Che cosa c’è di più bello che camminare, nella bella stagione, con il proprio miglior amico a quattro zampe nel cuore della natura: in un’area protetta, in una riserva o addirittura lungo i sentieri di un Parco nazionale?
E’ un’esperienza capace di appagare i sensi e lo spirito come poche altre. E non solo per noi umani, ma sicuramente anche per loro, i nostri cani.
Eppure, non molti forse sanno che entrare in un’area di alto valore ambientale con il proprio animale necessita di alcune precauzioni importanti. Per noi; per il nostro cane; e soprattutto per l’ambiente che ci ospita.
Perché non vorremmo mai che l’escursione nella natura si risolvesse in qualcosa di non rispettoso della natura stessa.
Un’area protetta di alta montagna, ad esempio il bellissimo Parco Nazionale del Gran Paradiso tra Piemonte e Valle d’Aosta, è prima di tutto un territorio nato per la conservazione e la tutela della biodiversità nel suo stato naturale, al riparo dagli impatti di origine antropica, cioè dovuti all’attività e alla presenza dell’uomo.
Ci sono perciò alcune regole basilari che è bene conoscere per la frequentazione dell’uomo e degli animali domestici: il tutto al fine di minimizzarne le interferenze con la vita selvatica.
Questo riguarda, prima di tutto, il rapporto con la fauna selvatica, che nel Parco ha il suo habitat naturale e protetto.
Il cane è la specie animale che da più tempo ha abbandonato la vita selvatica per stare assieme all’uomo. Proprio per questo – senza che ne abbia alcuna responsabilità, ovviamente – è in grado di interferire negativamente con la fauna selvatica, in molti modi.
Non dimentichiamo che, In quanto discendente da una specie predatrice, il cane è ancora in grado di inseguire e uccidere specie anche di elevato valore conservazionistico. Ma con la sua semplice presenza, il suo aggirarsi attorno con la grande energia motoria e la curiosità di cui è dotato, il cane è in grado di modificare comportamento delle specie preda. Per esempio, distoglierle dall’attività di alimentazione; o addirittura attenuare in esse l’istinto antipredatorio.
Oltre a questi impatti diretti, ne esistono di tipo più indiretto ma non meno potenzialmente dannoso. Come la trasmissione di agenti patogeni; oppure le interferenze biologiche che possono essere generate dai residui di antiinfiammatori e antiparassitari, che somministriamo ai nostri cani per difenderli da malattie e parassiti. Una volta rilasciati nell’ambiente attraverso le feci provocano la distruzione di innumerevoli forme di vita selvatica.
E dunque, se la nostra meta prescelta per una camminata più o meno lunga e impegnativa con il nostro amico a quattro zampe è il Parco, queste sono le regole e le buone pratiche da seguire:
- Consultiamo preventivamente il sito del Parco o dell’area protetta, per sapere con esattezza se e dove potremo andare. Non dobbiamo rimanere delusi o irritati se leggiamo che l’introduzione dei cani nel territorio di un Parco Nazionale ad altissimo valore naturalistico (e perciò ad alta fragilità per il suo equilibrio) è vietata, magari con alcune eccezioni, come le strade di fondovalle e, limitatamente al periodo estivo tra il 15 luglio e il 15 settembre, su alcuni sentieri di accesso ai rifugi (è il caso del Parco Nazionale del Gran Paradiso).
- Teniamo sempre il cane al guinzaglio (su questo aspetto torneremo successivamente, quando parleremo della corretto comportamento con i cani nei territorio di montagna in generale).
- Raccogliamo SEMPRE gli escrementi anche se su sentiero o su sterrata, per buttarli al rientro negli appositi cassonetti;
L’esempio del PNGP (Parco Nazionale del Gran Paradiso)
La limitazione all’accesso dei cani all’interno delle aree del PNGP è legato alla possibilità di trasmissione di patogeni alla fauna selvatica.
Come spiega Liliana Costanzi, collaboratore del PNGP, “le malattie infettive sono fattori naturali di regolazione delle popolazioni di animali selvatici e alcune possono diventare una minaccia per la conservazione della fauna, soprattutto quando sono in grado di influenzare le dinamiche di popolazione delle specie colpite”.
Un gran numero di agenti patogeni può colpire i carnivori selvatici; la maggior parte di essi sono condivisi con specie domestiche, talvolta causando epidemie che comportano drammatiche riduzioni della densità di popolazione.
“Gli studi sul ruolo dei cani domestici nell’epidemiologia delle malattie più dannose per la fauna selvatica” ammette Costanzi “sono ancora pochi e la maggior parte sono stati condotti in Nord America, dove le caratteristiche ambientali, le abitudini umane, le estensioni degli habitat e, quindi, la potenziale sovrapposizione tra fauna selvatica e animali domestici sono notevolmente diverse rispetto a quelle che si verificano sulle Alpi”.
Proprio per questo, un’attenta sorveglianza sanitaria “diventa fondamentale nelle aree in cui gli animali domestici e selvatici coesistono, perché la sovrapposizione aumenta fortemente il rischio di contagi e ricadute”.
Come si è regolato in questi ultimi anni il Parco Nazionale del Gran Paradiso?
“Si è adottato” spiega Costanzi “un approccio multidisciplinare e multi-specifico al problema per identificare i possibili rischi per la conservazione della fauna selvatica legati alla presenza di cani domestici.
Si sono usati diversi strumenti diagnostici e campionamenti mirati, per valutare lo stato di salute dei cani domestici, delle volpi e di alcune specie di mustelidi che vivono nel territorio del Parco, in particolare per evidenziare la presenza di agenti patogeni che sono una minaccia per la conservazione della fauna selvatica, quali: Neospora caninum, Toxoplasma spp., Leishmania spp., Leptospira spp., Salmonella Spp. e i virus del Cimurro (CDV), Parvovirus (CPV), Coronavirus (CCV), Adenovirus (CAV), Herpesvirus (CHV) e Lyssavirus (Rabbia)”.
Nel territorio del Parco vivono numerosi cani domestici (52 cani da pastore e 25 cani da compagnia, sia di turisti sia di agenti del Corpo di Sorveglianza). “I risultati hanno mostrato che i cani che vivono e frequentano il Parco sono potenzialmente responsabili della diffusione di tre importanti agenti patogeni: il virus del cimurro canino, il Toxoplasma sp. e Neospora caninum”.
In particolare, i cani da pastore sono risultati essere la principale minaccia per lo stato sanitario
della fauna, poiché sono esposti a molteplici agenti patogeni a causa del loro stile di vita e della contaminazione degli ambienti che frequentano (stalle ed allevamenti).
Si è dimostrato tuttavia che “anche i cani da compagnia, seppur vaccinati e soggetti a regolari cure
veterinarie, possono favorire la diffusione di questi patogeni, evidenziando l’importanza della regolamentazione del loro accesso nelle aree protette, che hanno il fine prioritario di
preservare la biodiversità e migliorare la conservazione delle specie selvatiche, in particolare di
quelle minacciate di estinzione”.
Seguiamo le regole, dunque. Per il bene nostro, dei nostri cani e dell’ambiente. E se qualche volta dovessimo rinunciare a una gita a lungo sognata sulla carta, accettiamolo in nome dell’interesse superiore: l’equilibrio dell’ecosistema, che lo sappiamo bene, a volte non coincide perfettamente coi nostri desideri e le nostre abitudini consolidate.