La nascita del paesaggio – Come ha insegnato ad amare la natura

Il paesaggio è un genere artistico che fa parte della nostra cultura e tradizione. Tuttavia, è solo dagli inizi del Seicento che comincia a imporsi in tutta Europa.

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Nascita del paesaggio – Quante volte, visitando musei o gallerie, sfogliando libri di storia dell’arte, o anche solo evocando reminiscenze scolastiche, ci imbattiamo o ci rammentiamo di quadri di paesaggio? Il genere, tutt’ora piuttosto vivo e apprezzato, è del resto divenuto ormai parte della nostra cultura e tradizione, a tal punto che quando ci troviamo davanti a una veduta non ci stupiamo di certo del soggetto.

Tuttavia, non è sempre stato così, anzi, c’è voluto un po’ prima che la cosiddetta pittura “di genere”, a lungo considerata minore e di scarso interesse, conquistasse un ruolo di primo piano, affiancando la più aulica pittura “di storia”, la pittura per eccellenza, quella che trasmetteva esempi di virtù, raffigurando scene bibliche o eventi storici di particolare importanza.

Quando, dunque, la natura ha fatto il suo ingresso nel mondo dell’arte? Quando gli artisti hanno iniziato a provare una diversa sensibilità nei confronti del paesaggio?

Certamente brani paesaggistici, natura e cieli stellati sono presenti nelle opere d’arte sin dal Medioevo, tuttavia hanno sempre occupato un ruolo marginale, di sfondo per il vero soggetto della pittura. Se si osservasse ad esempio l’Ultima cena che il senese Pietro Lorenzetti affrescò nella basilica inferiore di Assisi, attorno agli anni venti del Trecento, si noterebbe un cielo stellato con tanto di falce lunare, che tuttavia non è altro che una splendida scenografia per l’ultimo pasto del Messia e degli Apostoli.

O ancora, nessuno si sognerebbe di dire che il soggetto della Nascita di Venere, dipinta a fine Quattrocento da Sandro Botticelli, sia il mare leggermente increspato alle spalle della dea, vera protagonista dell’opera.

È solo agli inizi del Seicento che il paesaggio divenne un genere autonomo, a sé stante, oltretutto da subito molto amato e in voga. I motivi che hanno portato alla sua piena affermazione sono stati diversi, tra di essi, senza dubbio, sono stati cruciali il cambiamento del gusto e della posizione sociale dell’artista.

Rispetto alla tradizione precedente, che prevedeva rigide regole di composizione dei dipinti, i pittori iniziarono, in età moderna, ad essere più liberi di sperimentare. Il loro lavoro incominciò, inoltre, a venir visto come un’arte liberale e non più meccanica; gli artisti, fino ad allora assimilati ad artigiani, divennero finalmente degli intellettuali, dei creativi, il cui estro e le cui idee vennero rispettate e celebrate.

Accanto a questa crescente libertà dell’artista, ci fu un mutamento di gusto dei collezionisti che, nel corso del XVII secolo, iniziarono a prediligere e a richiedere, per le loro dimore, scene dal carattere più popolare e naturale, meno moraleggianti, tra cui paesaggi e scene pastorali.

Tra i primissimi geniali interpreti di questo genere nella nostra Penisola fu il pittore bolognese Annibale Carracci (1560- 1609), a cui il cardinale Pietro Aldobrandini commissionò, nei primi anni del Seicento, delle lunette per la cappella del suo palazzo romano, oggi conservate alla Galleria Doria Pamphilj di Roma. Esse, visto anche l’ambiente a cui erano destinate, raffigurano scene bibliche, ma chiunque, ammirandole, può accorgersi che c’è qualcosa che non va. I personaggi appaiono, infatti, minuscoli, sopraffatti da un rigogliosissimo paesaggio che non è altro che la campagna romana dei tempi. Per la prima volta, pertanto, la natura sovrasta la storia, i personaggi diventano elemento secondario in una composizione dominata da una veduta non idealizzata, ma realistica.

L’idea, dopo la prematura morte di Annibale Carracci, fu portata avanti dai suoi allievi, quali Guido Reni o Domenichino, anch’essi autori di paesaggi ispirati ai dintorni romani, del tutto verosimili e dal carattere dolce e poetico. 

Questa visione calma e idilliaca del paesaggio, promossa dai seguaci di Carracci, non è che una delle tante declinazioni che il genere, nel corso del Seicento, assunse. Sempre più ricercato e apprezzato, esso venne, infatti, interpretato in vari modi, a seconda delle diverse sensibilità degli artisti e delle richieste di mercato. Ci fu chi propose una raffigurazione della natura più analitica e meno bucolica, chi continuò con un tono più leggero e delicato, realizzando scenette pastorali, chi approdò, infine, alla vera e propria “veduta”, e cioè, a una esatta trasposizione di ciò che si ha davanti.

Il genere della veduta ebbe enorme diffusione nella Venezia settecentesca e vide, tra i suoi massimi interpreti, Antonio Canal detto il Canaletto (1697-1768). La precisione con cui l’artista riportò sulla tela scorci della sua città è estrema, a tal punto che tutt’oggi, davanti alle sue opere, è possibile riconoscere chiese, strade e palazzi. La veduta, del resto, non è altro che una cartolina o una fotografia di qualche secolo fa, che i numerosi viaggiatori stranieri in viaggio nella nostra Penisola, potevano acquistare e portare con loro, in ricordo dei posti visitati.

Vedute, paesaggi e idilli pastorali furono, dunque, generi apprezzati e fortunati che, a partire dal Seicento, cambiarono, in maniera definitiva, l’approccio e la sensibilità nei confronti della natura, non solo degli artisti, ma anche dei collezionisti e degli amatori d’arte. Chissà, è forse anche grazie alla loro eredità se noi, ancora oggi, ci stupiamo davanti a un panorama o ci soffermiamo ad ammirare la bellezza di un luogo incontaminato?

Claudia Russo ha studiato storia dell’arte a Siena, Parigi e Bologna. Appassionata di viaggi rigorosamente culturali e di serate conviviali un po’ meno impegnate, curiosa, determinata e amante del bello, trova sempre il tempo per una buona tazza di tè e per interrogarsi, con sguardo critico, sugli avvenimenti del nostro tempo
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