VANDANA SHIVA

Intervento alla Food Otherwise Conference. Rural Sociology Wageningen University, 2014

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Frank Schwichtenberg, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons Global Citizen Festival Hamburg

Una delle donne più influenti – quasi un’icona vivente – del movimento ambientalista internazionale, Vandana Shiva è nata a Dehra Dun, nell’India del nord, nel 1952 da una famiglia di idee progressiste.

Laureata in fisica, inizialmente si occupa di filosofia della scienza, rivolgendosi soprattutto alla ricerca interdisciplinare fra filosofia, scienza e tecnologia. Da questa formazione nasce l’interesse per l’agricoltura e le politiche dell’ambiente, che diventano ben presto l’impegno primario della sua vita.

Negli anni Settanta Vandana Shiva, poco più che ventenne, aderisce al movimento femminile non violento Chipko, nato per fermare la deforestazione negli altopiani dell’India settentrionale. Chipko in hindi significa “abbracciarsi”: le donne del movimento formavano infatti un caratteristico cerchio per abbracciare gli alberi, come forma di protezione contro l’abbattimento.

Nel 1982 Vandana Shiva fonda la Research foundation for science, technology and ecology. Cinque anni dopo crea l’organizzazione Navdanya, un movimento per la difesa della sovranità alimentare, dei semi, della biodiversità e dei diritti dei piccoli agricoltori. Agricoltura biologica, commercio equo, lotta contro gli OGM sono i capisaldi della sua azione, insieme alla strenua difesa della biodiversità agricola, intesa da Vandana Shiva come intimamente legata alla diversità culturale.


Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood award, anche noto come “premio Nobel alternativo”. All’inizio degli anni Duemila la rivista americana “Time” l’ha definita un “eroe ambientale”.

Nel 2004 Vandana Shiva ha fondato Bija Vidyapeeth: l’Università dei semi, un college internazionale dedicato allo studio delle tecniche agricole biologiche e degli insetticidi naturali.

Il discorso qui riportato è stato pronunciato da Vandana Shiva nel 2014 alla Food Otherwise Conference organizzata dal dipartimento di Rural Sociology della Wageningen University in Olanda.

La Wageningen University & Research è un istituto di studi agrari punto di riferimento mondiale nel campo degli studi sul cibo e sull’ambiente; collabora con il governo olandese e altre istituzioni politiche, con le imprese e con le principali ONG.

VANDANA SHIVA – Un’altra agricoltura è possibile

Intervento alla Food Otherwise Conference. Rural Sociology Wageningen University, 21 febbraio 2014

E dunque, perché dico che abbiamo bisogno di un altro sistema alimentare e di un altro sistema di agricoltura?

Perché questo che abbiamo non aveva l’intenzione e non era stato concepito per esserlo.

Ogni strumento del sistema attuale è stato progettato per la guerra. E non avrebbe mai dovuto

entrare nel nostro sistema alimentare.

I pesticidi furono progettati per i campi di concentramento – parlo della prima generazione – e poi furono progettati per la guerra biologica e chimica. È solo quando l’industria che avrebbe dovuto chiudere dopo la guerra, decise: oh, facciamo una bella pubblicità: “Il DDT è buona cosa per me”.

Se tu guardi gli slogan pubblicitari del periodo in cui la guerra stava finendo, questi ti dicono come un’industria che si era abituata ai profitti di guerra si stava in quel momento trasformando in un’industria agro-chimica.

I fertilizzanti sintetici venivano prodotti nelle fabbriche di esplosivi. Ed ecco perché, la prossima volta che leggi di un attacco terroristico, in Afghanistan, India o Oklahoma, ci sarà una piccola scritta che dice: “bomba fertilizzante”.

Ricordate il ragazzo di Oslo che comprava del fertilizzante e poi mandò tutti quegli uffici all’aria e poi sparò ai ragazzi sull’isola?

Queste sono armi da guerra e sono anche tossiche e velenose. Quindi la prima ragione per cui abbiamo bisogno di un altro sistema alimentare è: abbiamo bisogno di un sistema alimentare senza veleni.

(…)

Un altro motivo per cui abbiamo bisogno di un altro sistema alimentare è perché un sistema agricolo progettato per input provenienti dalla guerra può funzionare solo come una monocultura. Se tutto ciò su cui mi concentro sono l’azoto, il fosforo e il potassio – quella che viene chiamata mentalità NPK – allora io posso solo far crescere colture in grado di gestire tali dosi prestabilite. Mentre se coltivo mais e fagioli, il fagiolo fissa l’azoto per me e i due possono crescere insieme.

Non appena tu applichi i fertilizzanti sintetici, invece, le piante iniziano a competere. Abbiamo questa meravigliosa miscela di caiano (o pisello piccione) il Toor Dal, che cresce piuttosto alto, e il Ragi, che è miglio. Queste due piante sono cresciute come compagni da millenni. Il Ragi ti dà il calcio, il ferro e le fibre e il Toor Dal dà al terreno l’azoto, ma dà a te le proteine.

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Io sono cresciuta in India, dove l’acqua nel deserto era a 10 piedi di profondità. La Rivoluzione verde non richiede solo gli input esterni, la monocoltura richiede anche molta acqua. Nel Punjab il 90% dell’acqua è utilizzata per l’irrigazione, globalmente è il 75%. E quello che ne esce è acqua inquinata e piena di nitrati, che creano zone morte nei fiumi, nei corpi idrici e negli oceani.

Quelle monocolture basate sulle sostanze tossiche stanno distruggendo la biodiversità, soppiantando sia le colture che le varietà e le specie. Noi esseri umani mangiavamo circa 8.500 specie diverse di piante. In India, prima della Rivoluzione verde, esistevano 200.000 varietà

di riso, 1500 varietà di mango e di fagioli. Mi ricordo di quando feci una collezione di grano e ne raccolsi 1500 varietà, e li portai a quella che divenne la Banca dei semi di Cambridge, che fu poi privatizzata a Unilever e poi alla Monsanto. È lì che hanno raccolto il grano senza glutine e poi lo hanno brevettato: abbiamo dovuto combattere quella causa sul brevetto, perché proveniva dalla collezione indiana.

(…)

Nel 1995 la FAO ha organizzato a Lipsia una conferenza sulle risorse genetiche vegetali. Allora si valutava che il 75% della biodiversità era scomparsa in agricoltura, a causa delle monocolture chimiche e dell’introduzione di varietà progettate esclusivamente per la risposta chimica. La mia ipotesi è che ora sia circa il 90%, perché allora l’Argentina non era ancora stata distrutta, l’Amazzonia brasiliana non era stata fatta a pezzi su larga scala per la coltivazione della soia, e il Midwest degli Stati Uniti non era una monocoltura di soia GM e di mais OGM.

Quindi la mia ipotesi è che circa il 90% della biodiversità delle colture sia scomparso.

Gli spray chimici distruggono ancora di più. Ha provocato la scomparsa del 75% delle api e il collasso della colonia. Ma non solo delle api.

Abbiamo condotto uno studio sulle aree di coltivazione del cotone BT e in quattro anni di piantagione il 22% degli organismi benefici del suolo sono stati uccisi dal rilascio delle tossine. C’è un nuovo studio che dimostra che l’irrorazione di Round Up per i raccolti stava uccidendo l’euforbia che sosteneva la farfalla monarca. E ci sono stati studi della Cornell University che dimostrano che il polline del mais BT uccide le larve di quella farfalla. Non sorprende quindi che il 75% delle farfalle monarca sia scomparso.

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Nonostante distrugga il 75% dei sistemi viventi e degli ecosistemi, è ormai diffuso il mito che senza

l’agricoltura industriale il mondo non possa essere nutrito. Le cifre ormai si ripetono ogni giorno: il 70% di cibo nel mondo viene prodotto oggi, nel 2014 – non un secolo fa, non cinquant’anni fa, ma

oggi, 2014 – in piccole aziende agricole. Il motivo per cui l’ONU ha dovuto dichiarare quest’anno come “l’anno dell’azienda agricola famigliare” è a causa di questa cifra.

Il principale punto di riferimento per la sicurezza alimentare sono le piccole aziende agricole e gli orti urbani. Solo il 30% viene dall’agricoltura industriale: eppure questo 30% sta distruggendo il 75% del pianeta.

La deduzione che ne consegue è facile: se si permettesse a quel sistema di diffondersi, fino a distruggere il restante 25%, otterremmo più cibo o zero cibo? Un pianeta distrutto non darà alcun cibo. Suoli morti, acque che scompaiono, un clima totalmente caotico, niente più semi: è una ricetta per un disastro assoluto. Non solo un disastro, ma la stessa estinzione umana.

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La Rivoluzione Verde è stata introdotta in India nel 1965. Stiamo parlando di 50 anni fa. In 50 anni il 75% del pianeta è stato distrutto. Ci vorranno solo 10 anni per cancellare il resto; molte altre specie se ne andranno, e la specie umana ne resterà sicuramente coinvolta.

Quindi il motivo per cui abbiamo bisogno di un altro sistema è perché dovremmo provare a sopravvivere nel futuro come specie. Nessuna specie ha deliberatamente progettato la propria estinzione, ma attraverso l’agricoltura industriale noi lo stiamo facendo. È nella progettazione del sistema agricolo, perché sta distruggendo la base dell’agricoltura: i sistemi ecologici. È nella progettazione, perché in realtà non è un uso efficiente e produttivo delle risorse naturali.

(…)

Ho letto su un giornale indiano che l’università di Wageningen sta lavorando sul problema alimentare. Stanno effettivamente progettando di coltivare cibo su Marte. Hanno un progetto di ricerca in corso in questa università.

I nostri istituti di ricerca si stanno comportando in modo davvero intelligente, nel fare ciò che non è necessario fare e nel non fare quello che deve essere fatto! Il movimento di Navdanya è stato creato per conservare la biodiversità e la varietà dei semi; noi rafforziamo la biodiversità. Chiediamo agli agricoltori di coltivare quante più varietà possibile nella fattoria, e poi di mangiare secondo le loro esigenze i prodotti della fattoria.

Quindi, quando la gente mi dice che il biologico è troppo costoso, io rispondo: “Non per il contadino che lo ha coltivato”. E così hanno il primo diritto agli alimenti biologici. Avendo messo in atto la conservazione della biodiversità e l’intensificazione della non-biodiversità, abbiamo deciso di non misurare la produzione della monocoltura, che è la resa per acro di cui si parla sempre.

Il rendimento è quello per un singolo prodotto, e la quantità di esso che lascia l’azienda agricola. Quindi il chicco di grano viene contato come rendimento ma non la paglia che resta nella fattoria. Il mais viene contato per quanto rende, ma non la paglia di mais. In questo modo quello che dovrebbe essere riciclato in azienda viene trattato come rifiuto e non viene restituito al suolo.

Nel Punjab questo sistema ha fatto sì che la monocoltura sia stata raccolta da mietitrebbie e, come voi sapete, le mietitrebbie lasciano uno scarto enorme, che poi deve essere bruciato. Se qualcuno di voi prova a venire a Delhi in inverno, non può atterrare a causa dello smog!

(…)

Quindi, quando abbiamo effettuato le analisi sulla biodiversità e sulla produttività, abbiamo visto che senza dubbio un’azienda agricola ricca di biodiversità produce di più. Pablo ha mostrato anche una figura con la combinazione di mais e piselli piccione. Quello che abbiamo scoperto era che maggiore è la biodiversità, maggiore è la produttività e, per l’agricoltore, maggiore è il

profitto. Innanzitutto perché l’agricoltore non va in difficoltà e, in secondo luogo, perché gli agricoltore ha resilienza. Nel 2009 abbiamo avuto siccità e inondazioni come non si sarebbe potuto immaginare l’anno scorso. Abbiamo perduto 20.000 vite umane nella nostra regione a causa del disastro climatico dello scorso anno, qualcosa che non è mai arrivato alle news internazionali.

Se hai un raccolto diversificato, prospererà un prodotto invece di un altro e non verrà spazzato via.

(…)

Un altro motivo per cui abbiamo bisogno di un altro sistema alimentare è perché non possiamo permetterci questa cecità nei confronti di questo dono dell’abbondanza che la natura ci fa, il dono della biodiversità. Ci è già costato troppo. Ora è necessario che noi lavoriamo con la biodiversità, per produrre più cibo e nutrimento consumando meno le risorse della terra. Un impatto ridotto e una resa maggiore. Il sistema attuale ha un impatto enorme con una resa negativa.

E c’è un’altra grande ragione per cui dobbiamo passare a un altro sistema alimentare: una ragione che ha a che fare con la scienza e la conoscenza. Per me, come scienziata, nel valutare un sistema di agricoltura la prima cosa da studiare è il modo in cui il suolo, le piante, gli animali e la comunità umana si relazionano tra loro.

Quali sono le connessioni? Questa conoscenza della connessione è ecologia, che è una scienza delle relazioni, ed è per questo che l’agroecologia – senza che nessuno venga pagato per dire agroecologia, tutti parlano di agroecologia – è un movimento che è cresciuto senza lobbisti.

(…)

L’industria biotecnologica si arrabbia quando dico che la ragione per cui l’ingegneria genetica non è una buona idea è perché è solo un modo stupido di fare le cose.

È un modo stupido per introdurre il ferro nel cibo farlo attraverso le banane OGM, è un modo stupido per ottenere vitamina A farlo attraverso il riso dorato, è stupido controllare i parassiti alimentari inserendo geni tossici nelle piante attraverso le tossine BT – è ancora più stupido provare a controllare le erbacce attraverso la resistenza agli erbicidi. In soli 15 anni la metà delle aziende agricole negli Stati Uniti sono state sopraffatte dalle super-erbacce: la metà, cioè 17 milioni.

Allora cosa stanno facendo adesso? Stanno producendo geni nel mais con resistenza a un ingrediente dell’Agente Orange, 2,4-D. E la Dow è ancora una volta il grande giocatore della partita! I lobbisti hanno collaborato con la Commissione europea per far approvare la proposta Pioneer 1507, proprio di recente. Pioneer 1507 è stato sviluppato congiuntamente da DuPont e Dow. La Dow,

come ricorderete, è la stessa azienda responsabile della ingiustizia infinita perpetrata a Bhopal.

(…)

Da un lato c’è il controllo, dall’altro il danno. In termini di biotecnologia si è discusso molto

sulla sicurezza. Ci viene ripetutamente detto: ogni ricerca dice che è sicuro. Alcune ricerche neutrali, ricerche indipendenti, hanno invece riscontrato danni.

Arpad Pusztai è stato il primo incaricato dal governo britannico di studiare le patate OGM nel ’98. Non si aspettava di trovare quello che ha trovato. Cervelli ridotti di dimensioni, pancreas ingrossati, sistema immunitario compromesso, danno totale al sistema endocrino. A quel punto il direttore dello studio ha tenuto una conferenza stampa. Ha dichiarato:

“Se questo accade in tre mesi di alimentazione, cosa succederà se gli esseri umani mangiano questo per tutta la vita?” Per un paio d’ore la BBC ha trattato questo problema, e poi è calato il silenzio. Blair si assicurò che il laboratorio di Arpad fosse chiuso. Arpad si era trasferito in Inghilterra dopo l’invasione del suo Paese, l’Ungheria, in cerca di libertà. È tornato in Ungheria, per trovare la libertà.

Più recentemente, Seralini – uno dei migliori scienziati francesi – ha deciso di condurre uno studio di due anni, essendo a capo di un organismo di controllo. Ha scoperto che gli studi condotti dall’industria agroalimentare erano molto, molto approssimativi.

A quel punto si è detto: “Devo scoprire cosa sta succedendo”. Ha condotto uno studio che è diventato molto famoso sul “Giornale di tossicologia alimentare e chimica”. Quelli dell’industria agroalimentare hanno tentato di nasconderlo, c’è stato un tentativo di ritirarlo. Il giornale però ha risposto che era stato sottoposto a revisione paritaria e che non potevano ritirarlo. Era passato attraverso ogni tipo di validazione scientifica. Allora la Monsanto che fa? Semplicemente fa entrare al Giornale un nuovo editor, Goodman. Il quale ha detto: “Ora ritiro lo studio”.

Io chiamo questo modo di fare scienza terrorismo. Si tratta di una seria minaccia alla scienza indipendente e alla ricerca indipendente.

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L’ultima ragione per cui dobbiamo sostituire il vecchio sistema è perché questo vecchio sistema davvero non può durare più di altri cinque-dieci anni: ma in quei cinque-dieci anni può sopravvivere solo stabilendo un dominio totalitario. Totalitarismo sui nostri agricoltori: una situazione in cui gli agricoltori non possono coltivare ciò che vogliono e nel modo in cui lo vogliono. Sono rinchiusi in una “schiavitù del seme”. Quando Pablo ha mostrato quelle diapositive sulla schiavitù, qualcuno ha chiesto: “Stai suggerendo un parallelo?”

Io suggerisco un parallelo, certo. Quando inizi a lottare per la ”libertà di semi”, io ci vedo un parallelo. Al tempo della schiavitù furono i neri ad essere catturati in Africa e portati a lavorare nei campi di cotone e canna da zucchero d’America. Oggi tutta la vita viene ridotta in schiavitù. Tutta la vita. Ogni specie. Non abbiamo mai avuto un tale imperialismo su tutto il pianeta.

Mai. E, naturalmente, gli agricoltori che si suicidano, lo fanno perché si sentono schiavi e intrappolati, e trovano il suicidio come l’unica via d’uscita. È un sistema totalitario, causato dal modo in cui viene gestita la conoscenza. La scienza è stata sostituita dalla propaganda. La quantità di spazio che potrai acquistare sui giornali sarà ciò che deciderà come saremo chiamati scienza. Non quanta conoscenza hai generato.

(…)

Ciò a cui stiamo assistendo è un fenomeno molto profondo di integrazione verticale del sistema alimentare. Cinque società che controllano le sementi, cinque società che controllano il commercio di cereali, cinque trasformatori, cinque rivenditori. Questo è ciò di cui stiamo parlando: venti aziende. Tutti integrati, l’uno nell’altro. E se guardi quello che è accaduto in California, dove chiedevano di avere leggi sull’etichettatura, non è stata solo la Monsanto a resistere.

Coca Cola e Pepsi Cola ci hanno investito dei soldi: perché usano lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio ricavato dal mais GM. Hanno vinto loro: e hanno vinto in termini di alimentazione forzata di cattivo cibo per la gente.

Conosciamo bene i danni creati dal cibo spazzatura e il problema dell’obesità di cui ho già parlato. Dalle analisi che ho fatto negli anni, questo sistema di integrazione verticale con la combinazione di

Pepsi, Walmart, Cargill e Monsanto porta all’agricoltore l’1%. L’1% dell’euro speso dal consumatore, o del dollaro o della rupia. Poiché porta solo l’1%, allontana le persone dalla terra. Rende l’agricoltura impraticabile, a causa dell’ingiustizia. E allora accade che solo l’1% della popolazione resta a lavorare la terra; il rendimento è solo dell’1%, e il resto va in profitti aziendali del settore agroalimentare. Non c’è da stupirsi che i grandi investitori vogliano entrare nel business del cibo.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un modello al 50%. Il 50% dovrebbe tornare agli agricoltori e alla popolazione e all’economia locale, il 50%. Se lo facciamo a Navdanya, non è così impossibile. E se il rendimento del 50% arriva all’agricoltore, il 50% delle persone resteranno a lavorare la terra. In ogni caso, il 50% resterà nel sistema alimentare, a meno che non diventino parte della necro-economia. La necro-economia è l’economia della morte. Quella che produce i pesticidi, che li spruzza, che guida i camion, emette biossido di carbonio: tutti i lavori che stanno uccidendo il pianeta.

(…)

E invece potremmo avere il 50% di lavoro creativo. Lavoro creativo con la terra, lavoro creativo con il cibo. Io so quanto possono entusiasmarsi i giovani quando si relazionano direttamente al cibo. Ieri mi hanno servito una cena fantastica prima di venire qui. E’ stata una giovane donna che ha rinunciato a un lavoro di gestione del marketing e adesso fa cucina con i cibi crudi. Deliziosi! Se solo potessimo liberare le energie dei giovani. Prenderci cura del suolo e dei semi, prenderci cura del nostro cibo e creare lavoro da questo.

Ed è per questo che a Navdanya ho dato vita all’Università della Terra: per avere fondamentalmente un posto dove i principi del sistema alimentare possono essere appresi con intelligenza, ma anche attraverso la natura come maestra, e gli agricoltori come insegnanti: e il tuo stesso apprendimento diventa insegnante. E adesso ogni settembre, per la grande domanda di giovani da tutto il mondo, abbiamo iniziato a offrire un corso dalla A alla Z sull’agroecologia e sui sistemi alimentari biologici. Io spero che qualcuno di voi verrà. Ma sia che tu venga o no, sappi che

il cibo è il luogo, il seme è il luogo in cui dobbiamo rivendicare la nostra democrazia e salvare il mondo dal totalitarismo che stanno mettendo in atto. Accadrà, poco a poco. Se no, prima che ce ne rendiamo conto, non saremo più in grado di apportare modifiche. Abbiamo un breve lasso di tempo per rivendicare sia il nostro pane che la nostra libertà. Altrimenti non avremo né pane né libertà.

Direttore Editoriale. Alessandro Di Nuzzo è giornalista, scrittore e responsabile editoriale di Aliberti editore dal 2001. Ha curato diversi volumi sulla letteratura italiana e straniera, come Leopardi. Ricette per la felicità (2015); Poeti francesi del vino (2016); Dante e la medicina (2021). Il suo primo romanzo, La stanza del principe (Wingsbert House-Aliberti, 2015), ha vinto il Premio Mazara del Vallo Opera prima. È autore con Alessandro Scillitani del docufilm Centoventi contro Novecento. Pasolini contro Bertolucci (2019). Tra i suoi libri: Francesco da Buenos Aires. La rivoluzione dell'uguaglianza.
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