini. Le reti da pesca fantasma di cui abbiamo parlato prima, ad esempio, possono distruggere barriere coralline e praterie di posidonia, alga considerata un polmone per il mare, fondamentale per il suo equilibrio.

L’accumulo di plastica nei fondali altera, poi, la struttura dei sedimenti marini, compromettendo la vita di numerose specie che in quei sedimenti ci vivono, quali stelle marine o crostacei. Insomma, sempre più plastica, sempre meno pesci…

Le conseguenze sull’uomo

Tutto ciò, oltre a distruggere i nostri mari, distrugge anche la nostra salute! Ci dicono, infatti, di mangiare tanto pesce, viste le sue proprietà benefiche per l’uomo, ma se i pesci mangiano la plastica, noi di conseguenza che mangiamo?

Inoltre, se la biodiversità marina continua a impoverirsi a causa dei rifiuti, di che cosa vivranno le comunità costiere dipendenti dalla pesca?

Infine, riusciremo ancora, in futuro, a goderci un bel bagno in acque incontaminate e cristalline o a prendere il sole su spiagge bianche? O dovremo fare lo slalom tra sacchetti e bottigliette di plastica?

Cosa può fare ognuno di noi?

Sebbene la situazione sia critica, la speranza è l’ultima a morire. Chiaramente, per risolvere il problema della plastica in mare servono azioni globali coordinate e interventi governativi concreti, ma anche ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare la sua parte. Come?

  1. Riducendo la plastica monouso: basta bottigliette di plastica, meglio una borraccia non usa e getta. La spesa? Portiamoci da casa un sacchetto in tessuto. Ne esistono anche di pieghevoli, che stanno persino nelle borse più piccole. Se prendiamo una bibita, facciamo a meno della cannuccia o chiediamone una biodegradabile;
  2. Riciclando: facciamo la raccolta differenziata? La facciamo bene? Se abbiamo dei dubbi rivolgiamoci al nostro Comune, che solitamente fornisce dépliant esplicativi;
  3. Riutilizzando: il contenitore di plastica è in buono stato? Non gettiamolo, possiamo riutilizzarlo per altri scopi;
  4. Pulendo: se troviamo plastica in mare, sulle spiagge, o per terra, cerchiamo di non lasciarla lì, ma di buttarla negli appositi bidoni;
  5. Sensibilizzando: se vediamo qualcuno che non smaltisce i rifiuti nel modo corretto, cerchiamo di non girarci dall’altra parte, con garbo e cortesia proviamo a fargli capire il danno che fa a lui stesso e al nostro pianeta. 

Insomma, al di là di quello che ogni governo può fare per arginare il problema, ciascuno di noi è responsabile e, grazie a questi piccoli gesti quotidiani, che non costano chissà che sforzo, può fare la sua parte… magari qualche tartaruga un giorno ringrazierà!

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Da G.T.M.
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